QUELLA CAREZZA
sabato 15 luglio 1995 La Stampa 0 commenti
ALLA icona tragica del genocidio, mancava ormai soltanto quella
carezza sui capelli del bambino deportato. Ma il generale serbo
bosniaco Ratko Mladic ha voluto compiere tutta la parabola. Una
popolazione di 40 mila civili bosniaci di Srebrenica strappati da
casa loro in nome della pulizia etnica; masse terrorizzate caricate
su convogli di automezzi, stipate, spintonate e insultate come pecore
al macello. E poi, la selezione. Gli uomini da una parte, le donne e
i bambini dall'altra. I maschi, sotto il sole rinchiusi nello stadio,
o comunque segregati in attesa di un destino orribile nelle mani del
nemico; le donne, gettate con i piccoli nella spazzatura della
storia, laddove si ammucchiano i profughi, dove manca il tetto e il
cibo, e le malattie infuriano. Conosciamo queste vicende. Già la
storia ce ne ha fornito varie copie. Anche la mano dell'aguzzino che
si posa paterna sulla testa dei bambini di cui ha segnato il destino,
fa parte di una serie conosciuta. Ne ha rinnovato la triste memoria
davanti alla telecamera il generale serbo Mladic, uno dei personaggi
più strenui ed estremi del nazionalismo serbo, osando imporre una
carezza sul capo di uno dei bambini da lui deportati. Ripercorriamo
una sfilata varia e angosciosa: ecco Mengele, il medico criminale di
Auschwitz, di cui, fra i bambini seviziati per scopi
pseudoscientifici e sempre, comunque, per la gloria della razza
ariana, tanti ricordano l'approccio gentile, quasi affettuoso prima
che il bisturi facesse strame dei loro corpi infantili. E Hitler, che
alla sua ultima uscita dal bunker della sconfitta carezzava i bambini
delle Volkstruppen, composte da ragazzini da lui destinati a morire
nella difesa di Berlino. E Stalin, che si fa sommergere dai mazzi di
fiori dei bambini dei kulaki. E, più vicino a noi nel tempo,
l'ayatollah Khomeini che si intenerisce di fronte ai suoi piccoli
pasdaran, pronti a saltar per aria in brandelli marciando per suo
ordine davanti all'esercito, così da ripulirgli la strada dalle mine
irachene. E infine, Saddam Hussein, che carezza la testolina di un
ragazzino americano terrorizzato, un ostaggio nelle sue mani... Il
tiranno, o il generale, come Mladic, è interamente compenetrato nel
suo ruolo e in quella che lui ritiene la sua missione religiosa,
etnica o ideologica che sia. È convinto come nessun altro di essere
dalla parte del Bene. Di essere Buono. Non è quindi un gesto di
distrazione né un basilare istinto di vita quello che lo spinge a
carezzare la testa della sua piccola vittima, importa poco se
appartenga al suo stesso gruppo etnico, religioso, oppure no. Quel
che importa è lo scopo: e lo scopo del fanatico è il Bene né più ,
né meno. Ed è per dare una patetica espressione alla sua bontà ,
per spettacolarizzarla di fronte a se stesso prima ancora che agli
altri che il tiranno, il prepotente, interpreta lo stereotipo della
carezza al bambino. Il suo cuore si commuove veramente; davvero
Mladic crede al suo autoinganno, si compiace della sua stessa bontà
mentre strappa il piccolo da tutto ciò che ama e ne fa un infelice,
un misero, un orfano, lo destina forse alla morte. La carezza più
perversa è quella che convince il bambino stesso che la morte è
bella. Ma per fortuna, in generale non è così . Ricordate
l'espressione del piccolo americano, stravolto sotto le mani di
Saddam Hussein? I bambini sentono bene che le carezze come quelle di
Mladic sono puramente autoerotiche, perverse; e allora si fanno
piccoli e cercano la mamma. E in quel momento accade che il riflesso
del loro orrore diventa il nostro, i mezzi di comunicazione ne fanno
l'orrore di tutto il mondo. Esso si amplifica fino a creare una
grande reazione che vendichi quella orribile carezza. Ha fatto molto
male il generale a carezzare il piccolo bosniaco mentre si dedicava
alla pulizia etnica. Fiamma Nirenstein