REPORTAGE. NELLA CAPITALE DI TUTTE LE RELIGIONI La Jerusalem dei ve nti assedi e delle undici dominazioni
sabato 11 dicembre 1999 La Stampa 0 commenti
                
HO cercato di sorprendere Gerusalemme» scrive in una sua vecchia 
antologia 
Dennis Silk, uno studioso inglese assai raffinato, che ha passato la 
vita a 
cercare di strappare alla Città Santa i suoi segreti. Le sue parole, 
dopo 
una lunga conoscenza con questo luogo, non mi suonano più misteriose 
come un 
tempo. Se la prendi di petto, infatti, Gerusalemme ti distrugge di 
domande, 
di bellezza contesa, in definitiva di angoscia. Tutto questo sacro in 
una 
sola rocca, il riverbero continuo delle tre religioni che cantano a 
ogni 
angolo della Città Vecchia, tutto questo riflesso rosso del sangue 
versato 
per appropriarsi di questi sassi bianchi, non lo si può sopportare a 
meno di 
non appartenere personalmente alla schiera dei pellegrini che cercano 
una 
mistica Rivelazione. Percorrere la via dolorosa è uno strazio della 
memoria, 
entrare dalla porta di Giaffa e ricordarsi che i cavalli dei crociati 
camminavano nel sangue dei mussulmani e degli ebrei fino alle 
ginocchia, non 
se ne può fare a meno; vedere le piccole antiche sinagoghe fatte a 
pezzi dai 
giordani è un indispensabile esercizio della mente... 
La Gerusalemme del Santo Sepolcro e della Via Dolorosa, del Muro del 
Pianto 
e delle Moschee, cui si accede dalle porte di pietra di Giaffa, di 
Damasco, 
della Spaccatura... da cui passarono dopo David, Cristo e gli altri 
grandi 
ebrei, i romani, i crociati, il saladino, gli ottomani, gli inglesi, 
i 
giordani, gli israeliani, la Gerusalemme dei venti assedi e delle 
undici 
dominazioni, chi non la sa a mente, chi non la sogna? Chi non l’ ha 
già vista 
mille volte in fotografia, tanto che soltanto la luce alla fine, 
risulta 
sorprendente, una luce che riesce ad abbagliarti di bellezza 
rendendoti 
dimentico di tanto dolore, un cielo grande e strano solo come lo si 
vede a 
Roma o a New York, dove l’ aria sembra il compimento dell’ opera umana, 
e non 
viceversa? Eppure è solo una delle possibili città sante, la Città 
Vecchia: 
l’ altra non abbaglia, ma seduce col mistero, è fatta di ombre, di 
piccoli 
edifici arabi, inglesi, europei in stile tedesco, di minuscole strade 
piene 
di fiori di buganvillea contro le case di pietra, di giardini un po’ 
verdi e 
un po’ azzurri con una fontana araba nel mezzo, di architetture 
mescolate 
Bauhaus e arabe, di memorie laiche... 
Nella Gerusalemme moderna, c’ è un clima fricchettone un po’ fuori 
moda, una 
fuga dal mondo dei consumi; c’ è poco da comprare, qui; c’ è uno strano 
misto 
fra Turchia, Inghilterra, Germania e Oriente che al di là delle 
religioni 
disegna un qui e un adesso incantevoli, un po’ lenti come al 
Quartiere 
tedesco, dove si allineano lungo emek refaim i caffè degli 
intellettuali e 
dei perdigiorno, i negozi di modesti manufatti e di vino e olio. E’ 
bello 
fermarsi a leggere il giornale davanti ad un cappuccino, nuova 
idolatrata 
scoperta d’ Israele, e poi perdersi nelle stradine circostanti, 
incontrare 
l’ yeshiva (la scuola religiosa) piena di « neri» con i riccioli 
laterali che 
cantano a tutta forza all’ angolo di Rehov Yotam, a un passo da un 
Centro 
laico per la tolleranza religiosa ed a uno per lo Sviluppo della 
democrazia, 
mentre vicino abitano, lavorano, scrivono, suonano, vanno al 
supermarket 
parcheggiando la loro jeep scrittori come Meir Shalev, o artisti come 
il 
fotografo storico d’ Israele David Rubinger del Time... 
