QUEL SINISTRO « AL DIAVOLO»
martedì 24 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
QUANDO Arafat dice di andare al diavolo, non c'è niente da ridere. 
Lo 
intende. L'epressione, cioè , usata dal raí ss di ritorno dal vertice 
di Sharm 
el-Sheikh (appunto: « e che Barak vada all'inferno» ), secondo i 
migliori 
interpreti di cose arabe è molto più forte di quanto possa suonare 
alle 
nostre orecchie europee. Noi possiamo dire « al diavolo» quasi 
amichevolmente. In arabo invece l'espressione è terribilmente dura, e 
implica proprio il concetto legato alla discesa agli Inferi, ovvero 
quello 
della morte. 
Dunque Arafat, che si è guardato sempre bene, per esempio, dal 
mandare 
all'inferno Neta-nyahu, oppure persino da considerare Sharon, 
ancorchè un 
nemico, un politico con cui non si possono fare affari, ha per Barak 
un'antipatia molto particolare. La loro chimica non ha mai 
funzionato, il 
campo palestinese parla del primo ministro israeliano in questi 
giorni sia 
come di un assassino di bambini sia come di un leader debole, offesa 
che per 
gli arabi è forse la peggiore. Non è un caso che Arafat nello stesso 
impeto 
di eloquenza che lo ha portato a mandare al diavolo Barak, ha 
promesso di 
spendere tutto il miliardo di dollari che la Lega Araba ha deciso di 
conferirgli (una cifra enorme se cadesse a pioggia su un'area piccola 
e 
povera come l'Autonomia Palestinese) in armi, per la conquista di 
Gerusalemme. La retorica dunque sale al calor bianco, Barak ispira in 
Arafat 
foschi pensieri. 
            