Povera Italia. Viaggio nella stazione di Firenze, dove i miserabili convivono con ex artisti e manager falliti : I tartufi del barbone
martedì 27 giugno 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
FIRENZE
CHISSÀ se i nuovi poveri delle città del Centronord hanno mai
formulato la
parola « depressione» , hanno mai capito che la chiave per capire come
mai
stanno seduti là con la barba lunga, gli occhi senza espressione, le
anime
dolenti e i corpi sfiniti, e poi all'improvviso una rabbia tremenda
che
quando uno gli dice « ma forse potrebbe tornare a casa...» oppure
« calma ...»
li fa sentire soprattutto offesi e scoppiare in insulti, sta nascosta
tanto
nella testa quanto nel mercato del lavoro o in Comune, o nella legge,
o nei
padroni ingiusti e cattivi. Se si potesse dire in una frase perché
nel ricco
Centronord cadono ai lati della società e divengono barboni pronti
per
dormire nel cartone e mangiare cibo regalato tante persone
simpatiche, anche
perbene e persino colte, si potrebbe constatare che la capacità del
liberalismo di assorbire la gente arriva fino alla soglia della
mente. I
poveri del Nord sono persone che non fanno entrare oltre lo zerbino
della
loro sensibilità la convenienza, la convenzione, il consumo. Si
beccano
nelle costole il male della vita sentimentale, economica, della loro
condizione di salute oltre alle inevitabili durezze del mercato del
lavoro.
Non conoscono aggiustamenti. E così divengono quello che il professor
Enrico
Pugliese individua come una particolarità della parte settentrionale
del
nostro Paese contrapposta alla « povertà normale» del Nord: i poveri
che
potremmo essere noi, colpiti a un tratto da un grande disastro,
privati dopo
molto lottare della percezione che valga la pena di uscirne e che si
possa
farlo.
Dunque, alla Stazione di Firenze, dove con le Ronde della Carità di
Paolo
Coccheri e Marisa Bianchi, finalmente un'istituzione laica spontanea
che si
occupa dei poveri, andiamo a distribuire di notte panini paradossali
(ci
sono persino al tartufo) quanto indispensabili donati da raffinati
caffè
come Robiglio e Donnini a quelli che hanno fame, il catalogo
comprende
qualche centinaio di personaggi tutti molto singolari, gente da film.
Per
esempio Carlo (useremo solo nomi falsi) ha la camicia celeste dei
manager e
viene da una città dell'Emilia, simpatico nell'accento, e di eloquio
veloce
e coerente, piccolo, trentaduenne e appena un po' strano nello
sguardo:
arriva verso l'angolo Est della Stazione dove si costruiscono a sera
letti e
persino camerette biposto per la notte. Ha il suo carico di stracci e
legni
sul carrello: « Ho fatto un fallimento da 750 milioni, restare là a
sentire i
rimproveri e i pianti di mia madre e mio padre che già mi hanno
tormentato
con i loro continui disaccordi, non ho voluto. Ho lasciato un
biglietto "non
cercatemi" e così è stato. Vado a Genova ogni tanto dove c'è un po’
di
lavoro. Per ora mi va bene così . Semmai non ne posso più della
concorrenza
degli stranieri, di avere il loro fiato sul collo senza tregua, alla
mensa
dei poveri, all'albergo della povertà . Le nostre autorità li
favoriscono
perché costano meno e fanno più pubblicità . E' vero che io avrei una
casa e
loro no. E con ciò ? Io non la voglio quella casa, avrò diritto sì o
no alla
mia vita?» .
La Giuseppina (nome falso) la si può vedere subito quando si entra
dal lato
arrivi seduta su una seggiola. Molto rovinata, sfatta, la pelle
malata,
senza denti, vuole però solo un panino piccolo e scelto, sennò meglio
nulla.
