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Polveriera araba

lunedì 6 gennaio 2020 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 06 gennaio 2020

Chi si immagina che sia adesso il momento in cui il Medio Oriente rischia il caos è davvero distratto. Qualcuno ha detto che Israele è una villa nella giungla. Lasciando da parte la villa, la giungla è veramente tale. Ed è difficile che possa essere più intricata e selvaggia, da molti anni. L'esplosione è sempre a portata di mano. E' vero che ieri il Parlamento iracheno ha chiesto al governo di escludere la presenza militare americana in seguito all'eliminazione di Suleimani. E questa non sarà l'unica conseguenza immediata del gesto di Trump. E tuttavia, come una volta mi disse Arafat, le onde del deserto cambiano per posizione, altezza, colore: ma la sabbia resta sempre la stessa. Gli USA si possono aspettare adesso chele milizie sciite in Iraq attacchino i militari, i diplomatici, i civili. L'Iraq appare il più logico teatro per una risposta immediata, là è stato eliminato, oltre al generale Suleimani, anche Abu Mahdi al Muhandis, il capo delle milizie filo-iraniane irachene. Ma anche se gli americani sono stati estromessi politicamente, questo non stabilizza il potere filo-iraniano. Molti iracheni non hanno nessuna simpatia né per gli americani né, tantomeno, per gli iraniani. Nelle case irachene si è distribuito dolci quando Suleimani è stato ucciso, ripensando ai più di duecento morti che nelle settimane scorse le milizie hanno fatto nelle piazze di Baghdad che protestavano  contro l'establishment filo-iraniano. I molteplici, aggressivi interessi internazionali che sconvolgono il Medio Oriente  sono uno dei motivi delle infinite sanguinose rivoluzioni che hanno sconvolto questa larga porzione del globo terracqueo: l'America, la Russia, l'Iran, il potere sunnita, la Turchia, la Cina, tutti fomentano scontri fratricidi, causati alla base da autoritarismo, corruzione, violazione dei diritti umani, povertà, terrorismo, che a partire dalla prima Primavera Araba hanno portato a milioni di morti e  alla  biblica emigrazione dell'ultimo decennio. La maggiore delle guerre è ancora in corso in Siria, e oltre a Russia, Iran, Hezbollah, si è presentata un'altra forza armata contro i Curdi, quella di Erdogan, il presidente Turco. Anche lui sia in Siria che in Libia sfodera il suo imperialismo ottomano che si presenta come contraffaccia di quello Iraniano sciita. Ma i due hanno anche interessi comuni.

E negli ultimi due anni una seconda, altrettanto tragica Primavera, sulle ali di un sacrosanto desiderio di pulizia e democrazia, di nuovo si è affacciata nei Paesi Arabi. La Tunisia, la Giordania, il Sudan, l'Algeria, l'Egitto, l'Iraq, il Libano e persino Gaza ne sono stati coinvolti. Così, il dittatore del Sudan Omar al Bashir è stato scalzato, e il decano algerino Abdulaziz Buteflika ha dovuto  mollare il potere costruito come una corazza sulla vecchia pelle. In Egitto, il potere era stato strappato dal generale Abdel Fattah al Sisi al capo della Fratellanza Musulmana Muhammad Mursi, che l'aveva a sua volta carpito all'immarscescibile Hosni Moubarak.  Anche là, la folla si è di nuovo ribellata nei mesi scorsi per fame, protesta contro il potere incontrollato,oltre che fanatismo religioso. Due rivoluzioni sono state quelle che hanno implicato insieme all'odio generalizzato verso le classi dirigenti mafiose e corrotte  quello verso l'imperialismo Iraniano, quella Irachena e quella Libanese. A Beirut la folla unita cristiana e musulmana ha affrontato le milizie Hezbollah;  in Iraq nelle province del sud popolate quasi solo da sciiti le forze filo-iraniane sono state attaccate. Al nord i sunniti erano già stati piegati. Queste proteste hanno preoccupato gli Ayatollah per l'incoraggiamento ai cittadini iraniani stessi che osavano scendere in piazza per un cambio di regime.

Di certo, in queste ore montano tensioni di ogni tipo, e non è peregrino pensare che la morte del campione dell' imperialismo iraniano rimetta in moto desideri libertari identici a quelli che lui stesso aveva represso. I siriani, i libanesi, i Palestinesi che nei mesi scorsi si erano ribellati a Hamas, possono tutti quanti riprendere la strada. Forse ha fatto male Hassan Nasrallah fra una minaccia e l'altra e mostrare le foto prese con Suleimani un giorno prima che fosse eliminato. Forse non sono piaciute a tutti, a casa sua e in giro per il Medio Oriente infuocato.

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