QUALCUNO VOLEVA TAGLI A ELETTRICITA’ E BENZINA A Gerusalemme un dur o scontro blocca i « falchi»
lunedì 20 febbraio 2006 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
Le misure prese da Israele nei confronti di quella che Ehud Olmert definisce
« entità terrorista» , da quando si è insediato il Parlamento a maggioranza
Hamas, sono misure interlocutorie, statuite in una situazione di emergenza
politica e dal risultato incerto; ma con un significato, invece, che è un
messaggio strategico per il consesso internazionale. Il messaggio ripete:
Israele difendere i suoi cittadini dal terrorismo senza compromessi. Ma la
porta, nonostante si tratti di scelte difficili, è stata lasciata mezza
aperta, o almeno con un discreto spiraglio. Sia durante la riunione di
venerdì , in cui Ehud Olmert aveva convocato tutti gli uomini della difesa,
dell'intelligence e della politica estera, sia durante la riunione del
governo di ieri, due schieramenti si sono fronteggiati. Da parte del gruppo
difesa-intelligence sono venute indicazioni ben più consistenti di quelle
passate ieri: ovvero, sospendere il trasferimento di fondi sia all'Autorità
dominata da Hamas che l'assistenza alla Sicurezza palestinese, e verificare
meglio il passaggio dei lavoratori che attraversano a migliaia i check point
da Gaza in Israele di Eres e di Karni. Si è parlato di tagli
dell'elettricità e della benzina, di una selezione accurata delle
organizzazioni umanitarie che operano a Gaza e in Cisgiordania, di taglio
secco delle presenze dei lavoratori palestinesi in Israele. Cosa c'era
dietro queste proposte per ora rifiutate?
Non certo il desiderio di tormentare la popolazione civile, ma piuttosto la
scelta di influenzare i palestinesi verso un prossimo rifiuto della
leadership appena eletta, di mostrare quanto costa eleggere proprio
rappresentante un'organizzazione integralista islamica devota alla
distruzione dello Stato d'Israele e con un deciso tratto antisemita nella
propria carta di fondazione. L'idea era quella di spingere i palestinesi a
ritornare a Fatah, che, per quanto corrotto e responsabile anche di tanti
attacchi terroristi suicidi, pure può contare su un leader che anche sabato,
nel giorno dell'insediamento, ha mostrato di scegliere ancora due stati per
due popoli, proseguendo sulla road map. Ma nella discussione la parte
rappresentata in primis da Tzipi Livni, ministra degli Esteri, ha avuto la
meglio: si è dunque puntato a convincere non i palestinesi a cambiare rotta,
ma il consesso internazionale a battersi contro il terrorismo e quindi a non
accettare Hamas come niente fosse. Israele non vuole, per quanto possibile,
agire in modo riprovevole per il mondo, e ha scelto di mantenere distinto il
taglio degli aiuti all'Autorità da quello degli aiuti alla popolazione. E un
filo sottilissimo: ma per questo permane l'ingresso dei lavoratori e l'aiuto
umanitario. L'altra speranza, è che Abu Mazen, che chiede per la sua parte
al nuovo governo il controllo della politica estera mantenga aperto un
canale israeliano senza che Hamas venga implicata, e impegni l'Autorità ,
come ha detto sabato, a rispettare gli accordi presi.
Ma può funzionare questa scelta? In realtà , non sembra avere molte
possibilità . Intanto, le condizioni economiche dei palestinesi sono così
precarie che difficilmente la comunità internazionale non si sentirà
obbligata, prima o dopo, a premere Israele verso un'apertura a Hamas e ad
aprire essa stessa nuovi rapporti. D'altro lato, Hamas, che ha già detto no
al riconoscimento d'Israele, no al cambiamento della Carta, no alla
cessazione dalla lotta armata, prepara solo una « trappola di miele» , dicono
qui: sempre più borghese e occidentale, incravattata e con la barba ben
sistemata, seguita a parlare di una possibile « hudna» , una tregua, di cui si
può parlare se Israele rientra nei confini del '67. E' una proposta
irrealistica e fatta con puro spirito di sfida: Israele non si siederà con
nessuno che non riconosca la sua esistenza e che inciti allo sterminio degli
ebrei. Hamas da segno di seguitare a basare sia il consenso interno che la
sua strategia internazionale sulle sue scelte programmatiche, anche se il
tono è più educato. Di fatto, la ricerca di fondi da fonti alternative
rispetto a quelle occidentali è molto attiva: gli emissari di Hamas sono già
andati in Arabia Saudita, in Egitto, in Qatar e domani l'organizzazione
manda il suo più alto ufficiale Khaled Mashal da Ahmadinejad, a Teheran, per
incontri strategici. In questo modo si stabilisce un asse con il Paese
mediorientale che in questo momento prepara, secondo il giudizio di Israele,
una bomba atomica destinata, stavolta secondo le parole del suo presidente
allo Stato ebraico. A sua volta, l'Iran influenza pesantemente sia la Siria
che gli Hezbollah, musulmani sciiti comandati da Nasrallah: tutte queste
forze sono quelle che non riconoscono l'esistenza d'Israele e formano,
considerando anche il confine libanese dominato dagli Hezbollah, una catena
di rischio sia esterna, che adesso, interna. Dunque, questo primo viaggio
ufficiale dopo l'insediamento del Parlamento, lancia un messaggio chiaro,
dopo le promesse del presidente iraniano di « spazzare via Israele dalla
mappa» . Chi ben comincia...