PERSONAGGIO L'AMICO ARABO Il miracolo del Piccolo Re Una soluzione qu ando tutto pareva perduto
lunedì 13 gennaio 1997 La Stampa 0 commenti
SI è aggiustato la kefia bianca e rossa re Hussein prima di scendere
dall'elicottero nella sua prima visita ufficiale a Gaza ed è
arrivato con il piglio delle grandissime occasioni. Perché se
davvero, dopo quella riunione la conferenza stampa congiunta insieme
a Netanyahu seguita a quella con Arafat e tenutasi durante la notte
nella Kiria, la cittadella armata di Tel Aviv, oggi si firmerà la
liberazione di Hebron, sarà di nuovo merito soprattutto del piccolo
re hashemita della Giordania l'aver compiuto un'operazione politica
di estrema importanza, che riapre la via della pace. Hussein, con la
sua drammatica operazione in queste ore sembra aver vinto laddove gli
americani stavano gettando la spugna, dato che Dennis Ross, prima di
questa mossa, aveva già annunciato la sua partenza. E dove la grande
potenza dell'area, l'Egitto, aveva mosso le pedine in maniera troppo
ambigua, ora spingendo, ora trattenendo Arafat, perché il gioco
portasse ad una soluzione positiva. Il re giordano è arrivato con la
precisa intenzione di premere con tutta la sua forza sulle due parti;
e la sua è la robusta posizione di un uomo di pace guadagnata con la
prima adesione alla politica di Rabin e Peres; e anche con la sua
capacità di recedere dalle posizioni di forza rispetto ai
palestinesi nel luoghi santi di Gerusalemme eppure dichiarando sempre
ferma responsabilità nei momenti controversi rispetto al continuo
contenzioso che li riguarda. Hussein ha saputo alzare la bandiera
della pace e piange le lacrime vere, forse le più sentite di tutte,
al funerale di Rabin; ha saputo tuttavia usare nei confronti della
nuova Israele di Netanyahu toni più pacati di quanto non abbiano
fatto gli altri vicini arabi di Israele, pur mostrando la sua
disapprovazione al momento opportuno. Mai però , ha agitato venti di
guerra come ha fatto l'Egitto, per non parlare della Siria. E nello
stesso tempo, quella cupola d'oro della moschea di Al Aqsa che brilla
nel cielo di Gerusalemme, appartiene moralmente sì , in parte ai
palestinesi di Arafat, ma in parte il re distende ancora sopra la sua
mano protettrice, che è tuttora più gradita a Israele di quella
palestinese. Inoltre, la Giordania è sempre l'ultima cartina di
tornasole della situazione mediorientale. Finché il re mantiene un
volto sereno, è questo è vero sia per Arafat che per Netanyahu,
nulla è perduto in Medio Oriente. Il re è una sponda potente per
l'una e l'altra parte del conflitto, ricco del potere contrattuale e
morale che gli dà l'equilibrio, e anche del potere pratico sugli
affari del Medio Oriente e sul fiume di denaro che va a finire nella
conservazione dei beni religiosi musulmani, che certo l'autonomia
palestinese non è in grado di affrontare. E ancora più al fondo,
non bisogna mai dimenticare che il 70 per cento dei sudditi di Re
Hussein sono palestinesi; e che Israele, seguita a sognare di
nascosto che la vera patria palestinese sia alla fin fine una
confederazione che comprenda anche una Giordania forte e il controllo
della situazione. È per questo dunque che Dennis Ross, ormai
distrutto dai defatiganti colloqui senza costrutto di questi giorni
ormai punteggiati da scoppi troppo pericolosi, come l'attentato di
Noam Friedman a Hebron, e le bombe di Tel Aviv ha chiesto al re,
prima del gesto definitivo di andarsene, di essere lui a usare il suo
potere, il suo volto forte e pulito per affrontare i due nemici ormai
in realtà divisi da un piccolo gap che nessuno dei due, per
questioni di principio, voleva superare per primo. Infatti l'accordo
di Hebron (era ormai noto a tutti), era stato già concluso da
settimane e lo sgombero è pronto in ogni particolare. In realtà
quello su cui si discuteva era ormai il seguito sulla vicenda, ovvero
come proseguire nello sgombero del West Bank anche nelle zone B e C,
ovvero fuori delle città . Netanyahu aveva proposto di concludere
l'evacuazione nel '99, cosa che aveva fatto sobbalzare Arafat il
quale opponendo un rigido rifiuto si era impuntato sul settembre del
'97. Dennis Ross in queste ore cercava di mediare puntando al '98, e
questo pare che sia il punto che re Hussein ha discusso per dodici
ore consecutive prima con Arafat e poi nella notte piena delle luci
di Tel Aviv dopo la sua drammatica discesa con l'elicottero
nell'ufficio di Netanyahu. Il suo viso è apparso alla conclusione
dell'incontro, durante la conferenza stampa, soddisfatto quanto
quello del primo ministro d'Israele, e consapevole della sua forza:
se ce l'ha fatta davvero (col permesso di Mubarak con cui ha parlato
ripetutamente per telefono) avrà portato a casa innanzitutto la
grande soddisfazione di essere rimasto fedele alla pace anche in
tempi duri come questi, in cui tutti i leader hanno compiuto i loro
tradimenti. Fiamma Nirenstein
