Povera Italia. Viaggio a Secondigliano, nel palazzo delle Vele: un limbo dove la parola « futuro» non ha senso Le diavolesse della MISERIA
sabato 17 giugno 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
NAPOLI
I poveri non li conosciamo più . Li sappiamo, e basta. Qualcuno non
li ha
mai incontrati o quasi nelle città . Semmai abbiamo visto i barboni e
i
drogati, i disintegrati a cui è caduta una disgrazia fra capo e
collo, o gli
immigrati che ci scrutano dalla loro stupefatta estraneità mentre
hanno e ci
fanno paura. Ma poi ci sono i veri poveri nostrani, i « poveri
normali» , come
li chiama un famoso sociologo del lavoro, il professor Enrico
Pugliese,
spessi e compatti nel caldo e nel freddo delle periferie, negli antri
che
chiamano case, i poveri che mangiano solo pasta ma non muoiono più di
fame,
e clonano i telefonini. Ma come sono fatti?
Sembra davvero il regno degli inferi il mitico complesso
architettonico
delle Vele, oltre Secondigliano, nel quartiere di Scampia.
Incontriamo la
diavolessa della miseria al di sotto della linea del ragionevole.
Antonietta
ha la faccia larga e bianca con i capelli rossi lucenti, la vestaglia
sbracciata da lavoro. Torna da qualche ora di pulizie con un'impresa
che non
fa tante domande. E’ molto bella, ha 34 anni, 7 figli, marito agli
arresti
domiciliari, pensione infima della madre e con quella si mantengono
tutti.
La sua casa è un buco abusivo, e per questo non paga l'affitto.
Quindi, ci
resterà per sempre. E' una bella ragazza con vicino un paio di figlie
già
adulte che la scortano. Sono più alte di lei, stanno sempre in casa
senza
far niente, i fratelli piccoli a scuola ci vanno poco, né puoi
mandarli a
lavorare, sennò ti becca la polizia. Il turn over dei vestiti della
società
opulenta le dota di abiti alla moda. Non hanno niente da fare dalla
mattina
alla sera. Per iscriverle alla scuola media superiore ci vorrebbero
duecentomila lire, figuriamoci.
Begli occhi. Poi la mamma rossa sorride, ed è come se si spalancasse
un
inferno di cave nere: « Quando le signore del Vomero mi vedono così ,
non mi
prendono in casa loro a pulire. Ma ci vogliono ottocentomila lire per
mettere a posto i denti, non si può fare» . I nuovi poveri hanno
usufruito
dello scatto genetico che ti regala centimetri e occhi azzurri, ma
hanno i
denti neri e non se li possono curare. Hanno un mondo di consumi
riciclato o
finto (telefonini, tv, stereo), le magliette eguali a quelle dei
nostri
figli, ma false. Una famiglia di sette che vive in una quarantina di
metri
quadrati bui e fradici ha tre televisori: quando la roba la rimedi, è
un
dono del cielo anche se non te ne fai niente, e te l'accatti. Hanno
una
televisione nel buco che chiamano camera da letto, una nel cubicolo
che
chiamano cucina e una nel piccolo museo delle cere del giorno delle
nozze
detta sala da pranzo, dove il muro è un tramezzo fradicio e troneggia
una
vetrinetta dietro la quale si accavallano i letti a castello.
Mangiano pasta
al pomodoro e carne la domenica e anche verdure e frutta. « Però la
cinquemila lire per i bambini che vorrebbero andare al McDonald...»
quello
non si può .
La famiglia numerosa delle Vele è la regina della « povertà normale»
descritta da Pugliese, mentre la solitudine è il lied della povertà
deviante, che si annida nel Centro-Nord: se hai avuto un rovescio di
fortuna, o un incidente invalidante, diventi un povero del Nord.
Invece al
Sud è dinastica: ci stanno quattro generazioni, ora che si campa
tanto,
lungo le scale delle Vele incrociate come tibie di una bandiera
pirata,
orlate di porte così vicine l'una all'altra e così chiuse che
sembrano usci
di un convento medievale. Si sta in gran compagnia, si annusa la
pommarola e
i rifiuti dell'altro. E piace alle donne lo struscio matrilineare,
rassicurante, in cui si vive e si muore abbracciati per una
catastrofe che
comunque deve somigliare alla fine del mondo.
