POLEMICA. L'Olocausto strumentalizzato? Sugli scottanti temi del libr o di Sergio Romano interviene Nirenstein Shoah, la revisione di Israele Ridimensionato il mito eroico dello sterminio
martedì 25 novembre 1997 La Stampa 0 commenti
SONO fra i molti che considerano gli scritti di Sergio Romano un
raro esempio di rigore, di interpretazione originale della politica
interna e internazionale, un misto encomiabile di esperienza e di
cultura e anche di bella scrittura. Il suo nuovo libro Lettera a un
amico ebreo, (Longanesi) contiene una quantità di spunti
polemici. Alcuni li trovo molto intelligenti e fertili, per esempio
il problema dell'interpretazione ebraica dell'Olocausto come una
visione parziale e anche strumentale del genocidio, un genere
storico eterno metafisico e assoluto; oppure, il tema dell'insano
rapporto di mutuo soccorso fra l'ebraismo e la sinistra. Questioni
che, seppure ben poste, restano nel libro irrisolte, direi
retrodatate. Altri temi come le osservazioni sullo Stato d'Israele
e il sionismo, oppure l'ambiguità della posizione dell'ebreo nella
diaspora, il marranesimo, sono trattati con levità senz'altro
affascinante; starei per dire, un po' troppo. Ovvero, con quel
distacco aristocratico che a volte solleva il senso comune ad
altezze che non merita.
Ha ragione Romano quando denuncia una lettura attualizzata dello
sterminio da parte degli ebrei, ma solo se si riferisce agli anni
che arrivano fino ai 70. La storiografia ebraica dell'Olocausto,
specie quella israeliana, è stata infatti dominata agli inizi dal
desiderio di riabilitare agli occhi del nuovo pioniere sionista le
povere "pecore al macello" che perirono nei Campi, e quindi ha
creato una visione della Shoah come Gvurà , sterminio come eroismo,
addirittura inconsciamente proiettato verso il sionismo. In una
parola, Israele ne risulta lo scrigno del potere di redenzione di
fronte al Male Assoluto, all'inferno, all'indescrivibile,
all'ineffabile, e ai tedeschi intesi come Belva Nazista. Si temette
che ogni vera ricerca sarebbe stata interpretata come una
giustificazione, avrebbe incrinato lo stato mistico dello sterminio.
Ormai dagli Anni 70, c'è stata una galoppante revisione della
Shoah: decine di storici hanno fatto a pezzi senza pietà le
similitudini capziose tra gli arabi e Hitler, e i primi testi che
descrivevano i nazisti semplicemente come animali da preda assetati
di sangue. In Israele sono fiorite addirittura canzoni pop di cui
la più popolare dice: "Cohev aval pahot", ovvero "Duole, ma meno".
Un popolare sceneggiato televisivo ha messo addirittura in
discussione la figura di Hana Senesh, la più santificata fra le
eroine dell'Olocausto. La satira non risparmia le più sacre
commemorazioni. E fu bocciata la proposta di legge che avrebbe
voluto il giorno della Shoah sovrapposto a quello per Tisha be Av,
il giorno del ricordo della caduta del secondo Tempio, 70 anni dopo
Cristo.
Nella diaspora, invece, è un'altra la storia dell'interpretazione
ebraica dell'Olocausto. È vero, nel dopoguerra si creò un
commovente, talora patetico rapporto tra gli ebrei e la sinistra
come unica casa in cui tornare. E dove sennò , forse nella
democrazia cristiana del tempo? Però quando fu loro possibile,
quando le persecuzioni comuniste antiebraiche ebbero mostrato la
loro forza, gli ebrei, come tutti, si suddivisero per gruppi
politici in cui i moderati e gli anticomunisti divennero sempre
più consistenti. Resta vero che all'inizio l'ideologia diasporica
della Shoah fu pilotata verso le sponde eternizzanti della
battaglia fra il Bene Assoluto rappresentato dalle forze alleate,
dai Cln, dalle democrazie, dagli uomini buoni, le minoranze
razziali, le donne, i movimenti per la pace...
I libri di Primo Levi o di Anna Frank sono stati manipolati con
l'ignaro ma anche compiacente aiuto degli ebrei a degiudaizzare la
Shoah, per annettersi anima e corpo all'eterna lotta fra le anime
belle e i cattivi. Ovvero, per molti anni, fra la sinistra e la
destra.
Ma, una volta che questo sia superato, come è stato superato,
bisogna però che Sergio Romano scelga. O siamo per una
storicizzazione senza tregua dell'Olocausto, e io lo sono. Allora
si dia a ciascuno il suo, riconoscendo le responsabilità delle
banche svizzere, dei Paesi democratici, e anche avventurandosi
senza paura sul mondano terreno dei risarcimenti: anche Ben Gurion
e Adenauer capirono che solo la terrena commensurabilità del danno
avrebbe consentito ai due popoli di comunicare, mentre un
estremista come Begin era contrarissimo ai risarcimenti. Bisogna
cioè credere alla giustizia degli uomini, e non andare in cerca di
complotti contro le banche svizzere perché l'Olocausto
venga superato come genere eterno.
