REPORTAGE SUL MONTE DELLA DISCORDIA Il ruggito dei bulldozer e il sus surro di Feisal
mercoledì 19 marzo 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NO, questo non è ancora l'inferno in cui Gerusalemme
potrebbe trovarsi da un giorno all'altro. Questo è l'anti-inferno:
un monte strampalato, mai sentito nominare, Har Homà , all'apparenza
bellissimo, pieno di rovine pastorali tipo nuraghi, con i mandorli in
fiore, le larghe balze ornate di vecchi palestinesi con la kefiah
bianca e rossa, i pini fitti, gli ulivi azzurri; e d'un tratto alcuni
enormi bull dozer arancione ruggiscono, e la terra si rovescia come
disgustata, diventa gialla e ancora più fangosa di prima. La pioggia
batte da stamattina alle 8 sulla testa di noi cronisti, custodi di
questo anti-inferno, con i telefonini che trillano in tutte le
lingue, le penne sguainate, le macchine da presa che frugano ovunque,
i microfoni pelosi protesi. Siamo come le pizie che aspettano la
tragedia preannunciata da tempo: Netanyahu, si dice in giro, prima ha
sperato nella pioggia e nella grandine, ma quando un sole gelido ha
squarciato le nuvole ha dato il via, perché non c'erano più scuse,
il mondo stava a guardare chi avrebbe flesso i muscoli per primo. E
poiché Netanyahu era stato improvvido e roboante, ripetendo che se
Har Homà non fosse stato costruito, la battaglia di Gerusalemme
sarebbe stata perduta per sempre (chissà perché !), anche se dopo la
visita di re Hussein forse non ne avrebbe avuto più voglia, ha fatto
il duro. E così si è giocato tutta la simpatia conquistata con lo
sgombero di Hebron, ha accettato di farsi di nuovo strapazzare da
tutto il consesso internazionale, come si è visto all'Onu, dove 130
Stati gli hanno votato contro. E sempre di più così sarà se si
aprirà lo scontro, visto che Netanyahu non vuole capire che il
machismo è passato davvero di moda. Non si sa se lo abbia capito
anche Arafat, e se si voglia tirare indietro dagli anatemi di fuoco
lanciati in questi giorni. Per ora rifiuta d'incontrare Netanyahu, se
il primo ministro israeliano non gli farà proposte concrete; però ,
l'atteggiamento di Feisal Husseini, il leader palestiense che
gestisce la battaglia di Gerusalemme, per ora non sembra quello di un
duro a tutti i costi. Ieri mattina era seduto su una specie di basso
sofà , da molte ore, in una tendina militare, il quartier generale
delle operazioni. Intorno a lui, accoccolati, si sono avvicendati
tanti notabili palestinesi che lo sono venuti a trovare anche da
parte di Arafat, che in quelle ore incontrava uno dei capi
dell'opposizione israeliana, Yossi Sarid. La tendina color kaki è
minuscola. Il vento feroce sbatte, esplode, impedisce di parlare;
Feisal è gonfio di influenza e di stanchezza, ha un'aria mite e
antica, sembra uno sceicco di mezz'età , avvolto com'è in una lunga
palandrana marrone pelosa, con i risvolti blu, e con uno strano
cappello blu calcato sulla fronte. I palestinesi si consultano
sottovoce e hanno l'aria depressa. Sono tutti imbacuccati nel freddo,
ognuno indossa un copricapo diverso come in un quadro di Masaccio,
chi la kefiah, chi turbanti fatti di sciarpe di lana. Feisal
bisbiglia anche rispondendo alle domande:
facendoci trasecolare - i bull dozer si sono già mossi? Mezz'ora fa?
Il processo di pace è per me come un mio figlio. Non posso credere
che muoia, che sia morto. Per ora, ci stiamo organizzando. Vedremo il
da farsi. Sono molto irritato con Netanyahu che non ha mai cercato
una decisione comune. Però in queste ore continuano le trattative
tra le due parti, spero ancora che portino a buon fine. Perché se la
gente non riconosce più la leadership del processo di pace ne
riconoscerà un'altra, certo non più moderata di noi che abbiamo
scelto la non violenza. Feisal lo ripete per essere certo che non si
accusino i palestinesi di violare l'accordo di Oslo. Il tentativo di
spostarsi dalla tenda per avvicinarsi alla zona da costruire viene
bloccato a spintoni da uno schieramento immane di polizia che ormai
fa parte del paesaggio, e che popola ogni sasso, ogni ulivo, ogni
balza. Ha fermato anche un gruppo di studenti che volevano venire a
protestare: Però - ripete Feisal - ancora non è la fine. Anche da
parte israeliana non si è proprio cominciato a costruire, ma solo ad
aprire una strada, più lontano possibile dalla zona palestinese
oltre la linea verde. Vorrà dire qualcosa? Può darsi di sì ,
dice, stanchissimo, Feisal Hussein, mentre il vento sbatte così
forte sulla tenda che quasi non si riesce a sentirlo. Fiamma
Nirenstein