Fiamma Nirenstein Blog

PERSONAGGIO MORTE DI UN PROFETA Teologo e filosofo, aveva 91 anni. So stenne la ferrea divisione tra ebraismo e Stato ebraico Addio a Leibowitz, cosc ienza di Israele Precursore di pace, si oppose all’occupazione dei Territori

venerdì 19 agosto 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV È morto uno dei più grandi ebrei del nostro tempo. Così ieri Kol Israel, la radio di Israele, ha annunciato la fine del più aspro e bizzoso fra gli intellettuali del Paese. Ma tutta Israele piange: l’Inquisitore è scomparso, è sparito un grande Padre, la coscienza col dito sempre levato, la memoria severa e anche minacciosa di che cosa voglia dire essere un vero ebreo. Yeshiajau Leibowitz aveva 91 anni. Nessuno come lui ha insistito tanto, dalla fondazione dello Stato, nel fungere da implacabile accusatore della politica di Israele. Nessun nemico dello Stato ebraico ha mai osato come ha fatto Leibowitz parlare di . Eppure tuttavia nessuno è stato amato quanto lui dagli intellettuali e anche dal popolo di Israele, di sinistra e di destra. Chi diceva è un pazzo subito aggiungeva di apprezzarne la grande fede e il valore intellettuale, e soprattutto il carattere, l’invincibile furia iconoclasta. Chi diceva è ormai un vecchio pure doveva convenire che i suoi veri adoratori e i suoi allievi erano i giovani, ne contava infatti a centinaia fra gli ospiti che si incontravano a casa sua, nella stanza dell’Università Ebraica di Gerusalemme dove da sempre era professore di teologia. Leibowitz si era dimenticato come si fa a ridere. Altissimo, pallido, gli occhi neri e vicini, nodoso, grifagno, sembrava costruito per essere un recipiente di carisma. Sapeva tutto. La scienza che insegnava era la teologia, l’ebraismo della Torah e del Talmud. Ma, nato nel 1903 a Riga, si era laureato in Filosofia a Berlino e poi anche in Medicina a Basilea. E ancora, quando era emigrato nella Palestina del 1936 sull’ala del sogno sionista, aveva intrapreso l’insegnamento di biochimica e di filosofia della scienza nella neonata Università Ebraica. Anche in questa misura di ardore teologico e di minuziosa terrena passione per la scienza che riguarda la carne e la terra, seguiva le orme dei grandi rabbini antichi, che insegnavano che staccarsi troppo dalla vita dell’uomo sia poi il vero impedimento invalicabile per avvicinarsi al Divino. La sua casa era vicina al mercato di Gerusalemme, Mahane Yehuda, un piccolo pianterreno imbottito e anzi arredato quasi solo di libri. Qui sempre fisicamente attaccato alla moglie Hanna, con cui aveva avuto sei figli, riceveva quasi tutti quelli che glielo chiedevano, e ci discuteva accanitamente, anzi quasi litigava con cipiglio che metteva paura. Ma la placida Hanna seduta accanto fungeva da silenzioso elemento di rassicurazione per il visitatore. Dalla fondazione dello Stato, mentre seguiva tutte le difficili regole della vita e della preghiera ebraica, Leibowitz propugnava la ferrea divisione tra ebraismo e Stato ebraico. Voleva che Israele fosse lo Stato degli ebrei e non lo Stato ebraico, fatto di uomini liberi ed anche desiderosi della libertà altrui come comandano i testi, in patria e fuori. Odiava quindi la spregiudicata logica di guerra che lascia che persino un popolo di ebrei possa far propria una logica statale nazionalista che consente di sottomettere un altro popolo. Non fu dunque una posizione politica, ma piuttosto teologica quella presa con furia nel ‘67 contro l’occupazione del West Bank, e quella ancora più estrema che condannava Israele a diventare un Paese , diceva lui, se non si fosse deciso a cedere i Territori, a smantellare i campi profughi. Leibowitz tuttavia aveva una vera e propria passione sionista, al contrario degli ebrei religiosi hassidim, quelli vestiti di nero e con i riccioli che sostengono la mancanza di legittimità dello Stato d’Israele, non pagano le tasse, non fanno il servizio militare. Stato d’Israele - diceva al contrario Leibowitz - realizza tutte le speranze della mia infanzia e concedeva uno di quei sorrisini senza labbra che incantavano anche i suoi nemici. E poiché le sue più atroci critiche e i suoi paradossi erano solitari, senza partiti né interessi alle spalle, Israele tutta lo ascoltava stupefatta, ma comunque lo amava. Così lo Stato gli conferì , oltreché gli onori accademici e il costante interesse della televisione ad ogni sospiro, anche il Premio Israel, il massimo riconoscimento del pensiero e della scienza nel Paese. Era il 19 gennaio 1993. Ma il 25 gennaio, stufo delle mille polemiche nate intorno al premio, Leibowitz lo rifiutò . Non ne aveva più bisogno: il suo vero premio è stato probabilmente quello di aver non solo preconizzato, ma anche in parte indotto quel processo di pace che, secondo lui, era l’unica scelta possibile per un ebreo di Riga o di qualunque altra parte del mondo, divenuto, sì , ebreo d’Israele, ma che restava sempre e soltanto fondamentalmente un ebreo. Questo era il suo messaggio, gridato per molto tempo nel deserto e oggi invece finalmente accolto da un intero Paese col processo di pace. Da ieri, però , Israele prosegue su questo cammino senza il suo terribile Profeta. Fiamma Nirenstein

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.