REPORTAGE I PALESTINESI PROVANO LA DEMOCRAZIA Le festose elezioni del pifferaio Arafat
venerdì 19 gennaio 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV DOMANI sera, prima di Ramadan, tutte le operazioni di voto
delle prime storiche elezioni palestinesi saranno compiute. Arafat
vincerà , e su questo non c'è alcun dubbio. Anzi, in queste ore,
dopo un'accurata orchestrazione delle liste della campagna, sta
cercando di non stravincere, perché la legittimazione sia più
autentica anche agli occhi dei sostenitori internazionali, così
sensibili ai diritti civili, a quel confronto delle idee che nel
mondo islamico non è poi tanto popolare. I grandi centri sono pieni
di rumori e colori, le mura tappezzate di ritratti sorridenti di
uomini dall'aria soddisfatta, ricca, oppure guerriera,
prevalentemente giovani e baffuti; le donne rappresentate sui
cartelloni pubblicitari, poche, sono tutte quante, compresa la
austera Hanan Ashrawi, che si presenta a Ramallah, con un tocco di
gusto orientale, le guance molto rosa, i capelli e gli occhi molto
neri. Ramallah è tutta imbandierata, pavesata, gli altoparlanti
dalle macchine in tutta la West Bank e a Gaza invitano a votare per
questo e per quello, oppure a incontrare personalmente il candidato,
si tengono assemblee collettive o per categoria, oppure incontri
mirati. Esistono candidati ricchissimi, come Abu Farej Kaddura, di
Betlemme, che basano la loro campagna su un'indispensabile promessa
di benessere in luoghi dove manca tutto, l'acqua, la luce, il
telefono e le infrastrutture basilari come le fogne. Questo tipo di
candidato arriva su una Mercedes bianca, veste all'occidentale, è
famoso per come parla bene l'ebraico e per come sa fare affari con
tutto il mondo e in particolare con l'ex nemico. Di loro un ragazzo
palestinese, che traduce per noi, dice: È gente made in Israel.
Meglio questo, comunque, che essere, per esempio, un ;
questi, ci spiega il nostro amico, sono candidati grassottelli e
viziati, che vengono da Tunisi, che non sanno cos'è l'Intifada,
burocrati molli come cioccolatini, spaventati davanti ad Arafat,
pronti a sciogliersi. Ci sono invece candidati come ,
il generale Abu Khaled, un valoroso combattente esperto di tutti gli
esilii, che in campagna elettorale esibisce soprattutto la sua
esperienza di guerriero. Alcuni candidati, fra le proteste degli
israeliani, hanno messo il Kalashnikov sulle loro insegne elettorali:
programma elettorale più chiaro non potrebbe esistere. I campi
profughi nelle città appena liberate sono l'epicentro
dell'eccitazione. Ma la campagna elettorale è molto intensa anche
fra i fellah, i contadini che vivono in piena West Bank, dove ad
occhi socchiusi ci sembra che il paesaggio sia quello toscano. Gli
ulivi sono antichi, i cipressi magri e neri li accompagnano sui
terrazzamenti. Le case come quella dove vive la figlia di Abu Jihad,
il braccio destro di Arafat ucciso da un commando israeliano a Tunisi
nell'88, sono case armoniose, basse, fatte di pietra. Ad occhi
spalancati tutto appare molto più povero e abbandonato. Ma Hanan,
che si ricorda come il capo del commando entrando nella sua casa a
Tunisi a volto scoperto le disse in arabo e poi
sparò a suo padre, oggi è finalmente tranquilla. Ci riceve in una
grande tenda piazzata sull'aia davanti a casa, tappezzata di foto di
suo marito Ahmad Edik, un palestinese yuppie, finalmente senza baffi,
biondo, di modi raffinati. È candidato nelle liste di Fatah e lo è
anche la madre di Hanan, Umm Jihad, come dire Madre Jihad, la vedova
dell'eroe. La mamma è candidata a Gaza ed è la grande favorita, una
politica consumata, dinamica, molto emancipata. Il marito Ahmad Hanan
lo incontrò al funerale del padre:
giorni a casa a trovarmi. Ha quasi vent'anni più di lei, ma lei ne
ha solo 23. Ora dopo tanti anni di esilio è tornato come candidato
molto appoggiato da Arafat, ha le sue radici nella campagna di Kift,
vicino a Salpit. Una zona a cui manca tutto. Il padre contadino di
Ahmad parla solo di prigionieri politici; se non torneranno, dice,
tutto il processo di pace andrà all'aria. Ahmad, come per esempio
Hanan Ashrawi o altri candidati, parlano poco di argomenti politici
nelle loro riunioni. Toccano i temi della democrazia, o delle donne,
ma prevalentemente non è questo il punto. Lo scontro ideologico è
minimo in questa campagna a cui infatti Hamas non partecipa
direttamente. Nessuno litiga sul fatto se sia opportuno o no portare
avanti il processo di pace. I candidati discutono soprattutto di che
cosa bisognerà fare nel futuro, di una vita migliore, di dove si
troveranno i soldi per costruire le case e le fognature. In queste
elezioni dove il partito di Arafat è praticamente un manto che tutto
avvolge, lo scontro semmai è tra i capi dell'Intifada (di cui fa
parte anche la vecchia leadership locale) e il gruppo dirigente di
Tunisi da poco immigrato con Arafat. Poi ci sono anche le grandi
famiglie, che però a loro volta in parte hanno messo il loro potere
(controllano fino a cinquemila voti) a disposizione di Arafat. Il
dolce sapore della libertà sembra in queste ore placare gli scontri
interni, che pure certamente riappariranno a elezioni compiute. Le
parole magiche , hanno un suono un po'
arcano e misterioso in questo mondo arcaico. Ma come un pifferaio di
Hamelin, vengono seguite, oggi, senza troppo chiedere. Fiamma
Nirenstein