REPORTAGE LA TENTAZIONE DELLA SPERANZA Un sabato di gioia e lacrime A ncora increduli gli ex nemici
sabato 24 ottobre 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
PASSA l'angelo della pace, e Israele quasi non se ne accorge; e
anche la Palestina quasi non se ne accorge. Ma l'angelo se la ride,
perché sa che fra qualche ora, quando la televisione avrà
compiuto il suo lavoro di predicatore totale, allora quell'ebbrezza
messianica che cinque anni fa, nei giorni dei primi accordi di pace
rendeva la gente stralunata e ridanciana, tornerà tutto a un
tratto; e anche l'ira e la paura torneranno; e anche il pericolo; e
anche la speranza dei giovani di diventare tutti europei, o tutti
americani, insomma normali. Tutti si sveglieranno ad un tratto e
diranno: che cosa è successo, c'è di nuovo la pace? Sarà una
pace strana, contro tutte le previsioni, gestita da parte
israeliana da un leader che era stato eletto sull'onda della
protesta contro gli accordi di Oslo, un duro che a suo tempo aveva
giurato, di fronte agli autobus che esplodevano, di non stringere
mai la mano ad Arafat, e che non avrebbe dato un millimetro di
sabbia.
Venerdì l'aria è satura della preparazione dello shabbat che
comincia già a metà pomeriggio: è la festa ebraica in cui i
religiosi non guardano la televisione, non sentono la radio, non
vanno in macchina, non accendono neppure la luce. Tutto è
devozione al Signore. Il venerdì , invece, fino a sera, è il
giorno santo dei musulmani. In Medio Oriente si sa, il Padre Eterno
è particolarmente attivo, e quindi la pace ha tempo di decantare
fino a stasera. Poi scoppierà . Intanto la radio e la televisione
snocciolano da giorni, minuto per minuto, annunci drammatici,
particolari degli accordi raggiunti, i commenti in diretta dei
coloni disperati; quelli espressi ma volonterosi di alcuni uomini
di sinistra; quelli scettici di tanti che, Netanyahu, almeno per
ora non lo possono soffrire, dall'una parte e dall'altra. I
palestinesi dicono cose molto simili agli israeliani: ci sono
quelli distaccati, che non credono più in niente, che ormai si
sono disamorati di Arafat, e poi ci sono quelli possibilisti. La
maggioranza guarda in tv una partita di calcio in Egitto, nessuna
immagine di Arafat sullo schermo. Entusiasti, non se ne sente
nessuno. La radio però si impenna quando ne esce la voce
metafisica dello sceicco Yassin, il capo spirituale di Hamas, che
promette a tutti vendetta, morte e attentati terroristici.
I coloni, per voce di Aharon Domb, il capo dell'organizzazione che
sovrintende ai Territori, ripetono un concetto semplicissimo, che
si capisce sarà il pericoloso ritornello dei prossimi mesi sulle
piazze d'Israele: "Il nuovo accordo ci mette in pericolo di vita.
Esso non è in realtà un vero accordo, è una compravendita che
non ci preserva dagli attentati, e non garantisce affatto la
sicurezza che Bibi ci aveva promesso quando l'abbiamo eletto. Non
dirò mai la parola "traditore" per quello che lo riguarda,
perché si sa com'è andata a finire con Rabin. Ma certo, non gli
avevo dato il mio voto per vendermi in cambio delle promesse di
Arafat. Rovesceremo questo governo". Ma la sua voce è già
incredula, perché sa che alla Camera c'è solo un venti per cento
di uomini della destra estrama. Domb è un uomo grasso, con dei
baffoni rossi: è una persona sincera, e davvero crede di essere
uguale agli antichi pionieri dei tempi di Ben Gurion. Non capisce
perché oggi debba andargli tanto peggio, non vuole accettarlo.
Farà qualsiasi cosa, e ancora di più , è arrabbiato con Bibi
perché è lui stesso ad averlo mandato a fare il primo ministro, e
gli ha anche pagato l'aereo per andare a Wye Plantation a fare
questa pace che va tutta ai suoi danni. Sa anche che i colleghi di
Bibi, nel Likud, mentre lo aspettano fanno la voce grossa, ma prima
di fargli cadere il governo ci penseranno due volte.
È caldo questo venerdì a Gerusalemme. Il mercato centrale è
pieno di gente che compra polli, banane, mazzi di menta per il
sabato sera. Qui qualche mese fa le pietre furono bagnate dal
sangue di un grande attentato suicida, dai banchi di frutta
rovesciati uscivano grida di dolore e maledizioni: "Chi ha visto
quelle scene", alza un dito al cielo un venditore marocchino, "non
crede più nella forza degli uomini, solo in quella di Dio. Se
vorrà fermare la mano dei cattivi, la fermerà . Gli accordi
lasciano il tempo che trovano, ma per me vanno bene comunque. Forse
Netanyahu riuscirà a tenere la situazione in mano".
Al nome di Netanyahu molti scuotono la testa: Netanyahu è ormai
un'icona che non sa fare la pace; ma Peres parla da una televisione
piazzata sopra un banco di formaggi, e lo loda. Silenziosi, tutti
ascoltano: "Il grande santo della pace dice che Bibi si è
comportato bene, che la sinistra lo sosterrà , che deve fornirgli
una rete di sicurezza per realizzare gli accordi contro i suoi
stessi uomini che probabilmente gli voteranno contro in
Parlamento". Poi dice anche che però , nella terza fase, quella in
cui si parlerà di Gerusalemme, Bibi non è adatto a trattare. Là
ci vogliono decisioni fatali che l'attuale primo ministro non può
prendere. Ha fatto il massimo per quel che può pretendere dalla
sua coalizione. Queste parole suonano come una critica, ma anche
come una lode: la gente comincia a pensare che, se Peres è
d'accordo, allora forse ci sarà davvero un po' di pace.
Un messaggio che arriva immediatamente alla gente è anche quello
della probabile liberazione di Jonathan Pollard, la spia che ha
carpito i segreti militari degli americani e li ha consegnati a
Israele, e che per questo è in carcere dall'85. In ogni israeliano
dorme l'incubo della cattività , in ognuno il sogno scaramantico
che nessun destino debba essere definitivo, che si può sempre
fuggire. Se Bibi riuscirà a far tornare a casa Pollard e forse
anche Azam Azam, l'arabo-israeliano prigioniero degli egiziani,
potrà riprendere per la coda molta della popolarità che il popolo
del Likud, gente dura e forzuta, per istinto vorrebbe negargli dopo
l'accordo con Arafat. Ma c'è anche, in questo venerdì in cui il
sole cocente si avvia a tramontare su un Medio Oriente un po'
diverso, la gente che, all'entrata del fine settimana, siede nei
caffè di Tel Aviv, di fronte al mare e di Gerusalemme. Sono gli
intellettuali di sinistra, i cinquantenni che hanno odiato
Netanyahu perché aveva posto fine a quella danza di pace che
Israele aveva ballato con Peres e Rabin estaticamente. Sono forse
soddisfatti, ma di poche parole. Che Arafat possa essere un grande
leader lo sanno di già : ha giocato bene, ripetono, ha portato a
casa un notevolissimo risultato. Ma quanto a Netanyahu, ci si
schiarisce la voce, si accennano solo delle frasi mozze. Insomma,
come si fa a dire: "Bibi è stato bravo?".
Fiamma Nirenstein