Presentata ieri a Gerusalemme la pellicola tratta dal romanzo di Ye hoshua Faenza, un Amante per la pace « E’ un contributo alla fine dell’ odio ma è soprattutto un film romantico»
mercoledì 6 ottobre 1999 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
GERUSALEMME 
« E noi nell’ ultima guerra abbiamo perso un amante... lui, e la 
vecchia 
Morris di sua nonna» . Così , misterioso, evocativo ma anche dimesso 
comincia 
« L’ amante» , il libro di Abraham B. Yehoshua che gli conquistò 
l’ affetto di 
tutta Israele e poi del mondo intero. In particolare, piacque 
all’ Italia 
quell’ umano desiderio di pace, quel leggere il Paese del mito eroico 
e 
belligerante sotto il profilo, invece, degli amori, della gelosia, 
del 
rapporto coniugale sofferente tradito (uno dei leitmotiv di Yehoshua 
che ha 
invece, fortunato lui, un matrimonio perfetto); e piacque anche che 
mentre 
si dipana la storia del marito Adam che cerca, appunto, l’ amante 
perduto 
della moglie Asya (Juliet Aubrey) pur di tornare a vederla sorridere, 
la 
figlia della coppia, Dafi, intreccia un amore impossibile con il 
ragazzo 
arabo israeliano Na’ im. Questa è la storia del romanzo. Ma la storia 
che 
ieri a Gerusalemme in prima mondiale ci ha raccontato il film del 
regista 
Roberto Faenza « L’ amante perduto» non è proprio eguale: è una 
poetica, ma 
anche politica della ratio italiana del libro di Yehoshua. L’ amore 
fra 
l’ arabo israeliano trasformatosi nel film in palestinese, e la 
piccola ebrea 
non è senza speranza. La vita degli ebrei e degli arabi, nella 
cornice di 
paesaggi ora desertici e primordiali, ora moderni e metropolitani, 
non è 
destinata a separarsi, secondo Faenza, né a chiedersi reciproco 
oblio. Al 
contrario: nella pace il sogno è che le vite dei protagonisti del 
gioco 
mediorientale si intreccino nel futuro così come le intreccia la 
geografia, 
che interseca moschee, sinagoghe, chiese, in un fazzoletto di terra. 
La 
presentazione di un film importante come « L’ amante perduto» tuttavia 
è una 
festa, e tale è stata, con la cena dopo la proiezione del film, 
preparata da 
un cuoco palestinese insieme ad uno ebreo nel giardino della cineteca 
sotto 
le mura della città vecchia a Gerusalemme, con tanti scrittori, 
poeti, 
personalità israeliane ed arabe, e con le canzoni di Noah. Anche 
Shimon 
Peres saluta l’ evento culturale e la prossima costruzione della Casa 
della 
Pace dell’ architetto Massimiliano Fuksas, un progetto molto ambizioso 
a cura 
del Centro Shimon Peres della Pace e di un gruppo di italiani 
intenzionati a 
creare un punto di incontro e collaborazione culturale e sociale. I 
produttori sono Jean Vigo e Mikado, gli attori bravi e appassionati 
in buona 
parte inglesi: Claren Hids, che è Adam; Phyllida Law, la nonna che 
non vuol 
morire; Stuart Bunce, l’ amante; e i due ragazzi che Faenza ha trovato 
in 
America in una situazione simile nella vita a quella della finzione: 
Clara 
Bryant e Erick Vazquez. La troupe di Faenza era mista di israeliani 
ed 
arabi, e Faenza racconta di essere stato, nel corso della 
preparazione del 
film, testimone di un processo di avvicinamento e persino di 
reciproca 
affezione. 
