Fiamma Nirenstein Blog

REPORTAGE COSTRUIRE UNO STATO Tra pochi giorni l'esercito dello Stato ebraico lascerà la prima città della Palestina Nelle nuove terre del regno di Arafat A Jenin in Cisgiordania, da dove Israele si ritirerà

venerdì 13 ottobre 1995 La Stampa 0 commenti
JENIN NOSTRO SERVIZIO I soldati israeliani siedono, al Chek Point, con le gambe ciondoloni da un muretto. Si vede che già lo sentono anche loro, dove pure verdeggiano le foreste svizzere piantate intorno alla polvere e alle vigne pietrose al tempo dell'occupazione, che è già Palestina. Jenin sarà la prima città palestinese, il primo dei grandi centri, ad essere abbandonato da Tzahal, l'esercito israeliano, da qui a pochi giorni. Le prove generali sono state fatte mercoledì , quando alcuni convogli sono usciti da una piccola fortezza turca alla periferia di Jenin, nella località di Kabatia. La bandiera con la stella di David è stata ammainata, una folla di ragazzi, di donne con lo chador, di vecchi felici, ha issato sul pennone la bandiera palestinese, mentre gli uomini, i guerrieri, guardavano quasi sull'attenti. Canti, balli, ritratti di Arafat; e soprattutto una valanga di discorsi (sette) tutti quanti di esponenti di Fatah, il partito del rais, che già stringe le fila in preparazione delle elezioni di dicembre. Il momento è grande, nasce uno Stato. Nasce un bambino: sarà capace di vivere, di amare, di comunicare? Jenin sorge su un terreno agricolo molto ricco: entrando nella West Bank la si scorge bianca e decisamente araba sul pendio della collina, tra le palme e gli ulivi. La via principale della città , che conta 35 mila abitanti, è uno shuk vociante, un mercato di frutta, vestiti, scarpe a buon mercato; sulle mura sono pronte le scritte per l'uscita dell'esercito israeliano: passo sulla via per Gerusalemme. qualsiasi altra città sotto l'occupazione israeliana. Atef Abu Rob è un giornalista di , La Vita, un foglio locale; sposato, con tre figli, un anno e mezzo di prigione, occhi azzurri, capelli rossi, indossa una maglietta Lacoste verde brillante. degli israeliani che non ci hanno lasciato commercializzare sul loro suolo i nostri prodotti agricoli, stringendoci d'assedio. E poi abbiamo una continua penuria d'acqua, che dovrebbe essere modificata dagli accordi, ma io ancora non ci credo.... Vi restano intorno, però , molte foreste; utilizzerete le zone delle coltivazioni intensive dei kibbuz... resta niente di buono, solo la memoria della sofferenza. La contaminazione culturale. Noi abbiamo la nostra cultura, l'Occidente non ci riguarda.... E Atef, con la maglietta col coccodrillino, racconta la sua storia, tipica della Jenin di questi ultimi anni: una famiglia moderna diventata religiosissima per reazione, una moglie che non si accontenta dello chador come quello della segretaria che siede nell'anticamera dell'ufficio, un solo pesante velo bianco, ma che se ne è messa in testa addirittura due, così da esser sicura che i capelli non si vedano affatto. La moglie lavora in tre comitati, risponde stizzoso quando paragono la sua metà alle ebree religiose, s'impegna per la causa, per gli ex prigionieri, per gli orfani. Sì , lo chador è sempre più diffuso, e Hamas, benché lui appartenga a Fatah, fa certamente del bene alla gente. Hamas, politicamente non conta niente, non ha nessuna chance di vincere le elezioni. Kaddohura Moussa è l'uomo che rappresenta Arafat a Jenin. Bruno, con la pelle sciupata anzitempo, il piglio del politico consumato, è stato in prigione otto anni. Ora è circondato da quella sovrabbondanza di ascoltatori e di seguaci che caratterizza sempre il potere mediterraneo del Sud, e le zone dove il lavoro è poco: un bene che noi stessi abbiamo conquistato e che noi per primi onoreremo. Jenin - spiega con autentico orgoglio - è una città potente, conta nella sua zona 64 villaggi, 5 città , 2 campi profughi. È un autentico capoluogo. Presto l'economia decollerà , assicura accendendosi l'ennesima sigaretta nel piccolo ufficio in cui giungono i suoni del mercato, la musica lontana e molti annuiscono alle sue parole. Moussa spiega che lui non odia gli israeliani come esseri umani, che gli ebrei valgono i cristiani e i musulmani, che se verranno come turisti li accoglierà fin dentro la sua casa. Ma quando usciamo, Ahmad, un rossino di circa vent'anni, già padre di due figli, dice che a casa sua gli ebrei non ce li vorrà mai, che non ha nessuna intenzione neppure di visitare Israele dopo che sarà stabilito un regolare confine: Tel Aviv non gli interessa. Lui vuole solo Gerusalemme, perché . Una visita, in cui troviamo molto garbo e molti sorrisi, ci porta dentro la casa di Abd El Fath Abu Aldahab, uno dei leader del Fronte popolare, il raggruppamento laico che si oppone ad Arafat e che sta stringendo un'alleanza sempre più serrata con Hamas in vista delle elezioni. civili - dice Abu Aldahab, che ha fatto sette anni di prigione e ora vive in una casa piena di comodi divani, di quadretti in stile alpino, con due bellissimi bambini e una moglie emancipata che in gonna e maglietta spiega la matematica - non mi sconvolgono, anche gli ebrei seguitano ad ucciderci. Nel mio futuro non vedo ancora nessuna rosea aurora, vedo ancora israeliani, sofferenze e ancora sofferenze. Non credo a una parola delle loro promesse, non credo alla pace dei leader, né a quella di Peres e neppure a quella di Arafat, ma solo a quella dei popoli. Non credo che le prossime elezioni saranno democratiche, penso invece che saranno dominate dalla corruzione e dal denaro. Arafat le guiderà con tutta la sua abilità , la sua forza, come solo lui sa fare: e benché io, certo, lo ami come un capo e come un padre, insieme all'opposizione della mia parte e insieme all'opposizione religiosa, lo combatterò finché i nostri diritti non saranno davvero rispettati. L'opposizione al processo di pace è forte, ci assicura il nostro interlocutore, i paesi e i villaggi esprimeranno una loro leadership, e prescinderanno dagli ordini di Arafat. Nemmeno a due chilometri da Jenin vivono nel settlement di Ganim non più di 60 famiglie. Per loro è stata appena ultimata una di quelle strade , previste dal secondo accordo di Oslo. Brilla, nuova nuova, dell'asfalto nero depositato di fresco; renderà i settler dei fantasmi autorizzati a passare in automobile soltanto fuori dell'abitato, senza mai incontrare un arabo, scortati ad ogni mossa. Una donna affacciata a una finestra guarda da lontano le case moderne degli ebrei. Le domando se pensa che un giorno saranno semplicemente degli stranieri ospiti sulla sua terra. Mi risponde con una risata a gola aperta: andranno presto. Dovranno andarsene. Non possiamo essere buoni vicini. Fiamma Nirenstein

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