REPORTAGE LA SFIDA DEGLI ULTRÀ Sono assediati, uscire di casa ogni gi orno significa rischiare assalti e agguati Con Bibbia e fucile contro la p ace Viaggio tra i coloni ebrei: Arafat, stai lontano
lunedì 17 luglio 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME RAMALLAH, e poi Ein Ja Brut. Il mondo di Gerusalemme
cambia rapidamente; ci inoltriamo nel West Bank che presto non sarà
più , ma . Ma pur sempre
un mondo impolverato e assetato come adesso; in più si vedrà
l'esercito israeliano che ripiega su strade costruite di bel nuovo
per evitare quel contatto con i palestinesi che per tanti anni è
stato così stretto. Dentro ai Territori, sulle strade dissestate,
corriamo verso l'insediamento di Ofrà : la macchina è blindata, ma
è una giardinetta, ha un aspetto mite. Come il suo padrone; il mio
ospite colono che viene a prendermi a Gerusalemme si chiama Daniel
Cassuto, di professione è genetista ed è il fratello del
vicesindaco italiano di Gerusalemme, David Cassuto. Si somigliano un
po'; ma il ricordo della deportazione da Firenze del padre e della
madre, e poi del ritorno da Auschwitz della mamma solamente, in
quell'Israele dove i bambini erano arrivati per avventura su una
nave, e poi l'uccisione quasi immediata della madre da parte degli
arabi, ha forse lasciato in Daniel un segno più evidente, anche se
certo non più profondo. Daniel guida, e la macchina sobbalzando
produce una sua musica dai suoni molto decisi: s'infila diritta
dentro la Samaria, nel primo insediamento della zona, creato nel '75
con la convinzione di un ritorno a una realtà eterna, scritta da
Patriarchi, nel Libro dei Libri, per corroborare l'identità ebraica.
Chi sono i coloni? Di certo, e tutto il mondo lo sa, non c'è giorno
in cui essi stessi non cerchino almeno per una parte di confermarlo
con le loro azioni: sono un tipo di persona che si sente in possesso
di una verità superiore. E questa verità ce l'ha ripetuta tante
volte tutta la gente incontrata a Ofrà fra le case quasi svizzere
con il tetto rosso, tra i fiori e la vista delle montagne circostanti
punteggiate di villaggi arabi e di insediamenti:
nostra. Lo dice un testo ben più importante di qualsiasi accordo
politico: la Bibbia. Rabin agisce soltanto in nome di una parte
minoritaria della popolazione, e comunque non esprime un punto di
vista ebraico. Quindi, non è legittimato a dar via quella che ormai
è casa nostra a tutti gli effetti. Questo è il gelido e insieme
appassionato assunto della posizione dei coloni. Ma al di là di
questo c'è molto di più . C'è la vita di gente ormai ritenuta dal
mondo intero soltanto un inciampo sul cammino della pace.
