Fiamma Nirenstein Blog

REPORTAGE NELLA STRADA MALEDETTA Via Jaffa, replay dell'orrore Corpi scempiati, urla e disperazione

lunedì 4 marzo 1996 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NON è possibile. È come essere dentro un incubo, svegliarsi e scoprire che ancora è tutto vero, che l'incubo permane nella realtà . Lo stesso autobus, il numero 18; quasi la stessa ora dell'attentato di una settimana fa; la stessa strada di Gerusalemme, la via Jaffa; circa lo stesso numero di morti, tutti giovani. Israele si è svegliata ieri mattina a una tragedia e insieme a un paradosso. Non solo la guerra in pieno processo di pace, ma una guerra raddoppiata come in uno specchio deformante. L'unica differenza, rispetto a domenica scorsa, è che stavolta la rabbia è pari al dolore, e che il centro di Gerusalemme non si svuota fino a notte alta di grida di sofferenza e di protesta, contro questa pace che pace non è . Ed anche che ieri era iniziato Purim, la festa in maschera dei bambini, che non sono potuti andare a scuola mascherati, rimasti espropriati di ogni gioia. L'autobus numero 18 è uscito dal quartiere di Katamon poco dopo le 6. Katamon è un agglomerato urbano abitato da poveri, da vecchi che vanno al mercato, da ragazzini abbigliati in maniera approssimativa, da nuovi immigrati che vanno al lavoro e da soldati che tornano al reparto. Il 18 percorre via Jaffa in tutta la sua lunghezza; e questa strada va longitudinalmente dalle vicinanze della Città Vecchia fino all'uscita di Gerusalemme. A un semaforo l'autobus è saltato per aria. Il tetto è volato via come un coperchio di latta. L'incrocio dell'attentato è un incrocio cruciale per la città : dietro, la Città Vecchia; di fianco, poco lontano, il Comune e la centrale di polizia; sotto, le strade pedonali, l'ufficio stampa del governo, meta di tutta la stampa internazionale Beit Agron, e anche il tempio italiano. Pieno centro, fatto di botteghe, di traffico, di turisti. Si trova a un chilometro e mezzo circa prima del luogo dell'attentato di Hamas della settimana scorsa. Al botto, 10 chili di tritolo alle 6,25, sono volati in pezzi i vetri fino al quarto piano. Le macchine vicine si riempiono di feriti. La gente che si affaccia dalle finestre vede dall'alto l'autobus come una bocca spalancata, nera, piena di morti a pezzi. Intorno libri, scarpe, e un irreale silenzio. Ma subito Gerusalemme singhiozza e grida e stavolta piove forte sul lavoro delle ambulanze, dei soldati e della polizia che recintano la zona, e sulla solita immagine tuttavia inverosimile del gruppo di religiosi coi riccioli laterali che pezzo pezzo raccolgono in sacchi di plastica i brandelli di essere umano sparsi ovunque. L'attimo prima dell'esplosione, in quell'autobus di lavoratori e di ragazzi, era certo fatto di chiacchiere, di sbadigli, di racconti, di progetti. Ed è facile che in quell'istante, ora per sempre immobile nel suo mistero, si sia parlato dello scoppio precedente; perché è come se la bomba fosse caduta sulla stessa famiglia, sullo stesso quartiere, due volte sulla stessa gente. Infatti almeno una famiglia conta già due morti, uno nell'attentato precedente, e uno in quello di ieri. E un padre arriva di corsa sul luogo dello scoppio, sotto la misera palma che ormai è un monumento funebre, mentre il carro attrezzi trascina via le lamiere dell'autobus come domenica scorsa: era arrivato sudando, ma era andato tutto bene. Non c'era nessuno dei suoi. Erano tutti in salvo. Stavolta non è così : la sua paura si conferma giustificata. Uno dei suoi cari è all'ospedale in gravi condizioni. Sotto la pioggia, con un ombrello nero, stretto dentro una morsa di uomini della sicurezza, Shimon Peres arriva poco dopo l'attentato. Pallido, furioso, è un altro Peres rispetto al sorridente uomo della pace e premio Nobel. Si percepisce fisicamente l'assenza di Rabin. Ora è solo, di fronte alla piccola folla che si è riunita subito all'incrocio e che gli grida e lo insulta. Più tardi, alle 2, quando di nuovo per la seconda volta in due settimane Peres incontra i giornalisti affamati di risposte sul processo di pace, ha ancora la stessa faccia contratta. Quattro scenari certo convergono nella sua mente quando dice : prima di tutto, i colori e gli odori della morte, il destino di sangue che si accanisce contro il popolo d'Israele. E poi, la folla arrabbiata e sfiduciata, che al contrario della volta scorsa non è restata in casa, ma ha seguitato tutta la giornata a riunirsi, a gridare, a urlare il suo odio contro i palestinesi e contro il governo, ad accendere candele a quell'incrocio, a spintonare la polizia che cerca di ripristinare il traffico, di restituire una parvenza di normalità alla città assediata. E ancora: le famiglie sulle panche degli ospedali Ein Karen e di Shaarei Tzedek si torcono le mani mentre i loro cari lottano con ferite gravissime. E infine, l'immagine del mondo palestinese che incombe alle porte, del viso stravolto di Arafat che entra in tutte le case d'Israele attraverso il teleschermo ma che ormai non convince più ; la voce di re Hussein che promette aiuto contro il terrorismo; il fiato sul collo del mondo arabo, dei profeti di pace e di quelli di guerra. A Gaza, i carri armati si spostano per le strade polverose. Tutto è possibile. Arafat mette fuori legge Hamas. Nella città di Hebron i giovani estremisti si rallegrano della morte degli ebrei e celebrano il che ora è in paradiso, insieme agli altri fortunati morti per la loro causa. Quando Peres ripete la parola , ovvero dai palestinesi, Gerusalemme, mescolata com' è di credo, di religioni, di odio, di posizioni politiche, risponde con un crescendo di confusione, di affannato correre sul luogo dello scoppio. Stavolta non riesce a sopraggiungere il silenzio del lutto. Tutto si mescola e si confonde nella città ferita. La paura di chi ormai non sa più se uscire di casa, se prendere un autobus. L'angoscia di chi aspetta a casa qualcuno che non torna. La voce irata di chi tutta la sera resta di fronte alle candele del lutto a gridare al governo di andarsene. La voce del muezzin dalle tante moschee vicine al luogo dell'attentato. Le preghiere dei rabbini che piangono dondolandosi do v'è stato ancora una volta sparso il sangue degli ebrei. In questa confusione, le parole di pace sono flebili e lontane. Fiamma Nirenstein

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.