Da un terzo piano affacciato su queste scale esce una ragazza,
Patrizia, di
27 anni, che aspetta il secondo figlio. La sua bambina Carolina è un
fiore
che gioca sempre sulle scale con le altre creature: stringono quelle
bambole
enormi di gomma similcarne che ridono e piangono: « 200 mila lire
(come
l'iscrizione a scuola) perché per la Befana si fa così » . E' educata,
gentile, parla un bell'italiano quasi senza accento: « Io so
affrontare
l'insicurezza. Mio marito lavora con un fratello mio che è ambulante.
La
mamma di 66 anni è bidella, mio padre è invalido. Tutti stanno qua
dentro
(indica una porta che lascia intravedere un pavimento molto pulito).
Qua ci
stiamo con un'altra sorella, due fratelli con famiglia. C'è la tv,
abbiamo
un'auto, io cucino per tutti. Io sono la mamma di tutti, gli altri
stanno al
piano di sotto. Il tempo libero lo si passa parlando fra noi, ci sono
sempre
tante storie da raccontare, qualche battibecco. I miei genitori non
mi hanno
abituata al troppo. Andare fuori? Al cinema? A divertirsi? E quando
mai? Io
mi sono fidanzata a 12 anni e sposata a 20 con un uomo gelosissimo. A
lavorare non ci penso proprio, sono contenta così , e poi anche se ci
pensassi chi mi si prenderebbe?» .
E' l'uscita dalla miseria il sogno precluso ai miseri dell'età del
realismo.
L'idea di rivoluzione si limita a qualche manifesto appeso per le
scale da
Rifondazione Comunista e alla lamentazione rituale e rassegnata sui
doveri
elusi dalla società perché « il Comune non ha fatto, lo Stato non ha
risposto, la scuola non si è vista, la circoscrizione avrebbe dovuto,
l'ospedale non se ne parla...» .
Il Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio ha suonato la
martinella
di parecchie analisi che denunciano un gap sempre più grande. Più che
altro
conta il divario di consumi nella società che ad essi è intersecata,
come
dire una ferita al cuore della vita stessa. Non consumi, però non
muori,
perché la qualità della vita, che non si sa dove stia di casa, è
tuttavia
una cappa che copre tutta la società moderna. Ma è come vivere nel
vuoto,
visto che ideali, religione, aggregazioni, non compensano il consumo,
non ci
sono quasi più . « A Messa la domenica? No, però credo in Dio» .
Da parte delle famiglie numerose che stanno al Sud, spiega la
sociologa
Chiara Saraceno, la quota spesa per mangiare è alta, ma semplicemente
perché
per mangiare si sacrifica tutto il resto, e non perché si mangi di
più : non
ci sono nel mondo dei poveri libri, giocattoli, spostamenti,
computer. Ci
sono motorini rubati, automobili rimediate, casse acustiche enormi
come
quelle del barelliere Gaetano Vitale, che ha la passione della
musica, si
siede nel suo salotto molto ben ammobiliato in legno pesante e
intagliato e
sente a tutto volume musica latino americana o napoletana. Ci offre
l'orzata, è meno povero di molti dei suoi coinquilini. Mantiene
miriadi di
figli e nipoti, ma se la cava, tanto da avere delle passioni, delle
allegrie, perché questo è il dono odierno del consumo. Coltiva sulla
terrazza la pianta joja, con le foglie e i fiori cicciuti, l'unica
che lei
troverà a Napoli signora, anzi le faccio omaggio di questo vasetto in
cui
l'ho trapiantata, badi bene di non sprecarla e di non bagnarla
troppo. Vuole
molto sole.