E’ bello estendere la propria passeggiata a Rehavia, dove vicino alla 
casa 
di Golda Meir e degli altri grandi spiriti politici d’ Israele (tutte 
case 
piccine, povere, piene di sogni) si trova una tomba maccabea a punta 
in 
ottimo stato, accanto alla quale su una panchina studiano due 
fanciulle 
religiose con la gonna lunga fino in terra insieme ad una in 
blue-jeans con 
la pancia esposta all’ aria a causa della nuova moda; più in alto, i 
fiorai, 
i verdurieri, i caffé , il ristorante Amishe Assin dove il menù è 
scritto in 
yiddish e si mangia latkes e gefilte fische. Sempre con questa 
strategia di 
aggirare Gerusalemme, è esotico perdersi nel mercato sefardita di Ben 
Yehuda, dove ogni venditore di falaffel tchina espone il volto di 
qualche 
vecchio affettuoso santone marocchino, molto meno severo del Rebbe 
Lubavitcher. La gioia dei colori della frutta è mescolata al terrore 
degli 
scoppi di due attentati di poco tempo fa. 
Dalla parte opposta della città , a Talpiht, vicinissimo alla 
passeggiata 
costruita sul modello del piazzale Michelangelo, la Tayalet che offre 
una 
vista biblica mozzafiato con la città di David subito sotto le mura e 
una 
quantità di deserto pallido rilucente e triste intorno su cui spicca 
la 
gloria della capitale, in un vicolo alberato si nasconde la casa del 
grande 
scrittore Premio Nobel, Shai Agnon: tutto nelle sue stanze è rimasto 
uguale. 
La tovaglietta bianca sul tavolo di cucina, la stufa di terracotta 
gialla, e 
soprattutto lo scrittoio dove lui scriveva soltanto in piedi per 
vivere 
appieno il miracolo santo della letteratura ebraica appena risorta: è 
rimasta là la sua penna stilografica e il foglio scritto a metà , e 
dietro il 
tavolo dove la moglie batteva su una macchina da scrivere nera, le 
sue 
storie. 
Vabbene, entriamo pure nella Città Vecchia ma prima andiamo a 
Gerusalemme 
Est a prendere un tè all’ American Colony, fondata dagli avi quaccheri 
di 
Peter Ustinov; il servizio degli ottimi camerieri arabi è grandioso e 
allusivo, come si conviene alla tradizione che fa dell’ American 
Colony 
l’ albergo filopalestinese della città , dove a suo tempo fra fiori e 
fontanelle i giornalisti incontravano senza appuntamento tutta la 
leadership 
dell’ Intifada; e fa invece del King David l’ hotel filoisraeliano, 
quello 
dove nella hall chiacchierano Barak e Peres e dove i giovani ebrei 
americani, rapiti, compiono i loro incontri matrimoniali organizzati. 
A 
Gerusalemme Est è anche meraviglioso visitare l’ oasi mistica delle 
Ecole 
Biblique dei Domenicani, dove il capo Pè re Geffré fuma Gauloises a 
catena e 
ti incanta con i suoi tormentosi pensieri sul mondo e su Dio. 
Infine, avviandosi alla conquista della cittadella, ormai consapevoli 
di 
ogni cosa, compreso della colonia armena che vive dentro la sua 
enclave 
aprendo solo a certe ore, e degli etiopi che giunsero con la regina 
di Saba 
e sono i più poveri tra i cristiani che posseggono il Santo Sepolcro, 
tanto 
che vivono sul tetto, è bello, con un giro un po’ insensato, 
giungervi da 
dove vi arrivavano gli antichi: non quindi dalla strada mare e monte 
che 
viene da Tel Aviv per curve e volute tra i pini, ma quella che arriva 
a 
novecento metri di altezza dal deserto della Giudea, dal Mar Morto, 
da 
Gerico la città più antica del mondo. 
Lungo quella strada, fino proprio a Gerusalemme che tutto ad un 
tratto 
appare tra le vallate desertiche, dopo che il verde si è presentato 
come un 
miracolo, stazionano dalla notte dei tempi le tende dei beduini, 
passano i 
vecchi sugli asini e i bambini attaccati al velo colorato della madre 
con 
una giara in testa. 
            