Faenza e Yehoshua sono due artisti con grandi motivazioni politiche: 
e 
nonostante ambedue si presentino al pubblico amorevolmente ammirati 
l’ uno 
dell’ altro, ambedue ci tengono al punto di vista personale: un film, 
poi, 
nonostante la forza del romanzo da cui è tratto, va con le sue gambe 
e la 
sua poetica: « Vorrei che fosse visto per quello che è , per quello che 
dice 
veramente» ha detto Faenza al pubblico di Gerusalemme, « senza 
attribuirgli 
intenzioni politiche eccessive. Esprimo sentimenti molto semplici, 
come 
quelli dei ragazzini che abbiamo portato qui, piccoli ebrei e 
palestinesi di 
varie scuole di Gerusalemme che visto il film hanno detto parole 
molto 
incoraggianti: una ragazza israeliana di 13 anni ha commentato - 
racconta 
ancora Faenza - che a lei piacerebbe provare una storia con un 
ragazzo 
palestinese ma che suo padre l’ ammazzerebbe. E uno studente 
palestinese ha 
detto che senz’ altro lui sarebbe pronto all’ esperimento» . Insomma, 
Faenza 
resta dell’ idea, che nel film appare molto più forte che nel libro, 
che si 
possa, forse persino si debba in quest’ area del mondo tentare oltre 
che la 
pace anche la mescolanza. 
Yehoshua, in cui è certo molto più forte la parte israeliana, ovvero 
quella 
della sofferenza della guerra del Kippur, con tanti soldati spariti 
nel 
nulla da cui nasce la fantasia della ricerca dell’ amante perduto, ha 
di 
sicuro aperto fra i primi, se non per primo tra gli intellettuali, la 
strada 
della pace con la sua eloquenza e il suo coraggio, ma soprattutto con 
la sua 
bravura letteraria. Ma, come del resto Yitzhak Rabin, ha sempre 
ipotizzato 
che la nascita di uno Stato palestinese non debba, non possa che 
essere 
sinonimo, finalmente, di separazione tra due popoli che hanno 
intrattenuto 
un corpo a corpo molto sanguinoso. Non solo: questi due popoli, 
afferma 
Yehoshua, hanno bisogno di trovare la propria identità standosene 
finalmente 
per conto proprio, ciascuno con le sue tradizioni, la sua lingua, la 
sua 
religione. Yehoshua ama i palestinesi come interlocutori, non c’ è 
dubbio: ma 
non come possibili parenti. E del resto, dice, « mi sembra sbagliato 
essere 
più realista del re, visto che i palestinesi stessi chiedono la 
separatezza, 
il loro Stato, la loro autonomia, la definizione di una loro identità 
senza 
che nessuno li disturbi» . 
Sono strani gli artisti quando proclamano il loro assoluto distacco 
dalla 
politica, ed invece sono tutto un fuoco. Faenza racconta anche che 
l’ altra 
grande molla oltre alla storia dei due ragazzi, che l’ ha spinto a 
fare il 
film, è la modernità della scelta di Adam che supera ogni sentimento 
di 
possesso per cercare di far felice la moglie anche a costo di essere 
tradito. « Le donne del resto se lo son conquistato da solo questo 
rispetto 
per i loro sentimenti» . E Yehoshua, che ormai è molto legato al 
pubblico 
italiano, spiega invece che gli sembra così prezioso questo rapporto 
con il 
nostro Paese: « L’ Italia è la regina del Mediterraneo, con la sua 
immensa 
tradizione può dare tanto, di arte, di tolleranza politica e 
religiosa, può 
contrapporsi agli integralismi: col suo orgoglio culturale può tener 
testa 
all’ americanismo imperante che sta conquistando tutti quanti i Paesi 
del 
Mediterraneo» . E su questo finalmente sono d’ accordo: « Gli italiani - 
dice 
Faenza - hanno una vocazione a impicciarsi dei fatti degli altri... E 
mi 
sembra bello che anche noi possiamo portare la nostra parola in una 
storia 
tanto complicata. Mi pare che sia una parola buona» . 
L’ ultima scena del film, quando Adam resta disperato col motore in 
panne in 
mezzo al niente dopo aver riportato Na’ im a casa, ci mostra il 
piccolo 
palestinese che torna indietro per aiutare Adam. L’ ebreo gli ha 
gridato: 
« Non posso farcela senza di te» . E’ una scena molto forte e poetica. 
Nel 
libro Na’ im dice: « Io non torno ad aiutarlo, ho paura che mi salti 
addosso» , 
ma aggiunge: « Meglio che vada a svegliare Hamid (perché lo aiuti - 
ndr)» . 
Una scena piena di interrogativi che contiene tutto il dramma della 
verità . 
            