Anna Buono, 11 anni, mi appare come un ritratto di Filippo Lippi
nella
cornice più infima della miseria, troppo bella per essere vera,
troppo
brava. Brava a scuola, brava nella danza, sul quaderno la maestra le
scrive:
« Ottimo» e lei vuol fare la professoressa o l'avvocato. Azzurra e
bionda,
sta ai piani bassi ovvero nel sottosuolo delle Vele, un Mar Morto
avvelenato
con più droga, più criminalità , più paura di notte e conseguente
assedio
continuo dentro « casa» . Ha in mano miracolosamente la piccola chiave
della
metamorfosi, ovvero l'orgoglio di sé : ha vinto un viaggio a
Disneyworld, la
scuola ha invitato lei e altri bambini bravi a Parigi. Ma alle Vele,
nel
quartiere di Scampia, non succede spesso che si riceva un premio, e
quindi
non lo si sa riconoscere. Lo si crede una sfida inaccettabile, una
rottura
di costumi consolidati. Così la madre Antonietta con l'attiva
approvazione
del padre, che è andato all'ospedale per una gamba rotta al cantiere
dove
faticava di quando in quando, la trascina nel gorgo senza saperlo: « E
chi ce
la porta a Parigi?» . La scuola signora. « Ma da sola ci deve andare la
piccirella?» . Non va da sola signora, è con i professori. Anna si
alza di
scatto per andare a prendere una specie di diploma e farlo vedere
alla
cronista. Restano tutti là , seduti, i fratelli, due gemelli grandi e
grossi,
Salvatore e Mario di 14 anni, Salvatore ripete la prima media per la
quarta
volta, poi Gianluca di 9 anni, che la scuola caccia continuamente
perché
urla rompe scappa (è il più terribile della classe, dice
affettuosamente sua
madre), la sorella Tonia di 3 anni, la madre Antonietta, bionda,
molto
giovane, lieta di porgerti mansueta la notizia che c'è un altro
figlio,
Giuseppe di 17 anni, che adesso sta a vendere « qualcosa» dietro a un
banchetto abusivo al centro. In casa non entra niente di fisso, salvo
gli
aiuti magari in generi alimentari della famiglia di origine di
Antonietta,
che abita in zona. La nonna ha una pensione che invece Antonietta non
avrà ,
perché ha lavorato solo da orlatrice di scarpe clandestina, ma adesso
non
può comprarsi la macchina né saprebbe dove piazzarla in quei due
metri
quadrati. Fuori si combattono le cosche, ci si infila un ago in vena.
La
famiglia la sera tutta insieme siede sul lettone a guardare la tv. I
bei
vestitini di Anna, bolerino sopra l'ombelico, minigonna e sandaletti,
sono
tutti rimediati. La casa è quasi una grotta scavata dentro la
degradazione
assoluta e puzzolente delle case popolari che dovevano emancipare il
sottoproletariato di Napoli che soffriva una povertà patriarcale nei
vicoli,
e poi si è trovato scaraventato in una magnifica struttura di vetro e
cemento che è diventata un rottame schifoso con quattro ascensori
subito
rubati e le scale a X come gambe di gazzella d'acciaio fattesi subito
scheletro, oscurate dal furto delle lampadine e relativi lampadari.
E'
rimasto una piramide azteca nel deserto, dove ci sono vecchi che si
inerpicano per tredici piani, si sentono girare chiavistelli di
massima
sicurezza nel buio pesto e tuttavia si sente chiamare mamma e nonna e
zia e
bella mia e amore o urlare minacce terribili.
Non c'è remissione per questa povertà : Anna a scuola fa ceramica e
danza, ma
nessuno la costringerà a istruirsi contro l'inerzia della famgilia.
L'inerzia è un misto di statalismo non realizzato, di insistenza sul
tema
del lavoro piuttosto che su quello dell'istruzione, di avarizia
sconcertante
dei ricchi che, come persone e non solo come istituzioni, non si
levano due
lire di tasca per far studiare quei ragazzi. Per decidere di mandare
Anna a
Parigi, i suoi genitori dovrebbero fidarsi di più della scuola, di
più dei
professori, di più di chi sta bene. Probabilmente, Anna resterà alle
Vele.