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Quasi 9 mila miliardi per una fabbrica d'armi incominciata ai tempi d ello Scià , pagata e mai completata Israele-Iran, la via dei dollari al disgelo S haron vuole saldare un vecchio debito col Paese degli ayatollah

domenica 21 marzo 1999 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Appesa ai muri di alcuni fra gli uffici governativi israeliani meglio protetti agli occhi dei non addetti ai lavori, racconta il quotidiano Haaretz, c'è una fotografia in bianco e nero che mostra la veduta dall'alto di una grande struttura circondata da edifici minori. Una dedica scritta a mano recita: "Un piccolo ricordo di un progetto che non siamo riusciti a completare". Forse risiede in questa misteriosa immagine la possibilità se non di una pace piena, di un'autentica apertura di rapporti fra Israele e Iran. Un tema, infatti, di cui si è parlato in termini generali nei giorni scorsi in Italia. La storia comincia ai tempi dello Scià , prima che l'Iran diventasse l'acerrimo nemico del Grande e del Piccolo Satana, l'America e Israele. Lo Scià comprava grandi quantità di armi dalle industrie militari israeliane, finché non ritenne più conveniente commissionare la costruzione di strutture che mettessero l'Iran in grado di prodursi da solo le armi. Ci fu dunque, fino al 1979, anno della rivoluzione khomeinista, un gran viavai di tecnici israeliani nella città di Isfahan, sede della fabbrica che si doveva costruire, ed ebbero inizio i grandi lavori. Il danaro fu depositato in una serie di conti europei per essere gradualmente consegnato in un periodo di cinque anni. Il progetto fu registrato in Germania, e il prezzo si aggirava sui 300 milioni di dollari. Poco prima del '79 un altro grossissimo pagamento ebbe luogo per l'acquisto di munizioni. La rivoluzione, provocò un terremoto in Iran specie nel campo della difesa, dei burocrati, dei servizi, dei militari che erano stati legati allo Scià . E la prima cosa che fece Khomeini fu tagliare i rapporti con Israele. Ma la fabbrica israeliana Soltam aveva continuato a ricevere i pagamenti ogni anno (a causa del caos amministrativo a Teheran) per un lavoro che non era mai stato terminato. Gli iraniani, dunque, una volta fatto ordine, chiesero di riavere indietro il loro denaro per la cifra tonda di 5 miliardi di dollari. La fabbrica era solo uno dei debiti israeliani. Ce ne sono altri che riguardano forniture di petrolio non pagato, e una gran somma pagata a Israele per costruire il missile terra-terra Jericho 2 e la struttura produttiva locale. Adesso, dopo alcuni anni, la storia prende uno sviluppo che potrebbe essere positivo, e che è stato scoperto in Israele dal giornalista Ronen Bergman. Poco dopo essere divenuto ministro degli Esteri, Ariel Sharon ha chiesto tutte le carte, tutti i dettagli relativi alla vicenda e ha cominciato a chiedersi se non fosse il caso di pagare il debito. Lo ha fatto tanto in segreto che neppure il suo Dipartimento di ricerche politiche è stato informato. Mentre guardava gli incartamenti, Sharon ha aperto una serie di canali non ufficiali che discutessero con l'Iran la restituzione del denaro. È evidente che il ministro degli Esteri israeliano, che certo non conta fra i suoi più grandi desideri quello di riempire le casse di uno dei suoi più tenaci nemici, spera tuttavia in questo modo di tendere una mano a Khatami e al suo atteggiamento moderato. Desidera cioè porgere un'offerta al presidente iraniano dandogli una buona ragione per parlare con Israele: riavere indietro il maltolto. La condizione israeliana per la restituzione sarebbe la riapertura di relazioni diplomatiche. Gli emissari israeliani hanno riferito a Sharon che c'è da parte iraniana un considerevole interesse per l'operazione, ma che per ora non è venuta nessuna risposta chiara. Naturalmente, invece, fra gli israeliani alcuni esperti suggeriscono che l'Iran prenderà i soldi e che non concederà in cambio un bel niente. Fiamma Nirenstein

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