Fiamma Nirenstein Blog

Quando il ritiro dal Libano faceva sognare

giovedì 24 maggio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein UN anno esatto fa, Israele usciva dal Libano. Nella notte, ridenti e piangenti, con gli elmetti mimetizzati, i soldati israeliani abbandonavano la striscia di sicurezza su decisione del governo Barak. La decisione fu bruciante, ma oggi se ne discute in modo ancora più drammatico di allora. Effi Eitam, comandante del battaglione libanese, disse al primo ministro, quando ricevette l'ordine di sgombrare: « Non credere di portare i soldati via dal Libano, stai portando il Libano in Israele» . Ma Barak volava verso i suoi sogni di pace: eletto con il 58% dei voti per fare la pace, aveva giurato alle madri, alla testa di un immenso movimento di popolo per uscire da quella maledetta palude dove i loro figli seguitavano a morire, di « portare a casa i ragazzi» . I ragazzi se ne andarono inseguiti dagli Hezbollah, la milizia sciita integralista agli ordini di Nasrallah, armati e festanti, immersi nella folla che li accompagnava. Fucili e folla solidale, così da mettere in difficoltà l'esercito: divenne un modello per l'Intifada. All'orizzonte di Israele, dopo il Libano, la pace con la Siria e finalmente l'accordo definitivo con i palestinesi, verso il quale Bill Clinton spingeva con tutte le sue forze verso l'incontro di Camp David, quello in cui invece, alla fine, Arafat fece il gran rifiuto. Ma nessuno allora poteva immaginare che le cose sarebbero andate tutte a rovescio, e che la giornata dell'anniversario sarebbe stata festeggiata da una guerra in corso con i palestinesi; da due dichiarazioni a raffica del capo degli Hezbollah, Nasrallah, secondo il quale la guerra con Israele continuerà fino in fondo e ben oltre i confini libanesi; con il consolidamento dei rapporti fra gli Hezbollah e il giovane Assad, che ne ricava legittimazione ideologica. E da parte israeliana con massima allerta e mobilitazione al confine, dove si rinnovano, di là dal reticolato, manifestazioni con lancio di pietre; e con l'invio di una pattuglia di aerei da ricognizione sopra Beirut. L'anniversario cade nei giorni delle vacanze di Shavuot, una festa di fine settimana in cui gli israeliani hanno prenotato tutte le « zimmer» dell'Alta Galilea, a tiro di katiusha. Se dovesse capitare in questi giorni di affollamento, la tragedia potrebbe essere grande e la reazione durissima, fino a coinvolgere anche la Siria: il ministro della difesa Ben Eliezer ha telefonato a Peres, in visita a Mosca, e gli ha detto: « Dì a Putin di chiamare Assad perché blocchi il deterioramento sul confine settentrionale. Sappi che Assad ha dato agli Hezbollah luce verde per attaccare... Stanno anche cercando di rapire qualche soldato» . Peres ha telefonato anche a Kofi Annan. Sharon, invece, si è consultato ieri con Shaul Mofaz, il capo di Stato Maggiore, per studiare la situazione. Insomma: brutto clima al Nord. Gli hezbollah puntano a un'escalation nella zona perché sentono che è il loro grande momento, il loro trampolino internazionale. La « libanizzazione» del conflitto palestinese-israeliano, ovvero l'idea di potere cacciare gli israeliani sulla punta del fucile, ha avuto grande successo. Hezbollah è un simbolo per la piazza palestinese, e Nasrallah ha saputo consolidare il ponte con l'Iran (che gli fornisce Damasco) ed esportarlo a Gaza. Un anno fa, dichiarando la vittoria militare sull'esercito israeliano e di fatto non riconoscendo il gesto unilaterale d'Israele, gli Hezbollah cambiarono il corso del processo di pace: la Siria non è tornata al tavolo dei negoziati, la predizione dello scrittore Amos Oz che diceva « nel momento in cui abbandoneremo il Libano avremo cancellato la parola Hezbollah dal vocabolario» si è rivelata totalmente errata. Il fatto però è che anche Israele ha imparato una dura lezione: molti sono scettici sui ritiri e le rinunce unilaterali e sulla disponibilità della Siria alla pace. Ma Yossi Beilin, ex ministro di Barak, sostiene che « solo la storia dirà il vero: stare là era superfluo e aveva una sola ragione, la paura di andarsene» .

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