REPORTAGE NEL PAESE DI ARAFAT A Gaza, dove il mare spegne l'inferno D opo la pace, un parco giochi sulla piazza dell'Intifada
venerdì 23 giugno 1995 La Stampa 0 commenti
GAZA SI vede. La pace si vede balenare: anche l'inferno, dunque, può
farcela; anche Gaza può uscire, per ora a chiazze, dalla sua
condizione di epitome del male, della miseria, della violenza. Può
arrivare ad assomigliare a Tunisi, o a qualunque altra capitale
araba, col suo quartiere collinare ricco di ville ventose, benedette
dal mare e dalle palme. E con i suoi larghi pozzi di fame rabbiosa,
invincibile nei millenni. A Rimal, il quartiere alto sito intorno al
Parlamento palestinese, in fondo a quella lunga piazza che tutto il
mondo ha visto alla televisione quando Arafat giunse a prender
possesso del primo lembo di terra palestinese, una lunga striscia di
polvere è stata attrezzata con altalene, scivoli, attrezzi da gioco.
Sono fatti di plastica colorata, quanto strani in questo contesto. È
la prima volta che nella storia di Gaza si vede qualcosa di simile.
Sotto il sole Muhammed Adel Karim Elyazeji, 12 anni, famiglia celebre
perché importa a Gaza la Pepsi-Cola, stringe i suoi occhi lunghi e
verdi, che illuminano un volto da antico fanciullo ateniese. Salta
sugli scivoli con una banda che fino a poco tempo fa usciva di casa
la mattina per andare a tirare le pietre dell'Intifada. Una gloria
luminosa nel suo passato:
anche tirato qualche spintone, io ho pianto, perché ero piccolo; ma
mio cugino che aveva 14 anni invece no, lui è stato trattenuto dagli
israeliani Un rimpianto:
sicuro. Ma era bella anche l'azione - un coro di "si"'
luminosamente sinceri parte da tutti i ragazzini intorno, ndr -. La
macchina passava, lanciavi il sasso, il sasso rompeva il vetro, il
soldato sanguinava. Come si spendono oggi le energie che due anni fa
i ragazzi dedicavano all'Intifada? I piccoli scivolano giù sulla
plastica colorata, la mattina vanno a scuola, cosa, anche questa, che
per tanto tempo non si è fatta. Ma i più grandi vanno al mare. Il
mare, dove Gaza comincia e finisce, è l'autentico specchio della
nuova situazione di pace. La striscia di sabbia è oggi piena di
vita. Lungo la spiaggia ormai ci sono molte costruzioni in corso,
soprattutto ristoranti e alberghi di lusso, rosa con colonne bianche,
ben ideati, con archi prospicienti il mare, dai prezzi intoccabili
per la maggior parte della popolazione. Il mare si popola ormai a
tutte le ore, fatto inusitato, di bagnanti spensierati. I maschi
entrano nell'acqua tenendosi per mano. Le ragazze sono rare. Da
dentro le verande ad aria condizionata occhieggia la borghesia di
Gaza e guarda la spiaggia affollata e rumoreggiante di rock'n'roll
arabo. Le mamme di buona famiglia sono vestite con il chador; le
bambine spumeggiano di tulle e fiocchi, i maschi, grandi e piccini
sono abbigliati all'occidentale, in stile vagamente
britannico-coloniale, pantaloni a quadretti con le pence. Al
ristorante La Mirage, aperto da una settimana, va anche Arafat con i
suoi a mangiare il pesce fresco. Il mare si frange a pochi metri,
dentro alla vetrata l'aria condizionata preserva dal caldo terribile.
La moglie di Arafat resta a casa, come tutte le mogli e le ragazze in
generale. Un pranzo per quattro costa circa 200 shekel, 100 mila
lire, un prezzo impensabile per la gente di Gaza. C'è un cameriere
impeccabile, Fuad Amar che ha lavorato anni a Tel Aviv e ora
finalmente ha trovato lavoro a casa sua: anche questo è molto nuovo.
Parla del nuovo lusso con un sorriso di soddisfazione:
viene a tutte le ore. La notte si possono persino vedere le ragazze
che mangiano il gelato e sentono la musica, vestite all'occidentale,
protette dalle mura del ristorante rispetto alla spiaggia piena di
ragazzi. Sono in genere ragazze ricche, ragazze del quartiere di
Rimal, dove abita anche Arafat. A volte - Fuad qui stringe amaro il
volto in una smorfia fuori d'ordinanza per un cameriere di lusso - mi
chiedo come si sia potuto costruire prima un ristorante così ,
piuttosto che metter le mani nei campi profughi che sono a dieci
metri, dico a dieci metri da qui, dove manca anche il cibo. Forse le
ragazze della borghesia vestono all'occidentale (noi ne abbiamo viste
per strada ben poche) ma le intellettuali, certamente, no: tutta
coperta, alla musulmana, Kifach El Gusin, 27 anni, è una delle
poetesse più famose del mondo arabo. È una bellezza da miniatura.
