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REPORTAGE LE EMOZIONI DI TEL AVIV L’angoscia rode Israele sotto le ma schere di Purim All’alba una frustata sul Carnevale Aria di mobilitazione radio accese riservisti richiamati bambini chiusi in casa

sabato 26 febbraio 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV TRAGICA mattina di Purim in Israele: mattina di quel carnevale ebraico che proprio perché è l’unica festa giocosa nella drammatica storia di questo popolo, si festeggia con travestimenti sfrenati. I bambini e gli adulti si camuffano da pagliacci, da diavoli, da re e da regine. Tutti per le strade, coi baffi finti e i cappelli da strega. E d’un tratto il senso del baratro, di nuovo sul Paese intero una guerra incombente e stavolta una guerra interna e non una guerra di confine. La radio ha cominciato a bombardare Israele di notizie agghiaccianti sulla strage nelle primissime ore del mattino. Il numero dei morti è stato imprecisato fino a molto tardi, e in tarda serata ha seguitato ad aumentare. Gli israeliani sono abituati alle brutte sorprese; non amano dare segno di sconcerto. Le prime telefonate fra amici, i primi commenti, le prime riunioni di redazione, cercano di minimizzare, di tenere bassa la tensione. Ma lentamente le voci si caricano di angoscia: è troppo pesante quello che sta accadendo, troppo simbolico. dice Ygal Sarna, uno dei primi giornalisti di Yediot Aharonot, il giornale più venduto - si è persino messo l’uniforme, ha persino creduto di incarnare la volontà reale di un Paese che nell’esercito ha sempre riposto molta della sua fiducia, della sua vita stessa; e poi il luogo, la grotta madre di tutte le religioni, la grotta di Abramo; e proprio nelle feste religiose di Purim e di Ramadan. Quale terribile segno di rottura insanabile è quello che è successo. In queste ore i soldati in congedo sono stati tutti richiamati, e con loro anche gli ufficiali. Gli israeliani usano sentire la radio a tutte le ore, tanto più quando c’è una situazione di mobilitazione. Così tutte le automobili in fila ai semafori, tutti gli autobus pubblici hanno recitato in coro ad ogni scoccare d’ora le notizie del diffondersi della rabbia palestinese: a Gaza, a Bethlehem e poi persino al Nord, a Nazareth dove gli arabi sono in genere più amichevoli; e fin dentro a Kfar Saba nei sobborghi di Tel Aviv. Proprio Tel Aviv, la città più metropolitana d’Israele, è rimasta nel pomeriggio bloccata dalla parte della Kiriat, dove ha sede il quartier generale dell’esercito, da una manifestazione di Pace Adesso. Più che rabbia, fra la gente della sinistra israeliana, che appena pochi mesi fa era scesa in piazza a festeggiare la stretta di mano fra Rabin e Arafat, si avverte lo sconcerto di chi si scontra con la realtà dopo un bel sogno: non poteva andare liscia, si telefonano e si guardano negli occhi sconsolati gli intellettuali, i giornalisti, gli studenti. La guerra di etnie e di religione è un cancro - dicono -, gli accordi politici sono solo dei fragili inizi. Ma la discussione durante il giorno si dirama: da una parte chi sostiene che da ora in poi sarà un’escalation di attentati, che bisognerà tenere i bambini in casa per un po’ di tempo; dall’altra chi sostiene che forse questa strage è uno shock che deve spingere sia le leadership che la gente a muoversi con maggiore decisione. Un’altra domanda dolorosa è questa: se veramente Baruch Goldstein, il settler americano che ha ucciso tante persone e poi si è tolto la vita, fosse un matto in preda a un raptus, oppure il frutto marcio di una cultura ancora potente nonostante la ricerca di pace. O, ancora, se si tratti di una delle tante manifestazioni di odio nell’ambito di una millenaria guerra fra le religioni monoteistiche. Un filosofo come Assa Kasher ha risposto che un religioso mai avrebbe ucciso altri uomini in preghiera, e che si è trattato quindi di un gesto invece spregiudicatamente laico e nazionalistico, e che Goldstein non era un pazzo in senso tecnico, ma un estremista la cui rabbia e la cui paura per gli attentati di Hamas che si erano succeduti giorno dopo giorno nei Territori era giunta per lui a un limite insostenibile. E che il Kach, l’organizzazione di estrema destra cui Goldstein apparteneva, deve essere frenata, contenuta legalmente, riguardata come un pericolo grandissimo per l’intero Stato d’Israele. In genere, gli israeliani nel corso della giornata, via via che i politici più importanti si pronunciavano, davano segno di capire che dietro il problema patologico ce n’era certamente uno politico: così fra il sollievo dei pacifisti, il ministro della Cultura Amnon Rubinstein ha detto che i membri del Kach non devono essere ammessi nell’esercito; e intanto il governo tutto si pronunciava condannando aspramente l’accaduto. Quand’è venuto il buio, dopo una giornata di angoscia, alla vigilia del sabato, Israele ha ripetuto nei dibattiti televisivi e negli scambi di opinione un’idea dominante: è chiaro che se qualcuno vuole inficiare il processo di pace, questo è il suo momento. Non resta che tenere duro. Fiamma Nirenstein

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