REPORTAGE LA STRADA DELLE STRAGI Così si muore facendo la spesa Le ur la dei feriti tra i banchi devastati
sabato 7 novembre 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ANCORA. Non ci si crede, ma la storia può ripetere identici i suoi
orrori. Di nuovo fra i pomodori, i cetrioli, i formaggi di capra, i
pani dolci del sabato, il sangue umano. Di nuovo fra la folla
popolare che viene a fare la spesa per la cena festiva proprio il
venerdì mattina, due cadaveri buttati per terra. Grandi, bruciati,
senza testa e nudi. A venti metri di distanza finisce di bruciare
la scultura post moderna che resta della Fiat Uno rossa che ha
condotto fin qui il terrorista o forse i due terroristi suicidi che
ora giacciono: strane bambole di carne, reificati nella loro stessa
scelta di morire così , di esalare l'anima nel nome di Allah in un
mattino di sole gerusalemitano, in odio agli ebrei, ad Arafat, al
povero tentativo di pace di due popoli incatenati schiena contro
schiena.
La cronista corre al mercato Shucr ha Carmel che grottescamente
mima una storia già vissuta il 31 luglio del '97, quando nello
stesso luogo un altro terrorista carico di tritolo fece 15 morti e
156 feriti. Di nuovo i rumori, le urla, il fumo, le fiamme che
ancora qua e là bruciano i resti del veicolo, le ambulanze che
sgomberano i feriti, le macchine della polizia e dei pompieri che
si addensano nella via Jaffa. Qui, all'imbocco del mercato centrale
si è compiuta l'esplosione. Il punto dove i terroristi sono
saltati per aria, di fronte ad una panetteria, è situato alla
confluenza delle stradine del mercato semi coperto, vietato ai
veicoli, dove si affacciano i banchi, uno serrato all'altro, sempre
assiedati, specie di venerdì , da una folla colorata. Le radio
seguitano a trasmettere musica orientale, perché sia i venditori
che i clienti del mercato sono in buona parte di origine africana e
asiatica, anziane donne marocchine con i capelli color della henna,
padri di famiglia che comprano i loro formaggi preferiti, i polli,
la frutta e i mazzi di menta, le spezie viola e gialle in
sacchetti. Girano spersi anche i vecchi di provenienza polacca o
russa, che vengono al mercato con le pantofole di lana, e i ragazzi
che comprano i croccanti di sesamo. Tutti hanno un'aria più
spaesata ed esule che mai. Si aggirano, si raccontano come hanno
visto tutto, più che pieni di panico sono pieni di tristezza,
hanno sentito gli scoppi, hanno visto le fiamme, sono vivi per
miracolo. È questa la gente di cui i terroristi avrebbero voluto
far strage. Sono dei sopravvissuti. Un uomo con una sporta di
plastica lo enuncia chiaramente: "Oggi era stato quasi fissato in
cielo il mio giorno. Andavo a comprare il pane. Ho sentito il primo
scoppio senza capire di che cosa si trattava. Ma l'istinto mi ha
detto di mettermi a correre quanto potevo. Un minuto dopo il botto
più grande che io abbia mai sentito nella mia vita". Una giovane
religiosa con la parrucca e le calze bianche supplica la polizia di
lasciarla entrare: "Là dentro c'è mia madre, il negozio di
cappelli accanto alla panetteria è suo, lasciatemi entrare".
La gente si spinge lungo le transenne di plastica bianca e rossa
dove la polizia blocca tutti con brusca determinazione per paura di
un altro scoppio. Questa infatti è la tecnica ormai consolidata di
Hamas: uno scoppio, due scoppi, la gente accorre e si condensa in
aiuto ai feriti, e poi l'esplosione decisiva, quella che fa il più
gran numero di morti. Tutti cercano un conoscente, un familiare,
spingono, protestano, litigano con i soldati. La radio ha suscitato
l'allarme di chiunque immagina che un suo parente possa essere
andato a far compere sul posto. Come da un mondo alieno, fioccano
dalle scuole religiose circostanti gli allievi, ragazzini vestiti
di nero con i riccioli laterali. Sono tanti, uno zoo di volti
infantili bianchi ed eccitati nell'essere stati strappati via in un
così grande evento dai soliti banchi di studio del Talmud. Un
grosso autobus a pochi metri per miracolo non è stato investito
dall'esplosione: "Io - racconta fiero un passeggero scuro e giovane
- ho capito subito, e ho urlato al guidatore che spalancasse
immediatamente le porte, che ci lasciasse scappare via".
Avanzando fra i pietosi volontari che ad ogni attentato raccolgono
nei sacchi di plastica i resti umani in modo che niente di ciò che
è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio rimanga esposto al
sole, senza accorgersene arriviamo fino ad inciampare in quei due
cadaveri senza faccia. Viene da pensare che gli uomini di Hamas
vadano in due o tre per farsi coraggio, che anche loro incarnino
una perversione tuttavia umana, che siano affetti da una malattia
endemica, e forse anche epidemica. Di certo, infatti, in questo
periodo Arafat cerca di fermare almeno la parte armata
dell'organizzazione estremista islamica, ma il dissenso intorno
all'accordo di Wye che ha appena firmato non smette di espandersi,
di esprimersi ovunque si parli con dei palestinesi, persino
all'interno della sua polizia, fra i suoi stessi uomini. Hamas, da
quando c'è stato l'accordo, ha compiuto tre attentati, che anche
se non sono molto ben riusciti pure, per così dire, sono sempre
meglio organizzati. Quest'ultimo, infatti, a differenza degli
altri, è stato portato fin dentro il cuore di Gerusalemme. Non
deve essere stato facile. Hamas vuole provocare il governo
israeliano affinché rifiuti l'accordo di Netanyahu e Arafat, e
vuole anche indebolire il capo storico dei palestinesi.
"Come si sente?" chiedo ad un marocchino molto pallido, con la
kippà nera che vuole disperatamente tornare al suo negozio di
souvenir, stelle ebraiche e bicchierini di vetro da benedizione:
"Sono emozionato, certo, ma soprattutto le voglio dire: ormai ci
siamo abituati" (e infatti poco dopo l'esplosione la gente tutto
attorno ricomincia a vendere e a comprare). L'uomo ha gli occhi
niente affatto terrorizzati, ma piuttosto depressi. Forse il
terrorismo non finirà mai, ed è il prezzo del processo di pace.
Fiamma Nirenstein