Quella lettera della politica italiana all'ambasciata siriana a Roma
l'Occidentale, 21 marzo 2012 di Roberto Santoro
Ieri in Piazza San Marco a Roma la politica italiana, che troppo spesso viene disprezzata a prescindere, ha battuto un colpo. Politici di entrambi gli schieramenti, 60 le adesioni, si sono dati appuntamento a un tiro di schioppo dall’ambasciata siriana con il lutto al braccio per ricordare la strage in corso in Medio Oriente, le migliaia di vittime della follia sanguinaria degli Assad. Vi riportiamo uno zibaldone di dichiarazioni ed appelli, partendo dalle parole di Fiamma Nirenstein (PdL), promotrice della manifestazione.
“C’è un motivo politico per cui siamo qui oggi. Mettere fine, subito, e comunque vada, alla carneficina che sta avvenendo in Siria. Per questo indossiamo il lutto al braccio, per gli 8.000 morti, vittime innocenti della repressione di Assad. Memori di altre stragi, come quella di Hama, perpetrata dal padre di Bachir, Hafiz al-Assad, nella 'tradizione' di questa famiglia dalle mani sporche di sangue. Siamo qui per salvare un principio di fondo della civiltà occidentale, la difesa dei diritti umani”. Nirenstein non è tenera con la comunità internazionale, per il suo “insopportabile opportunismo”, denunciando le colpe di Russia e Cina che non hanno mosso un dito per bloccare il massacro. Le Nazioni Unite, “un organismo impaurito” che si rifiuta di prendere delle decisioni. Prima della manifestazione, la parlamentare aver “imbucato” una lettera di protesta formale nella sede della ambasciata siriana.
Tra i primi ad arrivare, Beatrice Lorenzin (PdL), convinta che c'è stato un grave doppiopesismo fra l'atteggiamento avuto dalla comunità internazionale sul caso libico e quello siriano, “in Siria non c’è il petrolio”, sintetizza. Gianni Vernetti (Pd) ricorda che qualche mese fa la Lega Araba aveva deciso di sanzionare la Siria per poi trovarsi di fronte a Mosca e Pechino che hanno messo il veto a qualsiasi intervento in Consiglio di Sicurezza all'Onu. “L’Italia – sostiene Vernetti – per la sua posizione nel Mediterraneo, per le sue relazioni storiche con i Paesi del mondo arabo, può e deve assumere un ruolo importante per fermare le violenze”, seguendo due strade, quella, già intrapresa, delle sanzioni economiche, ma anche “qualche forma di intervento”, per aprire il corridoio umanitario promesso e mai realizzato, e per “sostenere il Free Siria Army e il Free Siria Council”. Secondo Sandro Gozi (Pd) bisogna “pretendere di più dalle Nazioni Unite, perché in caso contrario assisteremmo alla “negazione dei nostri valori costituzionali e repubblicani”. Sono molti gli interventi che criticano il balbettio di una Europa segnata dalla mancanza di una unione politica.
Dice la radicale Rita Bernardini: “L’Europa sembra aver perso la sua autorevolezza ma ora deve tornare a parlare con una sola voce”. Un discorso che riguarda anche gli Stati Uniti, “silenti, anche loro hanno perso quel ruolo di democrazia avanzata che riusciva a parlare al mondo non democratico”. Ma anche in questo caso abbiamo delle responsabilità: “Gli Usa hanno visto che l’Europa negli ultimi decenni si è lasciata andare, che non interviene”.
Più duro il giudizio del senatore Luigi Compagna (PdL): “la ‘comunità internazionale’ ormai è una definizione vuota, vacua, una di quelle parole-contenitore che non significano nulla”. Gli Usa “sono la mia seconda patria, ma appaiono prigionieri della banalità e di una serie di errori commessi dall’amministrazione Obama, a cominciare dal discorso del Presidente al Cairo. Il ‘nuovo inizio’ di Obama avrebbe dovuto aprire ai turbanti atomici ma quel discorso era solo politologia, non politica, per cui - se poteva essere giusto il ricordo di Mossadeq - Obama ha completamente dimenticato le ‘responsabilità imperiali’ degli Usa, silenziando il suo alleato storico, Israele, e presentandosi sulla tribuna del Cairo accanto al noto antisemita Tantawi. Quel discorso – conclude Compagna – ha innescato una serie di errori ed equivoci”, il cui prezzo è sotto gli occhi di tutti.
Diverso il giudizio dell’amministrazione Obama offerto da Giovanna Melandri (Pd) che definisce il Discorso del Cairo un “turning point” in grado di anticipare le rivoluzioni arabe. Gli Usa hanno sostenuto coloro che un anno fa si ribellarono ai regimi dispotici da cui erano governati, “con esiti molto diversi tra loro”. Melandri si dice “grata” a Fiamma Nirenstein e considera un “terreno di elezione” il fatto che politici di schieramenti diversi si ritrovino uniti sui temi di politica estera: “Right or wrong, it’s my country”. Accanto a lei, Paola Binetti (Udc), che mette in guardia da “un intervento che esporrebbe a rischi altissimi la popolazione di quel Paese”.
In piazza ci sono anche gli esponenti della Lega Nord, come Massimo Polledri, che punta il dito contro "un’Europa debole, senza identità, che ragiona sulle famiglie marziane" senza occupari di questioni gravissime come gli eccidi in Siria. “Serve un pensiero forte che recuperi le nostre radici, che valorizzi la laicità ma riconosca anche quali sono le matrici fondanti della nostra civiltà”. Infine Margherita Boniver, che partendo dalla Siria dipinge un quadro netto sulle rivoluzioni arabe, tra luci ed ombre: “Il 17 febbraio del 2011 Bengasi si ribella. Un mese dopo, scatta la Risoluzione 1973 delle Nazioni Unite che apre la strada all’intervento umanitario. Nel caso della Siria le sanzioni sicuramente servono, e funzionano, ma la vera debolezza è aver escluso a priori qualsiasi ipotesi di intervento militare, su base Onu”, tanto più che proprio la 1973 ha aperto una finestra fondamentale per quanto riguarda la difesa dei diritti umani.
"Gli Usa – conclude Boniver – hanno perso il loro ruolo di leadership, basterebbe ricordare la leggerezza con cui hanno liquidato Mubarak, che pure era un bastione nella Regione". Ma non bisogna perdere la speranza, le jasmine revolution hanno dato "un nuovo impulso a Paesi che non vedevano da decenni un ricambio politico e che affogano nella povertà". Un discorso che riguarda in primo luogo l’Occidente. “Il dato è il retrocedere della civiltà occidentale, per colpa delle diseguaglianze sociali, della precarietà diffusa” di una crisi economica che, aggiungiamo noi, per troppo tempo ci ha distolto da quello che accadeva in Nord Africa e Medio Oriente, ma che ci riguarda, molto da vicino.