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POLEMICA I MEDIA E LE STRAGI Israele processa la tv

martedì 12 marzo 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV CHE cosa dovrebbe fare la televisione quando per tre volte in una settimana il Paese viene martirizzato dagli attentati per un bilancio di quasi sessanta morti? Qual è il ruolo del più potente fra i mezzi di comunicazione di massa? Allertare? Sedare? Ragionare sull'accaduto? Riorganizzare la vita civile? Le immagini di sanguedevono essere mostrate fino in fondo alla popolazione secondo le leggi della democrazia che impone il massimo della trasparenza, oppure occorre almeno in parte celare l'orrore per non spargere il panico e per non esaltare la fantasia malata dei terroristi? In Israele, il più famoso dei conduttori televisivi si chiama Chaim Yavin. È il conduttore fisso del telegiornale. Ma è anche un giornalista molto aggressivo nelle interviste, magro, alto, non giovane, elegante nel tratto, ma con quel marchio militare che qui hanno le personalità più affermate: la tv israeliana è stata una e una sola, di stato, fino a tre anni fa, quando è stato ammesso un secondo canale (con la pubblicità , mentre il primo resta educativo) e tutti i canali della tv via cavo. Il primo canale era nato solo nel 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni, e dopo una lunga opposizione al mezzo televisivo in quanto tale. Israele era ancora quella di Ben Gurion e di Golda Meir ideologicamente socialista e anticonsumista. Chaim Yavin, che si ritiene ed è , oltre che un giornalista e un anchor man, anche in qualche modo un educatore, si è trovato stupefatto, sotto il tiro di uno dei più famosi intellettuali di qui, Shlomo Avineri, filosofo, ex direttore del ministero degli Esteri, esperto di problemi internazionali, professore universitario, che è stato seguito da svariati altri nomi importanti dell'intellighentia israeliana. Dice Avineri: la televisione, allorquando scoppia una bomba, trasmette all'infinito le immagini della paura. All'inizio le ripete incessantemente perché non sa che cos'altro trasmettere. Poi, oltre ai morti e feriti, si cominciano a vedere gli ospedali, le lacrime di disperazione, il lavoro dei dottori, i genitori distrutti. E anche questo, una, dieci, mille volte. Poi vengono i commenti dei politici, i proclami di guerra, le minute descrizioni dell'ambiente di provenienza dei terroristi, le ripetizioni a catena della loro gesta. E così le loro immagini, per virtù del teleschermo, diventano immense, invincibili, e la minaccia di questo mondo vicino e terribile, respira sul collo di Israele ad ogni istante, come fosse là presente, un pericolo costante per ciascuno. Insomma, dice il prof. Avineri, tu, Chaim Yavin, sei un complice oggettivo dei terroristi, perché li aiuti a spargere il terrore. Lo scrittore e giornalista Ygal Sarna, un esponente di adesso, insieme a molti altri intellettuali interviene nel dibattito sostenendo esattamente il punto di vista contrario: la tv che propala senza sosta e con inconsapevole piacere di chi offre un programma esclusivo e con un ascolto altissimo le immagini del sangue, e che ne imbeve il Paese, la destra non ingrasserebbe tanto. Per esempio, le manifestazioni antigovernative che si svolgono in genere sul luogo degli attentati, diventano popolari tramite il teleschermo e subito raccolgono un gran pubblico perché è proprio la tv che dice: "All'angolo del Dizengoff Center si è riunita una folla che grida: Peres assassino". Così tutti i facinorosi lo vengono a sapere e corrono sul posto. E la manifestazione s'ingrossa. La tv diventa così un'organizzatore della destra e delle sue frange. Chaim Yavin, che a suo tempo fu scelto da Rabin addirittura per gestire la cerimonia della firma della pace con Re Hussein, ha reagito come una belva: in un dibattito diretto con Avineri, pallido come un morto, ferito nel suo onore di giornalista dall'accusa, invero terribile in questo momento, di essere un complice di Hamas, dopo aver fatto in questi giorni una della maggiori fatiche emotive e organizzative della sua vita (dodici ore, e poi ancora dodici in video, e poi ancora) ha reclamato scuse ufficiali. Il suo punto di vista è chiaro: la democrazia ha un suo prezzo. L'informazione dev'essere completa ad ogni costo. In più , la tv mette semmai ordine nella confusione delle notizie incerte dandoti la sicurezza che almeno saprai tutto in fondo e comunque, che cosa vogliono Avineri e gli altri intellettuali che gli si sono accodati, dice Yavin, un Minculpop che gestisca le notizie sul terrorismo? Si comincia da qui, e non si sa dove si finisce. È pur vero che, oltre alla notizia, la tv compie continue incursioni nel futuro politico del rapporto fra terrorismo ed elezioni. E che le sue indagini, le sue infinite e ripetute interviste, sono una cassa di risonanza che inevitabilmente, in un momento d'incertezza come questo, servono all'opposizione più che al governo, nonostante la maggioranza dei giornalisti, come del resto in Italia, provengano dalle file della sinistra. Ma in Israele c'è un altro problema, che nel mondo occidentale è sconosciuto: il rimbalzo diretto da una tv democratica che appartiene a un mondo affluente, ad un mondo autocratico dove fiorisce il terrorismo islamico. Ovvero: ciò che a noi risulta, per esempio, odioso, come la violenza, o ripugnante,, come il dogma, ha tutto un altro significato culturale in quei villaggi dove pure fioriscono le antenne tv che raccolgono gli stessi programmi che si vedono in Israele. Per esempio: l'attentatore-suicida il quale sa che comunque morirà , è messo in condizioni dalla tv israeliana di vedere uno spettacolo unico al mondo. Infatti può ammirare con poca approssimazione, l'unica tessera che mancava a completare la sua esaltazione, ovvero i momenti immediatamente successivi alla sua morte, o giù di lì . Stesso autobus, stessi ebrei fatti a pezzi, stesse ambulanze, stessa disperazione della popolazione. E stesse reazioni d'orgoglio all'interno del suo mondo di provenienza. Insomma, la sua gloria, proprio quella specifica della persona che sta per martirizzarsi, diventa una specie di greppia cui si alimenta il terrore. Eppure, che fare? Senza la tv, l'ansia del Paese sarebbe davvero stata centuplicata, la paura amplificata dalla fantasia. Gli psicologi di qui ripetono che in questi momenti è meglio parlare, tornare sul luogo dello scoppio, elaborare. La tv, in realtà , oltre che informare, svolge dunque questo ruolo di psicanalista collettivo. Con un suo prezzo politico. Fiamma Nirenstein

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