REPORTAGE NELLE VISCERE DELLA CITTÀ SANTA Viaggio nel tunnel In fondo c'è la guerra
giovedì 26 settembre 1996 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME CENTOTTANTA metri umidi e bollenti, un corridoio
bimillenario lungo il fianco occidentale del Tempio del monte, sotto
terra, che forse porta alla guerra. Ehud Olmert, il sindaco di
Gerusalemme, cammina veloce in testa a un manipolo di giornalisti che
si affannano dietro la sua energica guida, lungo le pietre ciclopiche
che gli Asmonei più di duemila anni fa posero lungo il magnifico
acquedotto che dava da bere a tutta la città . Il primo Tempio era
stato distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C. e là era scomparsa
l'Arca con le tavole della legge; poi, nel 538, fu costruito il
secondo, che nel 19 fu reso meraviglioso da re Erode. Prima ancora
gli Asmonei avevano fatto la montagna del Tempio, da rotonda che era,
quadrata, riempiendo di terra le strutture di pietroni perfetti,
levigati, pesanti tonnellate, murati a secco, lungo i quali
camminiamo verso l'uscita che è stata aperta nelle scorse notti, in
silenzio, in pieno quartiere arabo, alla seconda fermata della Via
Dolorosa, quella del Giudizio e della Flagellazione. Camminiamo e
sudiamo sottoterra, nel buio illuminato da luci gialle, e
incontriamo, dietro al sindaco di Gerusalemme, le sale delle
magnifiche cisterne, ornate di volte antichissime, commoventi.
Intanto, poco lontano, sotto il sole cocente, sta scoppiando forse la
seconda Intifada, e noi ancora non lo sappiamo. I palestinesi tirano
sassi, la polizia spara lacrimogeni e pallottole di gomma. A Ramallah
si scatena la furia popolare, mentre Arafat denuncia
l'irrimarginabile ferita religiosa. E pensare che la giornata di
visita al tunnel dell'acquedotto asmoneo comincia come una corsa
sportiva dietro il sindaco che bacia tutti i bambini arabi che
incontra nel mercato chiuso per lo sciopero, che ci fa vedere le
facciate ridipinte, che intreccia paradossali dialoghi di amicizia
con tutti i negozianti che hanno tirato giù le saracinesche dietro
ordine dell'Autorità palestinese. La sensazione di vivere un
paradosso è grande: tanto più grande quanto più le battute del
sindaco sono lievi.
entrare nella Città vecchia direttamente. Da 400 che vi potevano
passare oggi ce ne potranno passare 1200 il giorno. Del resto il
tunnel esiste già da un secolo e soltanto ora lo abbiamo aperto. È
conveniente per tutta Gerusalemme, porta una gran cultura
archeologica e un grande vantaggio economico; ma soprattutto conviene
al quartiere arabo stesso, dove il passaggio sbocca. E poi, e questo
ci viene mostrato attraverso grafici e modellini semoventi, il
corridoio lungo cui camminiamo sentendo il respiro degli Asmonei e
degli Ebrei di Erode, e vedendo le botteghe da cui Cristo voleva
cacciare i mercanti, non entra sotto il monte della Moschea di
Al-Aqsa, si guarda bene dal minarne le fondamenta, ma corre lungo un
muro che è semplicemente il proseguimento del Muro del pianto.
momento non è buono?, ride Olmert correndo come un ragazzo,
momento non è mai buono a Gerusalemme, qualsiasi cosa si faccia.
Sempre si solleva un vespaio, sempre si muove una valanga. Ma in
questo caso, non accadrà , pronostica ancora ignaro degli
accadimenti perché gli abitanti di questa parte di Gerusalemme
sanno che non abbiamo leso nessun loro diritto, né tantomeno
intendiamo ferire i loro sentimenti religiosi. Intendiamo solo portar
loro un vantaggio. Anzi: abbiamo agito in base a un accordo di nove
mesi fa, fra la Waqf (l'autorità musulmana per i luoghi sacri) e il
nostro governo. In gennaio ci fu chiesto di pregare nelle stalle di
re Salomone, e loro in cambio ci promisero di lasciarci aprire in
pace il tunnel. Che non è luogo di religione o preghiera, ma solo di
archeologia. Arafat sa che stavolta non colpisce nel segno. E invece
non è davvero così : il corridoio sarà pure un pretesto, ma la
scelta del tempo è del tutto sbagliata. Lo Shabbach da otto anni
aveva ammonito l'autorità cittadina, e anche i primi ministri
succedutisi, di non farlo. Rabin, che sapeva dell'esistenza del
corridoio, non aveva mai voluto aprirlo, mentre aveva permesso che
continuassero silenziosamente i lavori di scavo. Adesso è strana, è
incauta questa improvvisa apertura, visto che era evidente la
disillusione dei palestinesi legata allo stallo del processo di pace
dopo l'avvento di Netanyahu, e dopo tanti mesi di chiusura dei
Territori che avevano messo in ginocchio l'economia dell'Autonomia e
creato un sentimento di rabbia e di rivolta. Inoltre, è un momento
in cui l'intero mondo arabo (la Siria e persino l'Egitto) non chiede
di meglio che una ragione religiosa per rimettere in questione questo
processo di pace che senza Rabin e senza Peres non sa come andare
avanti, e mostra tutti i suoi limiti. Fiamma Nirenstein