RETROSCENA GLI ERRORI PERICOLOSI Bibi e la danza sul baratro Ma con A ssad si rischia un'altra guerra
domenica 27 ottobre 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NON si finisce mai di trasecolare nel folle Medio Oriente.
Ariel Sharon, noto al mondo intero come il più duro dei falchi, che
nel santo giorno del Sabato, di fronte alle reazioni siriane, salva
Netanyahu da una delle scivolate che ormai stanno diventando un
classico della sua politica e mette pace, sia pure momentaneamente,
fra Israele e Siria bloccando la compagnia petrolifera che aveva
cominciato a fare buchi nel Golan con il permesso del primo ministro]
C'è da non crederci. Se qualcuno avesse avuto l'animo e la
possibilità di farlo quando stava per essere aperta la galleria del
Monte del Tempio, un altro punto nevralgico della sensibilità
palestinese e araba in generale forse non sarebbe stato leso, e tanti
guai si sarebbero evitati. Ora, siamo alle solite: in una situazione
tesa e controversa come quella attuale con la Siria, era stato
sottovalutato soprattutto lo scenario psicologico confacente
all'onore di Assad, che infatti ha reagito fortemente alle
trivellazioni nel Golan. È ormai nello spirito consueto di Netanyahu
voler condurre la danza secondo il suo ritmo, ignorando che il mondo
arabo parla una lingua diversa ed enormemente pervasa di elementi
simbolici legati al concetto del potere e a quello dell'onore. Questo
ignorare, muoversi al limite, fingere, è già costato molto sangue
agli israeliani e ai palestinesi. In Israele ormai si parla con una
certa facilità , nelle case, in taxi, della possibilità di una nuova
guerra con la Siria. È passata molta acqua sotto i ponti da quando,
prima delle elezioni (senza che tuttavia sia mai stato dato di vedere
un documento scritto) si disse che i dettagli tecnici e anche i tempi
di un ritiro israeliano dal Golan erano stati già concordati durante
gli incontri negli Usa. Ciò che è certo è che, dal momento in cui
Netanyahu è diventato primo ministro, Assad ha lanciato una serie di
messaggi molto pressanti, sostenendo che Rabin gli aveva promesso che
il Golan sarebbe stato tutto quanto lasciato nelle sue mani. Le
parole di Assad sono state accompagnate da intensi movimenti di
truppe sul confine, e da minacce di guerra. Alcuni commentatori
dicono che si tratta di gesti tesi a spingere Netanyahu ad adottare
le posizioni del suo predecessore. Altri, invece, pensano che Assad
voglia che Netanyahu la smetta con i discorsi roboanti e minacciosi
che (dopo un primo momento di basso profilo accompagnato dalla parola
d'ordine ) promettevano al rais siriano di attaccare
le sue truppe nel Sud del Libano, di spingere gli americani a
condannare la Siria come Stato terrorista, e a scomunicarlo sul piano
internazionale a causa del regime dittatoriale incurante dei diritti
civili che lo contraddistingue. Di fatto, quello che è accaduto è
che i due Paesi hanno preso a considerarsi l'un l'altro dei
sorvegliati speciali, e a spiare i reciproci movimenti con spasmodica
attenzione. Israele, che nella guerra del Kippur del 1973 fu colto di
sorpresa, e subì dalla Siria molte perdite, segue da allora il
principio di tenere la guardia molto alta. Netanyahu, di fronte alle
proteste dell'esercito che reclama più fondi a causa delle minacce
siriane, si è già detto disponibile ad alzare il budget. Assad, che
non attribuisce alla pace, certamente, un valore in se stesso, e ha
già minacciato più volte di portare guerra a Israele se non gli
verrà restituito il Golan (che è stato sotto il controllo siriano
dal 1843 al 1967), coglie ogni minimo segnale per alzare il livello
di allarme nella zona. E Netanyahu gioca questo poker piuttosto
spregiudicatamente. Ci sono in questa vicenda due scadenze: una è
indefinita e cupa, costituita dalla malattia di Assad, che peraltro
tutti considerano da almeno un decennio in fin di vita e che invece
dimostra di cavarsela ancora assai energicamente. L'altro sono le
elezioni americane. La Siria pensa che non appena Clinton sarà di
nuovo saldamente al potere, impegnerà molte energie per costringere
Netanyahu a consegnare il Golan. E qui si apre un altro buco nero:
infatti ancora il primo ministro israeliano non ha mai veramente
espresso fino in fondo il suo punto di vista se non con generiche
formule. Tendenzialmente, data la sua politica che danza sull'orlo
del baratro in attesa che qualcuno lo tiri per la manica, può darsi
che non dia molta importanza alle pressioni americane. Allora, qui,
potrebbe davvero avvenire che lo spintone glielo dia Assad, stavolta
non per svegliarlo, ma per spingerlo con la forza giù dal Golan.
Fiamma Nirenstein