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Poche illusioni sulla pace in Medio Oriente

sabato 29 aprile 2017 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 29 aprile 2017


Grandi opportunità o grandi delusioni in arrivo? Se lo chiedono in questi giorni sia Israele che i palestinesi: la visita di Trump in Israele è stata annunciata ieri per il 22 di maggio, mentre il primo appuntamento con il presidente dell'autonomia palestinese Mahmoud Abbas è per mercoledì prossimo, ovvero un giorno dopo la celebrazione del 69esimo anniversario dell'Indipendenza israeliana. Obama solo al suo secondo mandato si decise a visitare Israele, invece viene subito. La visita è il primo segnale di quanto Israele sia importante per il presidente lo Stato Ebraico. Obama venne in Medio Oriente e visitò l'Arabia saudita e l'Egitto, e ritenne inutile dare un'occhiata a Gerusalemme.

Anche Trump visiterà gli stati sunniti moderati, ma è evidente che farlo nell'ambito di una visita in Israele ha un significato politico di ricerca di un nuovo equilibrio regionale,di cui Israele è il protagonista. Il coinvolgimento è sottolineato dal fatto che lo accompagneranno la figlia Ivanka e il marito Jared Kushner e la visita avverrà intorno alla data in cui ricorre l'anniversario della Guerra dei Sei Giorni, quindi con uno sventolio ideale di bandiere a stelle e strisce a fianco di quelle bianche e azzurre.

Che cosa ci si deve aspettare dagli incontri dato che Trump ha dichiarato di avere intenzione di passare alla storia come il presidente americano che è finalmente riuscito a portare in porto il processo di pace? La pentola delle buone intenzioni bolle a tutta forza, gli incontri si susseguono senza freno, ma la questione è complicata. Abu Mazen che va in visita fra pochi giorni ha alle spalle una popolazione che è stata educata nell'idea, oggi maggioritaria per il 44 per cento, che fra 25 anni Israele non esisterà più.

Abu Mazen ha dichiarato di essere disponibile, ma è difficile capire che cosa sia effettivamente disposto a trattare quando l'epos coltivato nei libri di scuola, alla tv, sui giornali, indica come maggiore obiettivo quello di cancellare gli ebrei con gli attentati terroristici, mentre l'Autonomia esalta la figura del "martire" attribuendo salari fissi ai detenuti per terrore o alle famiglie. Netanyahu ha messo sul tavolo la questione in un'intervista a Fox esortando pubblicamente Trump a chiedere ad Abbas conto dell'uso dei finanziamenti internazionali per finanziare il terrorismo.

I palestinesi discutono in queste ore su una piattaforma possibile per metterli in condizione di non rinunciare ai benefici ricevuti dalla amministrazione Obama che ha scelto come obiettivi confini del '67 garantiti e lo stop alle costruzioni. La risposta consiste nel gestire il terreno del business che Trump preferisce con un "Do ut des" in cui: Trump si impegni a rimandare il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, si smetta di giocare sulla visione irrealistica di chi propone i confini del ‘67, chiedendo però invece che di cancellare gli insediamenti di bloccarne l'espansione, di accettare un conferenza regionale in cui i palestinesi facciano per la prima volta parte di un fronte anti Iran e accettino di discutere la situazione regionale realisticamente includendo la violenza dell'Isis, la questione della belligeranza continua di una parte consistente del mondo palestinese, Hamas, contro Israele con armi distruttive come i missili. Insomma lo scopo al momento sarebbe, da parte americana, quello di riportare i palestinesi, dopo l'era dei sogni obamiani di schiacciare Israele entro confini insicuri, a una più realistica discussione.

Di più non si può pensare che accadrà, anche se si legge in queste ore che Ronald Lauder, il presidente dell'World Jewish Congress, starebbe suggerendo a Trump di spingersi avanti perché secondo lui i palestinesi desiderano arrivare comunque a un accordo. La verità è che la radice ideologica profonda dell'atteggiamento palestinese è un vigoroso rifiuto arabo contro Israele molto venato dell'antisemitismo ereditato dal fondatore della "causa palestinese" il Muftì Haj Amin Al Husseini che cercò e ottenne l'alleanza di Hitler. Certo Abbas vuole dimostrare che è acqua passata, e la chiave  di credibilità è lo stop del transfer dei soldi americani ai terroristi e alle loro famiglie. 


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Paolo Monaco , Roma/Itali
 sabato 29 aprile 2017  17:43:59

il nodo da sciogliere è la dirigenza (si fa per dire) che da 40 opprime il popolo iraniano. Gli USA e l'UE devono decidersi a usare il bisturi. Poi, i popoli iraniano, siriano e mediorientali vivranno in pace con tutti. Ci vorrà e ci sarà un amalgama anzitutto tra le gioventù dei vari paesi che aspirano per natura all'amicizia e allo studio e ai buoni sentimenti.



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