REPORTAGE NEL CUORE DELLA RIVOLTA Sangue ed euforia tra la folla inferocita
venerdì 27 settembre 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Dietro le linee del fuoco palestinese, si
entra in un altro mondo: dopo quattro anni di pace, ecco che si
materializza, in un caldo infernale, lo spettro della guerra. Ha
odore di copertoni bruciati e di gas, ha il suo paesaggio divelto e
sconnesso, e i suoi rumori di spari, le sue urla. Tutto è diverso da
ieri. Il West Bank e Gaza, oltre i punti di passaggio da Israele,
dentro l'Autonomia palestinese, sono in guerra. Come un serpente di
fuoco il conflitto esplode ovunque a pochi metri dai posti di blocco. Prima Ramallah, Betlemme, Nablus, a Gaza, si cammina brevemente in un
silenzio surreale: ma subito dopo si avverte l'assenza della vita
normale, si vedono i massi divelti, i sassi in mezzo alla strada dove
solo poche ore fa i palestinesi e gli ebrei andavano e venivano in
pace. Poco dopo, gli spari. I botti più fondi delle pallottole di
gomma israeliane, gli schianti secchi dei fucili, la catena di spari
dei kalashnikov, e più lontani gli spari dall'aria delle armi
israeliane montate sugli elicotteri Cobra. Entrando a Ramallah
abbiamo visto un poliziotto sparare con la pistola, da terra, contro
un elicottero israeliano. Dalla mattina presto, la nuova guerra
mostra le sue paurose novità rispetto all'Intifada. Escono dalle
università le avanguardie degli studenti che ben più di Arafat sono
i veri leader della guerra del Monte del Tempio. Niente più
guerriglia urbana, però : perché le forze israeliane non sono più ,
come ai tempi dell'Intifada, dislocate dentro le città . Si va quindi
a una guerra di confine fra soldati. Questa è la novità : i
drappelli, e poi le masse, corrono verso la linea del fuoco chi in
divisa dotato di armi autentiche, chi di sole pietre. Come ai tempi
dell'Intifada, i bambini corrono fra le gambe dei giovani, ma non
scorrazzano più per le strade. Il movimento si svolge tutto avanti e
indietro, con i fazzoletti contro il naso. Lo scontro avviene come
fra due eserciti collocati uno di fronte all'altro; e le forze di
polizia palestinese sono ormai un vero esercito, con un potenziale di
fuoco piuttosto consistente. È per questo che in queste ore alcuni
personaggi del governo israeliano, come Limor Livnat, ministro delle
Comunicazioni, ripetono che le armi date ad Arafat in dotazione da
Rabin e Peres, sono quelle che oggi uccidono e feriscono, in mano
palestinese, decine di israeliani. Dentro Betlemme c'è una calma
irreale mentre si spara al confine e tutte le strade d'ingresso sono
bloccate da massi anticarro. Non si muove un'automobile, tutti i
negozi sono chiusi, si vedono soltanto i movimenti di truppe armate o
di civili che corrono, sparano e tirano sassi vicino al luogo della
battaglia; e poi fuggono davanti alle pallottole e ai lacrimogeni.
Gli uomini in divisa partecipano ovunque alla guerra; un giro delle
loro caserme le mostra mobilitate ma sostanzialmente si avverte uno
stato di smarrimento. Anche la volontà di Arafat, dice un ufficiale
di Ramallah che, per carità , non vuole essere citato, è
contraddittoria. Ma anche se il rais dovesse, dopo tanti incitamenti
alla battaglia, fare un accordo con gli israeliani, s'infiamma
l'ufficiale, stavolta non avrà il solito seguito, stavolta, dice,
non ne possiamo più e non crediamo più nel processo di pace. Un
insegnante del Waqf (l'organizzazione che salvaguarda i luoghi
dell'Islam) che insegna a Gerusalemme, ma da tempo resta chiuso a
casa per via della chiusura dei Territori, mentre camminiamo con lui
fra gli spari e nel puzzo dei gas lacrimogeni e dei copertoni esclama
in ottimo inglese:
diritto di parlare oggi. Chi se non l'esercito palestinese - dice -
deve difendere il nostro popolo? Gli israeliani ci hanno armato
perché facessimo il loro lavoro sporco, per farci sparare contro
Hamas. Ma i nostri profughi sono sempre fuori dalla West Bank e da
Gaza, mentre i loro coloni sono rimasti dentro. La fame è tanta -
dice l'insegnante che vuole essere chiamato soltanto un "patriota
palestinese" - e che razza di pace è questa? Bene, io sono contento
che abbia vinto Netanyahu, così si è visto chiaramente di che pasta
era fatta la politica israeliana, tutta la loro politica. È stato
Rabin, è stato Peres, ad inventare la politica della chiusura dei
Territori.
preannuncia come una lunga guerra - dice un giovane che porta la
barba all'uso dei religiosi - e guardateci bene; sappiate, voi
giornalisti, che non ho paura di questi spari anzi, ci sguazzo. I
sionisti finalmente oggi hanno pane per i loro denti. Per me è un
giorno di gioia. A Betlemme incontriamo sulla linea del fuoco un
capo del Fatah, di nome Neissa Karake, un combattente con otto anni
di carcere alle spalle:
principale di questa rivoluzione che io prevedo più forte e più
dura dell'Intifada. Siamo stati tenuti d'assedio dentro i nostri
stessi confini, Netanyahu ci ha voluto umiliare in tutti i modi....
Che pensa del recente incontro con Arafat?
che dall'incontro non è uscito un bel niente. E il governo
israeliano ha seguitato a fare insediamenti, a confiscare la terra, a
rovinare la nostra economia.... Avrebbe desiderato la vittoria di
Peres?
tutte le persone che abbiamo intervistato - sono due facce della
stessa medaglia. Ma Arafat, vuole una rivolta di queste dimensioni?
palestinese dominante, e sarà sempre peggio se non avremo una vera
pace, un vero Stato. Gli ospedali dei luoghi di battaglia sono uno
spettacolo incredibile: ambulanze e mezzi privati scaricano senza
intervallo feriti e intossicati più o meno gravi, che vengono messi
uno accanto all'altro su materassi nell'ingresso in attesa di essere
smistati. La promiscuità e la confusione sono totali. Chi vomita,
chi sanguina. Le donne e i bambini piccoli arrivano di corsa per
cercare i loro familiari, piangono e gridano. Il dottor Yacob Metri
il direttore dell'ospedale di Beit Jalla, a Betlemme, racconta stanco
che finora sono stati ricoverati 72 intossicati e feriti, alcuni
gravi operati di urgenza. Ma molti altri continuano ad accumularsi.
così immersi nella violenza; eppoi, c'è poco da fare - sospira -,
non c'è equivalenza militare, anche se siamo armati. All'ospedale
di Ramallah dove vengono trasportati alcuni feriti gravissimi, e
anche alcuni morti, il giornalista israeliano Ygal Sarna, del
quotidiano Yediot Aharonot, viene fatto prigioniero da una folla
inferocita insieme al suo fotografo e si asserraglia, protetto dai
medici in una stanza. Ogni ambulanza che arriva urlando, fa crescere
la rabbia; Ygal, un piccolo e mite intellettuale che oltretutto è un
antico attivista di Pace Adesso, mantiene per ora il sangue freddo,
ma ha le lacrime agli occhi per lo sconcerto:
finito, il sogno è finito. Come è stato possibile commettere un
errore così grande?. Sei un ebreo, sei un israeliano, gli ha urlato
la gente per la quale lui ha parteggiato fino ad oggi. Fiamma
Nirenstein