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REPORTAGE AL CASINÒ DI GERICO Inaugurato l'"Oasis": roulette, marmi e cristalli, belle ragazze scollacciate, "gorilla" arabi ed ebrei. E Ha mas tuona: è la casa di Satana L'illusione del buon vicinato al tavolo verde di Palestina

giovedì 17 settembre 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Rosso, nero, pari, dispari e rien ne va plus. "Oasis", il casinò di Arafat, pardon, della società Casinos Austria, costa quel che costa, ovvero la bellezza di 50 milioni di dollari; ma ce l'ha fatta a incamerare tutti quanti i paradossi del Medio Oriente nel perimetro di un capannone ben ornato di marmi, neon e cristalli scuri. Un bel record. In mezzo alla piana desertica, prima che inizino le palme di Gerico, 400 metri sotto il livello del mare, la notte è bollente; ma l'aria condizionata del locale è americana, sotto il livello della sopportazione umana. I camerieri palestinesi, i numerosissimi uomini della sicurezza, misti palestinesi e israeliani, ex terroristi dell'antica Fatah ed ex 007 del Mossad, belle ragazze molto molto scollate, posteggiatori con bastoni traslucenti che graffiano la notte senza luna, tutti quanti si smascellano dai sorrisi verso il visitatore. Perché tu, tutto suggerisce appena si entra nell'area piatta dell'Oasis, tu, visitatore israeliano, sei il Messiah di Gerico, anzi, dell'Autonomia Palestinese; tu devi strappare agli agenti delle tasse israeliani mascherati da clienti che si aggirano tra i 35 tavoli da roulette e black-jack e le varie centinaia di slot-machine, quel mazzo di milioni di dollari che dopo aver ricompensato l'investimento iniziale austriaco daranno all'Autorità Palestinese una percentuale di guadagni del 30% circa del totale ogni anno. L'Autonomia nega. Nega anche che Arafat stesso abbia concluso l'affare durante una visita in Austria, e che il suo uomo al casinò sia il suo personale consigliere economico, Khaled Salaam, che siede anche al tavolo del processo di pace. Ma è chiaro che Arafat e anche il capo della sua polizia, Jibril Rajub, sono due personaggi che sanno bene quanto vale un pezzo di deserto trasformato in paradiso a venti minuti da Gerusalemme, dove la legge la fanno loro. Sanno anche quanto è pronto a pagare il borghese israeliano per poter fingere di vivere in un Paese normale, dove hai dei vicini invece che dei nemici, dove passi in Svizzera invece che in Palestina. Buoni vicini che lo invitano a divertirsi con le cose proibite dai rabbini. Arafat sa anche che la malattia nazionale di Israele è l'ansia e il senso di colpa. Per curarla, niente di meglio che giocare, puntare, vantarsi con le ragazze di aver vinto, vinto qualcosa, qualsiasi cosa. Mentre il croupier palestinese seguita a sorridere fino alle orecchie per farti piacere. Arafat sa che molti israeliani, da quando lasciano l'esercito, la notte si rigirano fra le coperte con un senso di infinita preoccupazione, d'ansia, per non dir di paura, di nostalgia per un mondo lontano, già perduto dai loro genitori. È un grande esorcismo e quindi un business sicuro il largo sorriso dei palestinesi, tutta questa sicurezza sia pure artificiale in una zona dove (per esempio, poco più di un anno fa al Wadi Kelt) sono frequenti gli assassinii di israeliani da parte di Hamas; tutta quella inerme nudità delle fanciulle a due passi dagli uomini di Hamas e dalle loro donne, è una fata morgana degna di essere vissuta fino al mattino. È anche un colpo di bacchetta magica il semplice poter tornare alla leggera nella città che il trattato di Oslo consegnò per prima ai palestinesi nonostante le pesanti orme del passato ebraico (il grande mito delle mura che caddero al suono del corno di Giosuè )... Durante la serata d'inaugurazione, se l'estraniazione non fosse ancora sufficiente, si serve soltanto sushi, secondo la moda più moderna di Tel Aviv. Il cronista viene coperto di regalini, fiori giapponesi, penne di mogano, swatch rossi e neri... Alcune stangone austriache sorvegliano i palestinesi che dietro le vetrine cambiano in gettoni gli shekel israeliani, e insegnano il mestiere ai croupier ancora incerti. Tanti si sentono come in un film. Le ragazze israeliane siedono sul bordo dei tavoli con le gambe ben in vista fuori dagli spacchi, un fidanzato butterato che giuoca solo fiches rosa sul nero della roulette ne cinge una per la vita mentre vince. Il leader di Hamas, lo sceicco Yassin, quello che gli israeliani misero fuori dalla galera pensando che fosse tanto malato e che si sarebbe ritirato a vita quasi privata, ha suonato da Gaza la tomba della vendetta contro il casinò . Accartocciato sulla sua sedia a rotelle, tutto biancovestito come i martiri, la voce chioccia con cui chiama agli attentati, ha letteralmente detto che "il casinò è la casa di Satana, la casa della feccia e del tradimento, dei degenerati senza legge". "Qua - ha aggiunto Hamas - essi berranno il sangue dei martiri che non si è ancora seccato e danzeranno al suono dei lamenti dei prigionieri e dei feriti...". L'augurio di Hamas arriva come il muggito di un toro infuriato. Dennis Ross, l'inviato americano, mentre gira la roulette dell'Oasis, passa di notte dalla casa di Netanyahu a quella di Arafat, da quella di Arafat a quella di Netanyahu. È tardi, la notte mediorientale non si rinfresca. Il Mar Morto è un posto maledetto, dove si respira aria e sale, e l'aria è troppo densa. Il casinò è nell'area dei campi profughi di Akbat Jabbar. Di notte non lo si vede. Le indossatrici israeliane che ora ridono contente con qualche uomo d'affari arabo al tavolo dove rien ne va plus possono immaginarsi di essere a Las Vegas. Fiamma Nirenstein

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