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REPORTAGE LA VOCE DI LEAH

martedì 16 aprile 1996 La Stampa 0 commenti
FIRENZE IL vestito da cerimonia era bianco e nero, compunto l'atteggiamento cerimoniale, adatto al premio Pegaso d'oro che la Regione Toscana le ha consegnato ieri in memoria di suo marito Yitzhak: ma Leah Rabin non si è affatto accontentata dei toni della memoria, delle ombre della celebrazione. Il suo intervento è stato un fuoco di passione, una perorazione per l'attuale politicaisraeliana le sue risposte alle domande dei giornalisti, il suo ringraziamento al presidente della Regione Toscana Vannino Chiti che le aveva detto parole di grande affetto per il marito assassinato e le aveva consegnato la statua d'oro e d'argento, una dichiarazione in favore dell'esercito israeliano: Israele, dice Leah Rabin, può vincere il processo di pace solo se è in grado di vincere le guerre, se la sua forza è capace di dissuadere i nemici nuovi e quelli antichi dal fare del male agli ebrei. No, non credo, ha detto la vedova di Rabin, che la strada intrapresa da mio marito corra un pericolo sostanziale a causa della guerra con gli hezbollah. Anzi se lo scontro finalmente dovesse risolversi con la fine di questa incessante, futile, stupida pioggia di katiushe sull'Alta Galilea, certo la pace in generale ne avrebbe una spinta positiva, poiché l'integralismo islamico ne subirebbe un brutto colpo. Hamas e hezbollah, dice Leah, ci attaccano continuamente. Gli hezbollah, da vili, si nascondono dietro lo scudo della popolazione civile. Quando dopo tre, quattro, dieci volte, e dopo aver chiesto in tutti i modi al governo libanese e ad Assad di Siria di farli smettere ci siamo trovati obbligati a fargli intendere con la forza che è l'ora di finirla, cercarli era come cercare un ago in un pagliaio. Ma tant'è : quando si deve, anche l'ago nel pagliaio va trovato. E così abbiamo fatto. Leah Rabin ripete: devono sentire il peso della nostra forza. Assad, Leah interviene sulla politica internazionale del suo Paese, non ha voluto finora dire la sua come si deve. Peccato. Un giorno interverrà ; un giorno, è certa Leah Rabin, uscirà dal suo misterioso mondo dove la politica è incomprensibile almeno a lei, sorride maliziosamente. E noi siamo pronti a braccia aperte ad aspettarlo. Leah Rabin deve avere sentito forte, in questi giorni, lontana da Israele, il richiamo dell'unità nel momento del conflitto: suo marito ha sempre voluto la pace, ricorda Leah, e i suoi compagni, Israele in genere l'hanno fatta non appena è stato possibile. Lui, Rabin (e ripete con puntiglio due-tre volte il nome, pregando che non se ne storpi la pronuncia, che lo si ricordi intatto per sempre) aveva fatto la guerra dei sei giorni, lui aveva strappato i Territori alla Giordania dopo che essa aveva aggredito, e poi lui stesso li ha restituiti. È bastato, dice Leah Rabin, che la Russia smettesse di stendere la sua ala sul Medio Oriente e che Arafat diventasse un partner possibile, e Israele ha seguito la sua vera vocazione, la pace. Così spiega Leah Rabin a un pubblico di politici, di amministratori, che si vede benissimo, lei considera abituati a non volere comprendere la storia di Israele. E a un certo punto lo dice chiaramente: io vi sono molto grata di tutto questo affetto per la memoria di mio marito, e ora non vorrei apparire troppo dura. Ma l'Europa, la sua gente, i suoi giornali, hanno sempre svisato con malizia il nostro atteggiamento, ci hanno attribuito intenzioni aggressive completamente inesistenti, e credo che anche oggi ci sia questa tendenza. Credetemi, l'occupazione dei Territori (che però non abbiamo mai fatto divenire annessione) è stata più dannosa per noi che per chiunque altro. Il mondo intero seguitava a compiangere i poveri palestinesi. Leah Rabin si fa sotto senza mezzi termini: il mondo non ha mai voluto capire la nostra volontà di trovare un compromesso. Il mondo arabo puntava sempre su tutto o nulla, ci voleva buttare in mare. Il primo a capirlo fu Sadat d'Egitto. Poi re Hussein, e Arafat. Adesso tocca ad Assad di Siria. Non siamo né colonizzatori né oppressori, ripete Leah Rabin, siamo gente che fa la pace, che cerca il benessere, che oggi finalmente spende meno anche nel budget per l'esercito; l'importante, per noi è sempre stato fin dalla fondazione, fin dai tempi di Ben Gurion trovare con chi parlare e raggiungere un compromesso fruttuoso per tutti. Il nostro scopo è soltanto quello che ogni ebreo del mondo, e lo dico alla vigilia del giorno della memoria dell'Olocausto, non sia mai più solo, senza casa, senza difesa. Che abbia una patria, piccola ma forte e sicura. Leah Rabin a tratti sembra un ministro degli Esteri, a tratti un presidente della Repubblica che senza remore e mezze parole prenda per le corna il toro dell'opinione pubblica mondiale. sorride ormai veramente stanca, lotta per sopravvivere alla terribile perdita che ho subito. Lo faccio cercando di far vivere le idee di Yitzhak, di spiegarle a tutti, di far vincere, per quello che io posso, la pace. Fiamma Nirenstein

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