La Giuseppina si è trovata coperta di debiti ed è andata a stare
sotto il
cielo vivendo d'elemosina. Però dalla vendita all'asta della sua casa
sono
avanzati cento milioni che il giudice tutelare viene a riproporle di
usare
parlandole in piedi animatamente mentre lei siede sul suo trono di
ferro e
stracci. Cercano di convincerla anche i volontari delle Ronde,
affettuosi ma
franchi come Daniele, di 37 anni, braccio destro della Marisa,
impiegato di
banca. Ma lei allora si anima e si erge infuriata sulla seggiola: di
quei
cento milioni possono farsene un falò . Lei non ci crede. Tutt'al più
accetta
di andare all'ospedale per curarsi le gambe. Ma poi, dice Daniele,
scappa
sempre e torna alla Stazione dove si sente a casa.
Ci sono dei percorsi fissi per i poveri: mense, alberghi, parrocchie,
Comune, istituzioni della carità . La mensa di San Francesco Poverino
ha le
tovaglie a quadri rossi, la pastasciutta buona. La stazione del
Campodimarte
è più pulita e tranquilla, e ci si può far conversazione con una ex
guida
turistica molto carina e colta la Jolanda. Un ritrovo senza il quale
sei
fuori è la messa di San Procolo, detta Messa dei Poveri, fondata da
Giorgio
la Pira nel 1937: da allora dopo la messa che si tiene alla Badia in
via del
Proconsolo, si distribuisce il pane e qualche soldo. Quando sciamano
fuori
nel chiostro, i poveri appaiono come una vera società intera ferita,
con le
sue gerarchie, le sue donne, i suoi amori. « Quella donna \ col suo
bellissimo neonato in braccio - mi spiegano - l'ha avuto da un rumeno
molto
giovane, un ragazzone. Se lo contendono» . Nella folla, l'odore di
brado è
forte, ed è come un messaggio che dice, e me lo ripetono anche a voce
« di te
non me ne importa nulla, non hai saputo capirmi al momento giusto» .
Chi è
pulito, è già mezzo fuori del disastro: uno svizzero di 56 anni,
molto ben
messo, ha avuto la vita spezzata dalla sua onnipotenza: dopo un buon
lavoro
di falegname è volato a cercar fortuna in America Latina. Non l'ha
trovata,
ed ha perso così anche la moglie lasciata dietro di sé , che è morta.
Il
figlio è lontano da Firenze, dove la sorte lo ha ruzzolato. Così , gli
è
venuto un infarto molto invalidante ma vuole ricominciare a lavorare.
C'è
una Elisabetta elegante e arrabbiata, ex pittrice che faceva una vita
poetica in campagna coltivando arte e insalate, finché l'hanno
sfrattata.
« Ora dormo fra le siringhe e mi vesto nei cassonetti» . C'è un altro
pittore
che ha la vita ridotta a niente dalla malattia della figlia. E con un
cappellino verde un ex autista mi ride in faccia: « Che si crede, io
sapendo
dove andare, faccio anche centomila lire al giorno» . Però , i panini
li
prende lo stesso e parla delle giornate senza far niente, le nottate
insonni, e la solitudine.
A un isolato di distanza nella chiesa di San Martino affrescata dal
Ghirlandaio si trova l'associazione per « i Poveri Vergognosi» ovvero
dei
Buonuomini di San Martino. Le richieste di aiuto assolutamente
segrete
vengono vagliate da un gruppo di dodici guidati da un preposto che
cambia
ogni mese. I Buonuomini mi spiega uno di loro, Giorgio Loni,
giudicano a chi
spetta l'aiuto secondo il criterio del bisogno e anche della dignità .
Firenze, che di poveri ne ha qualche migliaio esclusi gli immigrati,
ha una
dolce fissazione sulla loro dignità : gliel'ha inculcata Giorgio La
Pira, che
pensava che senza poveri vicino non si deve vivere, e che alle Messe
del
Pane parlava con loro di politica estera. Il povero era lui, loro
erano lui,
e questa visione nella società moderna è divenuta sempre più vera.
