REPORTAGE CONDANNATI DALLA STORIA Golan, eutanasia del kibbutz Tra i pionieri dal loro partito
martedì 20 settembre 1994 La Stampa 0 commenti
GAMLA COM’È triste il Golan, tutto crateri di basalto, alto e
solitario sulla Galilea, giallo per il troppo caldo. Ogni tanto le
case bianche ombreggiate di alberi dei kibbutz e i villaggi drusi, le
vigne e le piantagioni di mele, ristorano l’occhio. Ma anche qui
trovi ad ogni svolta un monumento di sassi spinoso di baionette, una
torretta di tank spaccata, incoronata di fiori, la bocca spalancata
di una casa sventrata dalle bombe, una lapide elementare che piange
un figlio di vent’anni perduto. Da quando Rabin ha annunciato
venerdì scorso alla nazione che la pace con la Siria è ormai
sull’agenda di Assad e del governo israeliano e che il prezzo è la
restituzione in tempi brevi dell’intero Golan, sulle alture
prospicienti a Sud il lago di Tiberiade e la Galilea e a Nord
infilate fin dentro la Siria, a Kuneitra, si consuma qui la fine di
un motivo fondamentale della storia stessa dello Stato d’Israele: il
mito del pioniere socialista che fonda il kibbutz in onore della sua
ideologia, e anche però per essere un soldato alla difesa dei
confini. I 13 mila residenti dei kibbutz e degli insediamenti per lo
più comunitari del Golan, infatti, altro non sono, ormai, per il
governo, che non desiderati, ostacoli sulla via della
pace, nemici di Rabin e di Peres. Ma, a differenza dei
della Giudea e della Samaria, la loro ispirazione ideologica non ha
alcunché di religioso o di escatologico, l’80 per cento ha votato
laborista, la pace per loro è un impegno fondamentale. Non solo: per
lo più essi sono stati invitati espressamente dal partito ad essere
soldati e contadini. La loro disperazione dunque è doppia: andarsene
dal Golan, da casa loro, e sentirsi traditi dalla loro stessa parte
politica socialista. Gamla domina una serie di crateri e di valli di
basalto, in fondo al burrone i resti di un villaggio ebraico che fu
espugnato 2 mila anni fa da Adriano dopo una terribile battaglia. Qui
siedono da una settimana sotto un tendone una dozzina di uomini e di
donne circondati da una folla che va e viene: sono i leader della
rivolta del Golan che digiunano per protestare contro Rabin, visitati
ogni giorno da intere popolazioni di , e anche da uomini
politici importanti, quasi sempre di sinistra. Il gruppo è come una
foto d’altri tempi: giovani uomini nel vento caldo con il
tembel, il cappelluccio tipico del kibbutz, coi pantaloncini corti e
abiti elementari, il disprezzo ostentato per qualsiasi forma di
consumismo. Le donne sono prive di trucco e di civetteria, i vecchi
portano la camicia bianca aperta sul collo e le loro criniere sono
candide. Digiuna anche il primo dei veterani laboristi che fondò il
kibbutz Merom Golan, Yehuda Arel:
costruire qua, con i nostri petti, un baluardo di difesa del Paese e
dell’umanesimo ebraico. Ci hanno chiesto la nostra stessa vita, e
adesso ci devono rispetto. Il Golan era parte della Siria fino al
1967, e fu oggetto di una battaglia terribile anche durante la Guerra
del Kippur nel 1973, quando all’improvviso l’esercito siriano sferrò
un attacco che portò i suoi tank fino all’interno di Israele, mentre
le truppe egiziane sfondavano nel Sinai. I due eserciti nemici
rompevano per sempre il mito dell’invulnerabilità israeliana; i
servizi segreti non erano stati in grado di prevedere l’attacco, i
morti e i feriti israeliani coprirono il campo di battaglia. Solo
atti di eroismo individuale e disperato impedirono ad Assad di
