PREGIUDIZI PIU’ FORTI DEL DIALOGO
martedì 31 agosto 2004 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
ASSIEME al volto scherzoso di Enzo Baldoni, ormai simbolo di tragedia e di
penosa domanda sul futuro, ci accompagna in queste ore, con la speranza per
le loro vite, il pensiero di Christian Chesnot e di Georges Malbrunot.
Che fare? Di fatto, si ha la sensazione di essere a un bivio nelle strategie
possibili: da una parte molte autorevoli firme dicono che le armi della
sicurezza devono essere molto più appuntite. Dall’ altra si ammonisce che
questo farebbe il gioco di Al Qaeda, e si implora di mantenere una linea
amichevole e accogliente verso il mondo islamico. Ma questa linea, lodevole
e intrinseca alle aspirazioni della democrazia, abbisogna di sviluppo.
Infatti, noi siamo e siamo stati sempre, dopo il colonialismo, molto aperti
col mondo arabo. Da quando nel 1962 i francesi si ritirarono dall’ Algeria,
la politica europea (con umani limiti) è stata di accoglienza e simpatia. La
guerra di liberazione degli arabi divenne uno squillo di tromba (chi non
ricorda « La battaglia d’ Algeri» di Gillo Pontecorvo?) e la kefiah, negli
stessi anni (prima del ‘ 67), sostituì l’ eskimo. Si spalancava la porta
all’ immigrazione fino alla dichiarazione del 1975 dell’ Associazione
Nazionale per la Cooperazione Euro Araba che prometteva di usare « generosi
mezzi... per la vita culturale e religiosa araba» . Prima, nel ’ 67, De Gaulle
aveva decretato l’ embargo a Israele durante la Guerra dei Sei Giorni.
Sempre sul piano strategico, politico, economico, la Francia in testa,
l’ Europa è stata simpatetica verso il mondo arabo. Nel ’ 96 Chirac al Cairo
dichiarò che « Europa e musulmani scriveranno la storia insieme» ; dal ‘ 73,
con la crisi energetica, la cooperazione con la Lega Araba era cresciuta
enormemente. L’ Onu ha una colonna portante nella predilezione europea per il
mondo arabo. Eppure questo non ha forgiato un’ amicizia profonda, perché
abbiamo ignorato (razzisticamente) la carica ideologica dei regimi arabi,
gli interessi dei loro dittatori a farne uso, il conseguente disprezzo per
l’ Occidente degli immigrati.
E’ qui che si forma il brodo di coltura del terrore, nel pregiudizio
ideologico, inscalfibile dalla cortesia istituzionale. E oggi, immensamente
amplificato dai media. Un pesante antioccidentalismo ha inquinato la
discussione (che avrebbe potuto avere tutt’ altro segno) sul Grande Medio
Oriente: i G8 indicarono per l’ economia e la cultura misure che, nonostante
le infinite cautele, apparvero al mondo arabo tese a « destabilizzare» il
Medio Oriente. Quando i giordani hanno cercato di correggere sui loro libri
di testo un po’ d’ odio antioccidentale, si è sollevato un dibattito
micidiale sulla « cultura della sottomissione» . La storica disponibilità
europea non ha purtroppo scalfito l’ oceano di incitamento antioccidentale
anche sulla stampa ufficiale, nella Tv, nelle moschee. Alla gran parte del
mondo arabo la disponibilità è apparsa debolezza. Qui si deve attuare lo
scambio. E’ proprio il rispetto per il cittadino arabo che ci deve spingere
a evitare, per legge, che l’ indottrinamento antioccidentale letale sia base
della sua educazione, e quindi base della diffusione del terrorismo. Questo
è il prezzo da chiedere ai nostri amici islamici, in patria e nella
diaspora.