sono andato a comprare quel cedro - racconta Daniel Cassuto, e indica
un albero a cui fa da sfondo Ein Ja Brut, bianca e certamente
minacciosa, così vicina oltre la vallata, oltre il villaggio
costruito a cerchi concentrici, con una garitta di guardia sempre in
funzione - il giardiniere mi disse: "Guarda che un cedro ci mette
trent'anni a diventare un albero vero e proprio". "Giusto, mi dia
proprio quello", gli dissi allora io. E non me ne andrò neppure se
lo Stato palestinese sarà insediato sulla mia terra. La mia casa
resta la mia casa. Qui noi siamo venuti perché è terra di Israele,
ma anche perché luogo più gentile e più pieno di brava gente per
mia moglie Ester e i nostri cinque figli, tutti provenienti dal
kibbutz Yavne, non esiste al mondo. Ofrà , come gli altri 130
insediamenti circa della Samaria, vive in un continuo stato di
precarietà : arrivarci è un problema da macchina blindata, mandar
fuori i figli è un'impresa da batticuore, andare al cinema o a
teatro a Gerusalemme significa attraversare di notte Ramallah. Le
pietre volano, e anche le bombe molotov. Ma sul tema del pericolo gli
abitanti dei Territori sono preparatissimi, e ostentano una sfrontata
spensieratezza. In una delle belle case, sempre spalancate sulla
natura, incontriamo la rebetzin del paese, Yaffa Gisser, la moglie
del rabbino Avi Gisser; è una bella quarantenne con un foulard rosso
fuoco legato in testa, la gonna lunga e lunghi pure gli orecchini che
rendono più brillanti gli occhi intelligenti. Seduto vicino a lei
Uri Elitzur, un capo dei coloni, che da un po' di tempo si è dato
alla politica perché il suo mondo, lui dice, ha bisogno di
combattenti. È magro e abbronzato, cinquant'anni circa, matematico
di professione. Ecco la sua statistisca personale del pericolo,
spiegataci in mezzo ai pianti dei bambini di Yaffa che vogliono
andare subito in piscina:
verso Ofrà o verso qualcun'altra delle nostre cittadine, si viene
colpiti dai sassi circa tre volte l'anno. Dalle bombe molotov, una
volta. Spari: tre anni e mezzo fa c'è stato un morto di Ofrà , Zvi
Klein, ucciso da una pistolettata di una macchina carica di
terroristi che ha sparato dopo averlo superato. Una tecnica classica.
E c'è stato un altro ferito; che però non è morto. Mi dica lei se
non è un tasso di incidenti molto minore di quello di Tel Aviv, o di
Roma. Le nostre strade sono fatte apposta per far giocare i bambini,
la tensione della vita quotidiana è molto minore. La moglie del
rabbino è molto più malinconica, le sue figlie ormai grandi tornano
di notte da Gerusalemme:
Rabin e invece con l'aiuto sotterraneo di Peres, da qualche tenda e
da qualche caravan situati a lato di un accampamento, giovanissimi,
il rabbino, Yaffa e primi ancora di loro Uri Eliztur vennero a stare
qui: baracche, amore, Bibbia, e soprattutto l'illusione che si
presentasse loro un'occasione unica, che Israele credeva finita nel
1948: partecipare al grande, epico ritorno degli ebrei nella Terra
dei Padri. Quella foto ingiallita se la passano di mano in mano
Daniel, Avi, Yaffa:
sindaco arabo di Ein Ja Brut i primi narcisi coltivati da noi:
"Portali a tua moglie" e quando lui disse di averne tre, ebbe tre
mazzi di fiori in regalo. L'Eden è finito per sempre. Daniel
Cassuto profetizza:
guai sono arrivati per tutti. Perché gli arabi non ci vogliono né
qui, né a Tel Aviv, né a Haifa, e per loro West Bank è soltanto il
primo passo. Yaffa è sgomenta:
paragonabile a una grande deportazione di massa. Ormai viviamo qui da
tre generazioni. Uri è più polemico:
grande leader della sinistra, disse che avrebbe disobbedito
all'esercito se gli avessero ordinato di sgomberare un villaggio
arabo i cui abitanti avevano ucciso una bambina ebrea. E noi allora
perché non dovremmo disubbidire all'ordine di andarcene? E quello
sarebbe stato, se fosse avvenuto, uno sgombero temporaneo, di soli
tre mesi. A noi ci vogliono espellere per sempre. E non abbiamo
ucciso nessuno. Ma Baruch Goldstein? Come possono i coloni escludere
che ci saranno episodi di violenza pari alla grande strage dell'anno
scorso?
noi, sono veramente pochi. Una minoranza estrema. La maggior parte di
noi seguita a chiedersi tormentosamente come conciliare le nostre
scelte con la scelta di vivere in uno Stato democratico. Ma chiunque
non sia fascista sa che la pace è importante, ma sa anche che
spostare una massa immensa di persone dalle loro case, è uno strappo
pieno di dolore. Rabin sembra non rendersene conto. Fiamma
Nirenstein