In definitiva l'immane sforzo di capire è andato piuttosto bene:
dalla mistica alla storia, dai santuari ai musei. Dall'Olocausto si
è passati allo studio degli stermini e certo questo perché gli
ebrei hanno aperto la strada.
E ora gli ebrei e l'ebraismo diasporico: credo che Romano non mi
smentirebbe se dicessi che la sua simpatia per gli ebrei è
dedicata soprattutto a quelli che se ne affrancano, perlomeno in
parte. Il suo pensiero sui Marrani, su Spinosa, su Momigliano, è
tanto più caloroso quanto più essi si liberano da quella che
Romano definisce a più riprese come "una delle più antiche,
introverse e retrograde confessioni religiose", "l'occhiuta
dittatura della precettistica ebraica", "piccolo ghetto
spirituale", "l'ebraismo più accigliato e radicale", "un ebraismo
arcaico, arcigno, psicologicamente impermeabile a qualsiasi forma
di tolleranza e convivenza...". Questo incubo di ebraismo non
avrebbe mai avuto la duttilità di tenere insieme una cultura e un
popolo per duemila anni. Anche Ben Gurion, anche Kafka andavano
sovente con la Bibbia in tasca, ciascuno per la sua strada. Il
grande vento rivoluzionario portato dalla cultura che ha distrutto
gli idoli, che ha instaurato l'etica come la intendiamo oggi, che
ha scoperto l'amore per il prossimo e una spiritualità astratta e
accessibile tale da fornire nutrimento e ispirazione a una gamma di
filosofi, musicisti, politici e scrittori, è la vera anima, se non
l'unica dell'ebraismo. Bernstein, A. B. Yeoshua, Grossman, Rabin,
Oz, Berlin, Carlo Rosselli, Roth, Einstein a cui lo Stato d'Israele
propose di diventare suo Presidente, cosa sono? Dei convertiti, dei
marrani? Dei personaggi che in qualche modo si pongono al di fuori
dell'ebraismo?
La verità è che alle volte risulta ingombrante una minoranza
forte, un po' esibizionista, ricca di un bene di cui tutti vanno
sempre in cerca, l'identità .
Infine mi resta solo un piccolo spazio per quello che considero un
autentico abbaglio: immaginare che lo Stato d'Israele sia uno Stato
per metà europeo-orientale e per metà mediorientale con la
tendenza alla piena mediorientalizzazione, è uno svisamento
totale. Semmai il problema dell'anima nazionale israeliana è
quello della sua galoppante corsa verso l'americanizzazione, nel
bene o nel male. Siamo al decimo tentativo di im peachment di
Netanyahu. Da un Paese di valori si è passati nel breve volgere di
qualche anno a una società di una mobilità sconvolgente, il cui
consumo e l'informazione spregiudicata e antagonista rispetto al
potere si sono dati la mano con un potere della giustizia pervasivo
e al di sopra di ogni sospetto, in cui la Corte Suprema risponde al
cittadino ad ogni istante. L'esercito, contrariamente a quel che
dice Romano, non ha affatto pervaso il sociale di sé . Il suo
turn-over è intensissimo, e gli ex generali sono dei giovani
signori (fra i 40 e i 45 anni) che insegnano all'Università o
dirigono compagnie di software.
Quanto ai religiosi, santo cielo, è vero che sono neri, pieni di
pretese, fastidiosi, ingombranti, che hanno prodotto degli odiosi
estremismi fattisi ultimamente anche assassini; ma certo, in misura
incomparabile rispetto agli estremismi mediorientali religiosi
islamici, e con una legittimazione inesistente. È una legge
elettorale sbagliata che dà forza ai piccoli partiti religiosi
all'interno della coalizione; quando di nuovo il partito laborista
governerà , daranno meno noia. Inoltre, in Israele un maestro che
dice ai suoi alunni parole razziste sugli arabi, va diritto in
prigione. Una cretina che disegna Maometto in veste di maiale,
viene pluriprocessata e sbattuta dentro. Per non parlare dello
scontro nel sociale con i religiosi, che è semplicemente micidiale
e che riempie le piazze di centinaia di migliaia di persone. La
tivù di Stato, i giornali, la satira, sono tutti contro i
religiosi. Nel 1952, ai tempi in cui Ben Gurion stabiliva lo statu
quo, i religiosi facevano già le loro barricate di sabato. Solo
che allora Ben Gurion si era immaginato che la religione fosse un
fenomeno destinato a sparire. Non è stato così per nessuna
religione, anzi. Solo che a Sergio Romano, laico di indubbia e
simpatica fede illuminista, la religione ebraica pare
particolarmente persistente. Ma ha mai dato un'occhiata a piazza
San Pietro di domenica?
Fiamma Nirenstein
