REPORTAGE LA RIVOLTA SFIORA TEL AVIV L’Intifada dei dimenticati di Ja ffa Si ribellano anche gli arabi d’Israele
domenica 27 febbraio 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV LA spiaggia di Tel Aviv, su cui si affacciano i grandi
alberghi dove si danno appuntamento gli ebrei di tutto il mondo, e
presso la quale i vecchi aschenaziti seduti al sole ricordano i Paesi
d’origine, ormai frastornati dal traffico urbano, curva un po’ verso
il Sud in uno sperone sormontato da antiche costruzioni arabe. Quella
è Jaffa, un mondo a parte attaccato alla metropoli ebraica e oggi
percorso, come tanti altri luoghi in cui abitano gli arabi
israeliani, detti anche palestinesi israeliani, da un’ondata di
rabbia e da una vera e propria novella Intifada. Gli arabi di Jaffa
erano prima del ‘48 un’elite intellettuale produttiva. Oggi la
cittadina, ridotta ad un affascinante sobborgo turistico, consta di
un meandro di viuzze cui si promette di continuo una politica di
risanamento ambientale. Per ora, a partire dalla via Yeffet, percorsa
dai giovani infuriati che rovesciano automobili e lanciano pietre
contro la stazione di polizia, quel che si vede sono case obsolete,
negozi piuttosto approssimativi aperti fino a tarda notte. E
soprattutto, molti, molti giovani arabi che si aggirano fra il
mercato delle pulci e le moschee, sempre di più ostentando una
piccola barba che testimonia il loro ritorno all’Islam. Oppure
cercano qualcosa da fare. La disoccupazione fra gli arabi israeliani,
circa un sesto della popolazione totale, è più o meno il doppio di
quella fra i giovani israeliani; la criminalità e l’uso della droga
sono in aumento, il senso della discriminazione e più ancora di una
crisi di identità che percorre il loro mondo, soprattutto a partire
dal tempo dell’Intifada, grande. E amaro. Nel 2000 la popolazione
israeliana sarà di 4 milioni e 200 mila abitanti; quella
araba-israeliana di 1 milione e 200 mila. Una immensa massa di popolo
che fin dal 1948 ha cominciato ad interrogarsi: sono israeliano? Sono
arabo? Sono un palestinese come i miei fratelli che lanciano pietre
nei Territori e vogliono costruire il loro Stato? Quanto la mia
identità coincide con quella dei miei cugini ebrei? Un amico ci
mostra foto ingiallite del paesaggio vicino a Jaffa ed in Galilea
prima del ‘48: si riconoscono le colline, le strade principali, ma la
vegetazione, il tipo di costruzione sono completamente mutati. Nei
villaggi arabi le vecchie case di pietra hanno lasciato posto a
moderne costruzioni in mattoni che appena riprendono gli stilemi dei
padri, con archi e finestre a bifora. Ad un passo gli eccessi
urbanistici della modernità israeliana. La vita è certo più comoda
con gli israeliani, ma il peso della differenza resta terribile.
villaggio arabo vicino a Natanya - volevo essere come loro. Mi
sembrava di aver imparato tutto da loro: a fare la doccia, ad amare i
cani, a uscire con le ragazze ed a cercare di baciarle prima del
matrimonio. Ho imparato ad usare il computer, ad apprezzare il buon
cibo, il rock and roll, i viaggi. Ma già mi chiedevo perché a
scuola dovevo imparare le poesie di Bialik, perché la lingua
ufficiale non era anche la mia, che pure da tempo immemorabile ho le
mie radici e quelle della mia famiglia su questa terra. Perché non
si fidano di noi tanto da non chiederci di fare il servizio militare;
perché non c’è un’università araba in Israele; perché nonostante
la spinta a studiare nelle università ebraiche poi il 42% dei
laureati arabi non trova lavoro contro il 15% degli israeliani?. Il
governo israeliano ha da poco affidato ad un arabo il compito di
essere l’ambasciatore israeliano in Finlandia. Si parla poi di Abdel
Wahad Darawshe, un deputato del partito democratico arabo alla
Knesset, come di un contatto prezioso fra Israele e la Siria.
L’esercito israeliano celebra costantemente alcuni eroi beduini. Pure
il grande complesso scientifico e militare d’Israele, che è anche
fonte di lavoro specializzato e di ricerca scientifica è per loro
quasi chiuso ermeticamente: abbiamo ormai nomi eminenti nella storia
d’Israele, scrittori meravigliosi, membri del Parlamento.
- Ali si duole - non abbiamo ministri, siamo discriminati in tutte le
cariche più importanti. Si può dire che siamo qui come gli indiani
d’America, siamo il Grande Assente. Dai tempi dell’Intifada gli
arabi israeliani si sono trovati tra l’incudine della pressione
palestinese, alle volte feroce, alle volte carica di disprezzo, ed il
martello del cocente sospetto israeliano: da che parte state? Questa
è la domanda che è stata loro rivolta, perché parteggiate per i
nostri nemici? Così strana mi sembra questa domanda - commenta Ali
- così strana da parte di un ebreo! Gli ebrei sono pronti a
mobilitare tutte le loro forze per salvare ebrei etiopi, ebrei russi,
gente mai vista prima. E noi non dovremmo solidarizzare con persone
che molto spesso sono addirittura nostri parenti carnali, vivono ad
un passo?. La vicinanza con gli israeliani ha divelto la ,
la grande famiglia tradizionale, ha indotto persino un movimento
femminista. Sono bombe a scoppio ritardato: il ritorno alla
religione, la estremizzazione, in certi casi, dei sentimenti
nazionalistici ad essa connessi aspetta in agguato e si espande
vieppiù . Molti uomini di buona volontà da entrambe le parti tentano
ancora di svolgere quella che sembra loro una funzione naturale:
utilizzare la loro posizione per essere un ponte tra israelianità e
identità araba. Fiamma Nirenstein