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REAZIONI LO SGOMENTO DI ISRAELE

venerdì 19 aprile 1996 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Un disastro: è questa la parola che la gente, triste e confusa, si ripete in Israele nelle ore immediatamente successive al bombardamento che nel Sud del Libano ha ucciso per mano del suo esercito 100 civili rifugiati nel campo delle Nazioni Unite. Come costruire di nuovo di fronte a sé stessi la propria immagine intera, si chiede Israele, dopo i quattro anni di processo di pace, dopo tanto lavoro verso una vita normale, dopo aver lavato via quell'immagine dei bambini dell'Intifada che ne aveva macchiato prima ancora dell'immagine l'autopercezione, l'identità stessa? I politici, i personaggi pubblici appaiono stravolti, senza respiro. Peres ieri era pallidissimo e improvvisamente invecchiato quando la sera ha risposto ai giornalisti senza sconfessare l'esercito, ripetendo che sono stati gli hezbollah a portare il disastro sul Libano, che Israele aveva solo risposto al loro fuoco, e che il dolore per i civili uccisi non gli impediva di seguitare a cercare un accordo con il Libano che portasse a termine il disegno di Tshal, l'esercito israeliano: evitare che gli estremisti islamici perseguitino i cittadini del Nord d'Israele con le loro katiusce. Seguitava a dire parole di condanna contro gli hezbollah, ma si avvertiva la sua sofferenza, e il fatto che il dissenso già percorre il suo Gabinetto. Anche Yehud Barak, il ministro degli Esteri, quasi non respirava, quando davanti alle telecamere ha detto e ripetuto: mi dispiace, mi fa male, anche se dobbiamo continuare ad andare avanti, non abbiamo scelta. Gli amici si telefonano e discutono, cercano di consolarsi a vicenda ripetendosi la spiegazione data dal Ramatkal, il capo di Stato Maggiore Amnon Shahal: gli hez bollah sparavano su Israele ripetutamente da 300 metri di distanza dal campo Unifil, ancora una volta vilmente nascosti dietro la popolazione civile, e l'esercito ha soltanto risposto. Ma questo non toglie certo la penosa, colpevole inaccuratezza della risposta, e quindi lo stupore nazionale che il mitico esercito d'Israele abbia potuto dimostrarsi tanto incapace dopo avere dall'inizio della guerra, otto giorni fa, ripetutamente fatto mostra di avere un obiettivo, uno solo, che doveva essere colpito senza dilazioni e senza tergiversare: gli hezbollah, né il governo libanese, né tantomeno la popolazione civile. In secondo luogo, Israele è sconvolta dal fatto che anche la prima guerra per così dire autorizzata dal consesso internazionale sia diventata una guerra maledetta. A giudicare dalle reazioni sia dell'Occidente che del mondo arabo l'opinione pubblica internazionale ricaccia questo Paese sia pure momentaneamente in una selva di disapprovazione, fatta di dichiarazioni come quella dell'ambasciatore egiziano all'Onu Samir Mubarak: l'integralismo islamico che ieri sera ha insanguinato a morte anche il suo stesso Paese, è stato da lui completamente messo da parte; le terribili parole di condanna dell'Egitto erano ormai soltanto contro Israele, un Paese violento, che potrebbe risolvere la situazione semplicemente andandosene dalla fascia di sicurezza del Libano, lasciando in pace persino gli hezbollah. Di nuovo il Consiglio di sicurezza è chiamato a condannare Israele come prima delle strette di mano fra i leader israeliani ed Arafat, come prima del premio Nobel, come prima dell'assassinio di Rabin, come prima degli attacchi agli autobus. Gli Usa, che avevano mostrato in questi giorni un sostegno senza precedenti alla battaglia d'Israele, adesso invece sono preoccupati ed anche arrabbiati. Arafat, a sua volta, è in difficoltà di fronte ai suoi; e il primo ministro libanese, Rafik Hariri, ripete che è indignato dal fatto che Peres non abbia detto una parola di scusa al suo governo, e che il gioco israeliano è crudele. Dalla Siria, Assad prosegue nel suo terribile gioco del silenzio, che certo in queste ore gli consente di alzare molto il prezzo della sua pace, e gli fa capire che lo scacchiere si sta modificando e che gli americani saranno costretti a concedergli una simpatia maggiore, togliendone ad Israele. La sinistra israeliana, intanto, sente tutto il peso e anche mal sopporta quelle spaventose immagini di sangue, sente il dolore per i civili uccisi, per i bambini, è terribilmente sconcertata anche dalle accuse di tutto il mondo; e in parte sembra farle sue. È vero ciò che dice Peres, che sia la Siria sia il Libano, per non parlare dell'Iran, erano rimasti indefinitamente sordi alle richieste di fermare gli hezbollah; che il disegno strategico della guerra non contemplava affatto una strage di civili; e che gli hezbollah oggi si avvantaggiano della strage dei libanesi dietro i quali si sono nascosti. Eppure, campeggia sull'umore di Israele in queste ore lo smacco morale, la maledizione del destino di sangue che pesa su questo Paese la cui mano forte lo difende e insieme lo condanna di fronte al mondo, nonostante gli sforzi terribili di questi anni, e crea un'autentica crisi d'identità : chi siamo dunque, quelli che perseguono la pace a tutti i costi, o quelli che sempre sono inseguiti da un destino di guerra? Quelli che perseguono il nuovo Medio Oriente fatto di benessere e di comprensione, o quelli che restano legati alle logiche del vecchio, senza remissione? Nelle prossime ore, checché ne dica Shimon Peres, che logicamente mantiene un volto stabile per non far perdere la rotta al Paese di cui è primo ministro, è possibile che Israele debba cambiare strada, ed è anche legittimo pensare, adesso, che i risultati dell'Operazione Furore, dopo quando è accaduto ieri, non potranno essere brillanti quanto lo richiedeva l'effettiva e davvero terribile aggressività degli hezbollah dal Libano. Le katiusce seguitano a piovere su Israele, il mondo arabo sente l'impulso ancestrale di espellere ancora una volta l'intruso, la pace trema, e con essa, di nuovo, Israele. Fiamma Nirenstein

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