REPORTAGE SULLA TOMBA DEL LEADER Il giorno senza abbraccio Non c'è pa ce tra le due Israele
venerdì 25 ottobre 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV IERI, come un anno fa (un anno ebraico, le cui date scorrono
tanto misteriose da far divenire il 4 novembre, data effettiva
dell'omicidio, un 24 ottobre) il sole splendeva su una grande folla
in lacrime. La cerimonia del lutto del Paese avrebbe dovuto costruire
l'ultima connessione che la morte crea fra individuo e collettivo,
tutto il collettivo. Invece non è stato così .
da quando ti hanno ucciso, nonno - ha detto con gli occhi azzurri
puntati dritti sulla tomba di granito il nipote Jonathan - e niente,
niente è cambiato. Ti chiedo scusa a nome di tutti quanti quelli che
non capirono quanto fosse necessario difenderti, anche nella nostra
stessa famiglia, una famiglia ormai triste e stanca. Vicini, stretti
l'uno all'altro sul monte Herzl, dove sono sepolti gli eroi
d'Israele, Leah, la moglie, il figlio Yuval, la figlia Daliah, la
nipote Noah, e i due più stretti collaboratori di Rabin, anche loro
con gli occhi pieni di lacrime e di rabbia, Shimon Sheves e Eitan
Haber. Il presidente Ezer Weizman, il premier Netanyahu e tanti altri
personaggi di primo piano non hanno parlato alla cerimonia ufficiale,
ma solo alla seduta speciale del Parlamento. E infine, no, non è
stato un grande abbraccio del popolo ebraico nel dolore questa
durissima giornata di ricordo di Yitzhak Rabin, ma un ripercorrere le
ferite, le spaccature sanguinanti di una divisione che da un anno a
questa parte si è semmai incancrenita piuttosto che guarire. Lo
sforzo di unificare, di fare di questo giorno un momento di
conciliazione c'è stato sia da parte di Netanyahu che di Weizman,
come da parte di altri politici e intellettuali. Meno del previsto le
parole asatà e , incitamento e violenza, sono state
ripetute. Eppure, ogni volta cadevano come pietre a segnare un
confine. È stato senza dubbio un assassinio politico in piena
regola, maturato in un ventre infetto e tuttora fertile, hanno
ripetuto sia Leah Rabin sia la figlia Daliah, sia il figlio Yuval e
anche Amos Oz e anche gli altri più cari amici di Rabin, ogni volta
che ne hanno avuto l'opportunità , nei discorsi pubblici, a
Gerusalemme davanti alla tomba, a Tel Aviv nel tempio della sinistra
colta, alla radio e alla tv. E più che le parole hanno potuto gli
sguardi: ogni volta che Netanyahu o Sharon o qualche politico
religioso-nazionalista, si trovava a contatto d'occhi con Leah e gli
altri, i bellissimi occhi della famiglia Rabin, colore del cielo,
diventavano una sottile linea diritta, piena di ghiaccio e di fuoco.
Israele è spaccata. Non si è costruito nemmeno ieri l'epos
nazionale che qui tanto bene accompagna la morte eroica fin dalla
guerra nel '48, perché è segnale di unità la morte per la vita
futura dei figli di un popolo intero. Non è accaduto. In piazza
Rabin, ex piazza Re d'Israele a Tel Aviv, dove il premier assassinato
visse i suoi ultimi momenti, mentre a Gerusalemme si svolgevano le
cerimonie ufficiali s'è radunata ancora una volta una gran folla di
ragazzi piangenti. Alla radio intanto venivano trasmesse le memorie e
i commenti di ciascuno, la disperazione e anche il pentimento di
alcuni religiosi. All'università di Bar Ilan da dov'è uscito
l'assassino, durante una cerimonia di ricordo del leader scomparso un
rabbino ha ripetuto che la mente che partorisce l'idea di un delitto
come quello perpetrato da Ygal Amir è una mente certamente non
religiosa, dominata solamente da un'ossessione politica, piena di un
blasfemo disprezzo per il più sacro frutto della creazione, l'Uomo
che è simile a Dio. Ma un anno fa la grande tempesta emotiva che
seguì il delitto sembrava essere il segno di una crisi di coscienza
che avrebbe consacrato per sempre la vittoria delle idee di Rabin,
ovvero il trionfo della pace, invece alle elezioni ha vinto la parte
politica a lui avversa. Molti dissero addirittura: ha vinto Ygal
Amir. E mentre una gran parte del Paese considerò l'assassinio un
disastro, l'altra parte vi vide un segno divino, confermato poi dalla
sconfitta di Peres. Ed è anche vero che proprio nell'anniversario
della morte di questo eroe della pace la deputata radicale Yael Dayan
ha ricevuto una tazza di tè bollente in faccia, gettatale da un
colono di Hebron. Restano troppi brutti ricordi sospesi, fra cui
quello della manifestazione in cui Netanyahu, prima d'essere premier,
sentì la folla che urlava a Rabin e vide le
sue foto grottescamente martoriate, eppure tacque. Quanto tempo ci
vorrà dunque perché la frattura si saldi, e perché Rabin salga
nell'empireo degli eroi non solo per la sinistra ma per tutta quanta
Israele, intera? Fiamma Nirenstein