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PERSONAGGIO IL PUPILLO DI BEN GURION Shimon, maratoneta del Medio Ori ente Vent’anni di incontri segreti con i leader arabi

sabato 15 ottobre 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV OGGI si può pensare che fu la gioia di Shimon Peres, il sorriso aperto e il corpo proteso a emanare cordialità , che sull’erba verde della Casa Bianca, quel 13 settembre 1993, gli guadagnarono il Premio Nobel. Rabin era emozionato, ritroso, la sua mano porta ad Arafat rappresentava ancora una cesura immensa rispetto all’ostilità evidente, ed anche al palese dolore per i tanti ragazzi morti in guerra. Rabin incarnò un eroico obbligo, Peres invece correva lungo una strada intrapresa da almeno due decenni, punteggiata di incontri segreti con i leader arabi, di simpatetici intrecci con movimenti pacifisti. Per questo può oggi identificarsi appieno con la scelta di Stoccolma anche l’Israele di , quella delle manifestazioni di piazza, quella dei primi deputati e intellettuali che andavano ad incontrare Arafat quando per questo si finiva in prigione. Non sarebbe bastato loro lo scabro volto del primo ministro, ex capo di stato maggiore ed ex ministro della Difesa che dovette fronteggiare con durezza nell’87 l’insorgere dell’Intifada. Tanto Rabin ha infatti portato nel processo di pace l’indomita volontà del sabra soldato che conosce tutto il dolore della guerra, che non ride mai, che usa le parole con tagliente parsimonia, altrettanto Peres ha dato a questa vicenda il suo carattere di gentiluomo dalla memoria europea, scaltro nella politica, poco predisposto ai confronti di forza, abile nell’uso dei media e delle diplomazie. Il suo eloquio è elegante e rotondo, le sue vittorie sono sempre ottenute con mille armi, tanto che gli avversari politici, e primi fra questi il suo eterno rivale- amico Rabin che gli dette di , l’hanno accusato d’esser troppo astuto, mai abbastanza diretto. Non un sabra integrale, ma un ebreo ancora un po’ diasporico. Il premier Peres, il ministro degli Esteri israeliano, è per certo un rafforzamento agli occhi del mondo del ruolo dell’intera leadership israeliana nel processo di pace; serve a smorzare le polemiche subito sorte per l’equiparazione diretta creata dalla simmetria del Nobel tra la storia personale di Rabin e quella di Arafat. L’uno, sì , un militare, ma certamente un uomo integro anche se costretto a combattere con la sanguinosa storia dell’area. L’altro un rais coraggioso quanto si vuole nella svolta finale verso la pace, ma con una vita punteggiata di terribili attentati terroristici. Peres dunque è l’uomo che, prima ancora della giuria del Nobel, ha riabilitato pienamente abbracciandolo il capo dell’Olp oggi presidente dell’autonomia palestinese. S’è voluto premiare non tanto il tessitore di Oslo, quanto l’entusiasta della pace, il politico di grandi visioni, il profeta del Nuovo Medio Oriente. Nato in Bielorussia nel 1923, Peres aveva 11 anni quando sbarcò a Tel Aviv. In mente il sogno di costruire il Paese dove tutti insieme si lavora la terra la mattina e poi si legge Bialik e Chernikowskij, Shimon profuse una quantità di impegno nel movimento giovanile del Mapai, il partito socialista allora maggioritario. Nella guerra del ’48 Ben Gurion lo nominò capo della Marina, nel ‘50 lo Stato neonato investe sul giovane leader così tanto da lasciarlo concludere i suoi ottimi studi ad Harvard. Quando torna, parla un ottimo inglese che gli consente di intervenire a tutt’oggi sempre a braccio e con virtuosismi letterari. Invece Rabin parla un buon inglese indispensabile, e il suo accento è terribile. Tutta la carriera di Peres è una continua ascesa punteggiata di confronti con Rabin che tuttavia molte volte lo ha lasciato sul terreno: come nel momento della nomination prima delle elezioni del giugno ‘92 che hanno riportato il partito laborista al governo o come nel ‘74 quando Rabin gli soffiò il posto di segretario del partito. Ma, in generale, l’attuale ministro degli Esteri è passato di carica ministeriale in carica ministeriale, dall’Immigrazione ai Trasporti, alle Finanze, agli Esteri. Israele, Paese moralistico e duro, ama fino a un certo punto questa capacità di saltare da un potere all’altro, di esser sempre in sella. È un po’ come se in fondo la maschera contratta di Rabin risponda meglio, almeno fino ad oggi, all’idea che gli israeliani hanno di se stessi. E tuttavia Peres col suo agile districarsi, la sua disponibilità occidentale, è sicuramente l’uomo del domani di pace. I giovani lo amano di più , gli intellettuali e i giornalisti lo considerano il vero leader del processo in corso. Il suo uomo di punta, quello che ha condotto in porto gli accordi di Oslo, è Uri Savir, il direttore quarantenne del ministero degli Esteri, un enfant prodige. Uno dei suoi episodi preferiti è il racconto di con quanta sofferenza abbia provato a fumare una sigaretta durante gli infiniti colloqui con gli arabi, perché aveva notato che a forza di fumo gli interlocutori riuscivano a tirare notte tardissima, tutto quell’affumicamento. La cronista incontrò Peres per un’intervista di notte. Peres la ricevette nella sua camera da letto, nella casa degli ospiti della regina d’Olanda. Da una riunione con la regina a una cena, si era trascinata dietro l’allora premier israeliano vedendo sfumare il colloquio promesso. Ma Peres è uomo d’onore. Sedemmo al tavolino per un’ora e mezzo e l’ultima domanda al leader fu se davvero avesse intenzione, come si diceva, l’indomani di incontrare re Hussein di Giordania a Londra. Peres sollevò appena le palpebre e disse: . Il giorno dopo incontrò il re. Fiamma Nirenstein

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