marciare fin dentro la Galilea e ancora più avanti nel cuore di
Israele. Avigdor Kalahani, un deputato del partito di Rabin, fu uno
di quelli che fermò i siriani battendosi all’ultimo sangue coi suoi
pochissimi uomini: oggi è uno dei leader nella lotta per il Golan:
Giudea e la Samaria. Qui non ci sono palestinesi, ci sono solo ebrei
e drusi che hanno sempre convissuto in ottima armonia. Non c’è di
fronte a noi un popolo che rivendica una terra, ma solo il peggiore
dittatore del Medio Oriente. Michael Landsberg, uno dei leader del
movimento, 34 anni, membro del kibbutz Ortal, per niente fiaccato
dallo sciopero della fame, ma anzi, col piglio battagliero ed allegro
imparato nel movimento giovanile dei kibbutz ha una sua storia tipica
da raccontare:
meravigliosa. Oggi siamo diventati 250, coltiviamo mele e viti,
abbiamo 100 bambini. L’80 per cento dei kibbutznik vota per il
Meretz, il partito radicale. Nessuno di noi aveva storie religiose
per la testa, nessuno si sentiva unto dal Cielo per la preservazione
della terra dei Padri. Volevamo invece, vogliamo, un’Israele sicura,
democratica ed ebraica. Occupare la Giudea e la Samaria vuol dire
contravvenire a tutti e tre questi principi. Per il Golan è
esattamente l’opposto. Io sono favorevole all’autodeterminazione dei
palestinesi... Noi qui non opprimiamo nessuno: è vero che prima del
’67 esistevano alcuni villaggi siriani nella zona. Ma anche gli ebrei
abitavano a Damasco, e a Tunisi, e in Libia, e in tutto il mondo
arabo. Oggi sono qua, oppure sono stati uccisi. Così è la storia,
così la guerra... Acqua passata. Rabin, il grande amico di un
tempo, adesso è necessariamente divenuto la prima bestia nera, il
Traditore: È corso così in fretta verso Assad, perché il premio
Nobel è vicino, sorridono melanconici nel kibbutz El-Rom. È il
più a Nord di tutto il Golan: secondo i piani di restituzione
graduale ma veloce (fino a tre anni di tempo) annunciato da Rabin,
dovrebbe essere il primo ad essere consegnato ai siriani. I 350
membri del kibbutz, che oltre alle attività tradizionali hanno anche
un centro di traduzione di sottotitoli cinematografici, sono in stato
di choc: per esempio Yachov e Shoshana Asraf, lui ingegnere, lei una
maestra d’asilo con tre figli, raccontano che i bambini non dormono
più , la gente piange mentre cammina, mentre mangia e mentre lavora
nei campi. Non finiscono più di magnificare la qualità della vita,
la loro lealtà al governo, la magnifica amicizia che regna fra i
membri della piccola comunità socialista:
vero! Ci sono professori di università che la sera fanno corsi ai
membri del kibbutz di letteratura e poesia, musicisti, attori,
scienziati. Siamo tutti l’uno per l’altro, le nostre cose sono in
comune, guardate che scuola, che sala da pranzo, che belle casette
modeste ma razionali siamo riusciti a costruirci. Dove ci vogliono
sbattere? Questa è casa nostra da vent’anni. Che cosa salta in testa
a Rabin? Non ci muoveremo mai di qua. Dunque cosa accadrà ? I quasi
13 mila del Golan si aspettano, sembrerebbe, una sorta di
premio della storia per la loro buona fede e la loro buona volontà ,
vogliono seguitare ad usare le buone maniere per incarnare ora e
sempre l’anima delle origini di Israele, il soldato-intellettuale-
contadino pieno di ottimi sentimenti.
tanto visitare El-Rom, ha scritto una bambina di 6 anni su un muro
del kibbutz. È il pensiero più disperato ma in fondo più
realistico che abbiamo trovato nel Golan, ormai ai margini di un
Paese che corre veloce sulle rotaie del processo di pace. Quello è
il futuro, il non abita più qui. Fiamma Nirenstein