La sua presenza a Gaza è un autentico prodotto della pace, come
quella di Fuad: è tornata dalla Giordania, dove viveva da rifugiata
con la sua famiglia, nel '93. Ha subito incontrato il futuro marito,
un poliziotto dell'Autonomia Palestinese che era a sua volta appena
tornato dall'esilio nel Kuwait. È stato il primo poliziotto con
l'uniforme palestinese che io abbia mai visto. Mi sono innamorata -
dice Kifach con un sorriso bello, ma un po' tragico e avvelenato -,
innamorata di ciò che era e anche di ciò che rappresentava. Il
nostro matrimonio è certamente un frutto di Madrid e di Oslo. Adesso
aspetto il mio primo figlio. Non l'avrei voluto concepire se non qui,
in Palestina; se non ora, in tempo di speranza. Per gli
intellettuali di Gaza la pace ha significato moltissimo: molti sono
tornati a Gaza dall'Egitto, come Muhamed Hassib Kadi, o da Tunisi,
come Ahmed Dahbur:
fisso è il sabato sera. Prima a questo appuntamento giungevano in
pochi, e trafelati; chi era finito in prigione, chi era ferito, chi
era stato picchiato. Adesso ci siamo sempre tutti quanti. E pare che
stia per tornare anche il più grande, Mahmoud Darwish. Al Centro di
salute mentale quasi miracolosamente creato cinque anni fa da un
gruppo di psicoterapeuti di frontiera il dottor Ahmed Abu Tawahina
ricorda con un sorriso gli inizi:
Andavamo per strada allora, a spiegare alla gente che la sua malattia
si chiamava depressione, che i sintomi derivati dalla sofferenza
dell'Intifada erano identici a quelli che noi conoscevamo dai libri.
Glielo spiegavamo e glielo spiegavamo ancora finché non li
convincevamo a venire in terapia. Oggi il Centro raccoglie i cocci di
una società traumatizzata: i bambini durante la guerra con gli
israeliani hanno percepito la debolezza dei loro adulti, sono andati
loro stessi a combattere senza difesa per la strada, hanno visto
cadere la protezione dei grandi, si sono cercati da soli una scala di
valori selvaggia e assolutamente primaria, priva dell'autorità
paterna. Hanno avuto tutti quanti un prigioniero in famiglia, un
morto, un picchiato. Oggi alla vecchia depressione per l'occupazione
israeliana si aggiunge un nuovo sintomo: il nemico è diventato
invisibile, e questa società patriarcale, basata sulla coesione,
sulla famiglia e le sue propaggini tribali scopre che i guai sono al
suo interno. Ecco una tipica storia di un paziente: preso prigioniero
dagli israeliani e interrogato con pesantezza, non ha parlato.
Sentendosi un eroe, è tornato in cella dai suoi compagni e
nell'ebbrezza del suo ego carico di vigore, ha spiattellato loro
tutto quanto. Si è fidato, per poi scoprire che i suoi compagni di
cella erano spie del nemico. Da allora quest'uomo è in terapia
familiare, perché non riesce a rivolger la parola neppure alla
moglie. Si è rotto dentro, il suo nemico è la sua stessa società ,
se stesso. Tawahina spiega però che c'è anche qualcos'altro di
molto importante:
problemi siano riposti altrove, la gente si sofferma a guardarsi
dentro: i problemi amorosi, domestici, le fobie, le ossessioni, sono
diventate finalmente nostre. Le nevrosi sono vere nevrosi e non
denunce politiche. Per la prima volta le vediamo portate in terapia.
E poi c'è un'altra novità : la gente sogna il mare, i bambini ne
parlano spesso. Prima, qui a Gaza, che è tutta stesa su una
spiaggia, guardavamo solo verso terra, verso Israele. Sulla via di
uscita da Gaza, in mezzo al mercato, il suk, teatro di tante tragedie
israelo-palestinesi, è aperta di bel nuovo la nuova filiale
dell'Arab Bank, con tanto di marmi e di aria condizionata. Il suo
vicedirettore Azzam Shawwa, 32 anni, appartiene a una delle migliori
famiglie di Gaza. La banca è affollata. Shawwa testimonia un
formicolio di operazioni per un giro di 100 milioni di dollari in
pochi mesi, da quando la banca è stata aperta. E soprattutto,
all'angolo dove si sparava ogni giorno, un Bancomat, il primo nella
storia di Gaza, distribuirà danaro in tre valute: dinaro giordano,
shekel israeliano, dollaro americano. È un Bancomat complicatissimo.
Per installarlo è venuto un esperto da Tel Aviv. Fiamma Nirenstein