QUANDO LA PACE DIVENTA UN LONTANO RICORDO E la folla si trasformò in belva Un urlo agghiacciante, poi lo scempio dei corpi
venerdì 13 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
SEMBRA uno stupido incubo, dopo sette anni di processo di pace. Ma
il Medio
Oriente, ormai da ieri è chiaro, non si sveglierà tanto presto. Il
mucchio
di rovine fumanti che era fino a qualche ora fa un palazzo di pietre
bianche
sede della polizia palestinese, un nobile edificio con le finestre ad
arco
nel centro di Ramallah, resterà nella tragica memoria del conflitto
israelo-palestinese come un potente simbolo della guerra in atto: una
guerra
non ancora dichiarata ufficialmente ma che ieri ha avuto il suo
momento di
più decisa escalation da quando è iniziata, due settimane or sono.
In quella sede della polizia sono stati trascinati tre soldati
israeliani e
con tutta probabilità linciati in loco prima di essere gettati dalla
finestra e consegnati alla folla inferocita che ne ha trascinato i
corpi per
le strade. Tre ore dopo, quello stesso edificio è stato distrutto con
un
missile aria-terra da un elicottero Apache in un « attacco simbolico»
che ha
colpito anche l'antenna della radio, un posteggio di automobili per
uso
ufficiale e alcuni uffici di Arafat, gettando la popolazione di
Ramallah nel
terrore. Israele prima di colpire ha tuttavia avvertito (così ci è
stato
riferito) di sgomberare i luoghi.
Nello stesso momento anche a Gaza gli elicotteri attaccavano il
porto, la
sede di Forza 17, la polizia più legata personalmente al « raí s» , e
una parte
periferica della periferia in cui abita Arafat. Un bombardamento
mirato su
obiettivi politici, un'azione deterrente ma che per la prima volta è
un
largo attacco sul campo, un chiaro segno che Israele non crede più a
quel
« partner» con cui Rabin, Peres, e infine Barak sognavano un accordo
che
portasse per sempre la pace nella zona.
Al mattino, dunque, forse quattro soldati della riserva entrano con
la loro
auto privata dentro Ramallah; sono diretti alla base del colonnello
Gal
Hirsh, intervistato dalla Stampa qualche giorno fa, per il loro
servizio
annuale. I riservisti in genere non hanno più traccia di mentalità
militare:
sono civili che arrivano alla base per il loro mese di servizio con
la
speranza che passi il più presto possibile, ognuno con la testa agli
affari
e alla famiglia che si lasciano dietro. Probabilmente i tre sono
entrati a
Ramallah, insieme con un compagno il cui destino è per ora
imprecisato, come
in una cittadina in cui in generale si passa senza problemi, e subito
sono
stati fermati da una pattuglia della polizia palestinese. Assaliti
dalla
folla, i palestinesi dicono di aver tentato senza riuscirvi di
arroccarsi
con i prigionieri nella loro sede. Ma terribili immagini televisive
confermano per ora la versione israeliana: una finestra ad arco
semiaperta
con una domestica tendina che sventola lascia vedere molto
chiaramente un
gruppo di uomini che dentro l'ufficio picchia furiosamente qualcuno
con
colpi letali. La folla fuori urla come una belva, tutta protesa verso
la
finestra. Ogni tanto qualcuno si affaccia da sopra facendo il segno
della
vittoria con le dita. Sul campo, durante l'evento, una tv italiana,
Rete 4,
filma momenti di terribile crudezza e che proverebbero la connivenza
dei
poliziotti con la folla. Si vede anche il momento orripilante in cui,
probabilmente gettati dalla finestra, i corpi arrivano nelle mani
della
folla, con quel che segue.
La notizia dello scempio raggiunge Ehud Barak e la reazione è
immediata: è
qui che la svolta militare ha luogo. Finora l'esercito ha avuto
ordine di
non sparare mai per primo, di limitarsi a reagire agli attacchi e di
cercare
di colpire solo quelli che hanno sparato o che pongano in pericolo di
vita
immediato i civili israeliani o i soldati. Adesso, sembra la parola
d'ordine
generale, questo stadio è finito: e sulla decisione del governo e dei
generali influisce molto anche il fatto che i più aggressivi fra i
terroristi di Hamas che Arafat deteneva nelle carceri di Gaza e di
Hebron
sono stati rilasciati il giorno avanti: sono 60 terroristi di grande
fama e
influenza, gente che ha già compiuto molti attentati, che desidera
solo
farsi saltare per aria con un autobus o una base militare israeliana,
che è
legata anche a grandi organizzazioni terroristiche come quella di
Osama bin
Laden. Mettendoli fuori, Arafat ha ampliato la sua dichiarazione di
guerra.
Intanto, su Ramallah si alzano in volo gli Apache. Il colonnello Gal
Hirsh,
capo della divisone di stanza a Bet El, sopra Ramallah, istruisce i
soldati,
dispiega i tank fuori della base, va a parlare con i coloni di
Psagot,
dietro la base, perché si tranquillizzino. Psagot è uno dei luoghi in
cui
infuria ogni notte una guerra al buio, i palestinesi sparano dentro,
le
finestre degli ebrei sono tappate con sacchi di sabbia, le scuole e
gli
uffici sono sforacchiati. Anche a Hebron è così : David Wilder, un
americano
che vive nell'enclave dei 700 ebrei che secondo una parte
dell'accordo di
Oslo strappata con i denti seguitano a resistere fra 25 mila
palestinesi
dislocati sopra di loro, sulle colline tutte intorno, non ne può più
del
distacco dimostrato da Tzahal quando di notte si spara in casa sua
nel
quartiere di Beth Hadassa: i bambini dormono sotto i divani, le
finestre
sono feritoie fra un sacco e l'altro, ogni notte le case si
trasformano in
un Fort Apache assediato. « L'esercito sa benissimo da dove partono
gli
spari. Basterebbe colpire quel muro, e invece i soldati mirano per
terra» .
L'acqua, che viene erogata dall'Autonomia palestinese, manca;
l'elettricità
è sempre in forse. Le notti per Delly Landau, madre di nove figli,
sono
gallerie buie in cui risuonano gli spari, i suoi nove bambini dormono
tutti
insieme in una stanza un po' meno esposta. « Certo, hanno paura. Ma
sanno che
l'esercito ci protegge. Anche se io so che potrebbe fare di più » . Ora
farà
di più .
Si chiama guerra. Anche i coloni che di notte vanno per rappresaglia
a
vandalizzare le case, le auto, le strade dei palestinesi, saranno
costretti
dall'esercito ad abbandonare i giochi di vendetta. Shlomo Ben Ami,
ministro
degli Interni, una delle colombe più vicine a Barak, dichiara
desolato ma
anche sfoderando un piglio militare inconsueto per questo professore
di
storia spagnolo: « Siamo andati oltre il limite delle nostre
possibilità per
cercare la pace. Ora il mondo deve capire che nessuno Stato può
sopportare
uno scempio dei suoi cittadini come quello che abbiamo visto oggi. E'
tempo
che ci si renda conto di un fatto molto elementare: la pace non si
può fare
da soli» . Il fatto è che buona parte di Israele stessa, nonostante il
bombardamento, aspetta evidentemente ancora un miracolo che
ripristini il
clima di Camp David. Vuole svegliarsi dall'incubo. Aspetta che
miracolosamente Arafat torni ad essere quello che tutti erano ormai
abituati
a considerarlo: un partner. Per ora, invece è un nemico.