PERSONAGGIO IL MINISTRO DEGLI ESTERI L'ultima chance del Falco Sharon alla ricerca del riscatto morale
domenica 18 ottobre 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
CIRCA un anno e mezzo fa, con un sorriso storto da macho, Ariel
Sharon, aggiustandosi addosso la camicia a quadri dopo aver munto
per i fotografi una delle più belle mucche che egli stesso alleva
nella sua fattoria, si lasciò andare a una birbonata: "Tanto lo
sapete che io sono l'unico che può portare i negoziati con i
palestinesi a un accordo permanente". Aveva in quei giorni condotto
lunghi colloqui con i due uomini più importanti per Arafat e per
l'Autonomia Palestinese: Abu Allah e Abu Mazen. Nella sua grande
casa avevano gustato cibi di alto livello e riposato; la signora
Sharon, come sempre tutta vestita di nero e ingioiellata, aveva
sparso la sua grazia di gran signora di campagna e Sharon aveva
loro semplicemente offerto uno Stato palestinese; piccolo, isolato,
chiuso in una morsa territoriale, ma uno Stato vero. Abu Allah
disse ai giornalisti che l'atmosfera era stata buona, ma che
naturalmente non c'era e non poteva esserci niente di fatto. Ma era
chiaro a tutti, compresi i palestinesi, che, con il beneplacito
sotterraneo di Netanyahu, Sharon, il grande falco d'Israele,
l'enorme, corpulento settantenne con la macchia della guerra del
Libano nella sua biografia, amicone dei coloni, generale nella
Guerra dei Sei Giorni, eroe della Guerra del Kippur, si candidava a
essere colui che può fare ai palestinesi le concessioni che nessun
altro può fare.
Il teorema è quello di De Gaulle o di Begin: solo la destra può
portare a casa in concreto le concessioni politiche che la sinistra
vorrebbe fare. Ed è così che fu Ariel Sharon ad andare a chiedere
scusa a re Hussein, sempre dimostrando i suoi ottimi rapporti col
mondo arabo quando, nel settembre dell'anno scorso, il Mossad fece
l'orribile gaffe di tentare invano sul territorio giordano
l'uccisione del leader di Hamas Khaled Mashaal. Il re lo accolse
come un vecchio guerriero amico: e di nuovo, ieri mattina, sulla
strada verso Wye Plantation, nella sua nuova veste di ministro
degli Esteri, Sharon ha visitato Hussein e si è umilmente
accoccolato con un sorriso pieno di ammirazione davanti al piccolo
re malato, calvo per la chemioterapia, bianco come un lenzuolo. Il
re gli ha sorriso e lo ha quasi benedetto: un grande viatico per
una trattativa con Arafat. Eppure è stato Sharon quello che per
anni, più forte di tutti, ha ripetuto che la Giordania è la
Palestina, e che là era la soluzione per lo Stato palestinese. Ed
è sempre lui quello che fino a ieri ha seguitato a ripetere di non
volere stringere la mano ad Arafat. Ma già i suoi dicono in un
orecchio ai giornalisti: "Non vi preoccupate, andrà tutto bene". E
infatti i palestinesi mostrano un certo, sorprendente gradimento
verso l'uomo che 15 anni fa fu costretto a dimettersi da ministro
della Difesa dopo le conclusioni della commissione Kahan, che gli
attribuiva forti responsabilità nella grande strage di palestinesi
di Sabra e Chatyla.
Ai guerrieri saldi, e anche eroici (Sharon ha un curriculum di
ferite sul suo corpo, e anche di gesta incredibili) il mondo arabo
attribuisce sempre onore; e a Sharon di certo si può guardare come
a un tipo che sa inventarsi grandi sorprese: i palestinesi le
ricordano molto bene in questi giorni. Sharon infatti fu il
generale che, accanitamente, sputando il sangue suo e dei suoi
carristi ricacciò indietro con una famosa manovra a tenaglia
l'esercito egiziano lanciato nel '73, durante la Guerra del Kippur,
in una grande offensiva; e che poi, nell'81, con l'accordo di Camp
David spinse con tutte le forze per sgomberare la colonia di Yamit
nel deserto del Sinai per restituire agli egiziani il loro
territorio. Le immagini della resistenza dei coloni coperti di
schiuma dalle pompe dell'esercito, e poi trascinati via dalla zona
da restituire a Sadat mentre le loro case venivano spianate dai
bulldozer, sono fra le più strazianti umanamente della storia di
Israele; sono una grande vittoria della ragione politica su quella
del sentimento.
Sharon non vuole essere per i secoli a venire soltanto un uomo di
parte, anche se da molti anni non si pronuncia e non si scrive il
suo nome senza chiosarlo con il sostantivo aggettivato "falco".
Sharon vuole essere una pietra miliare nella storia di Israele: è
uno dei pochi leader nato qui, nella fattoria collettiva di Kfar
Malal, e per lui è insopportabile l'idea di passare nella memoria
collettiva solo come il perfido responsabile di stragi di
palestinesi. Nella sua biografia c'è il gruppo fermamente laico (e
tale tuttora Sharon resta) dei quadri nati nell'Hagana, il primo
nucleo di autodifesa ebraico che combattè la guerra del '48 dove
già a vent'anni egli era comandante di brigata. C'è
l'insubordinazione verso i superiori quando, da comandante
paracadutista nel '56 si lanciò all'attacco e vinse senza il
permesso delle gerarchie. C'è la facoltà di legge, che ne fa un
membro dell'elite militare colta. Nella Guerra dei Sei Giorni
Sharon fu uno dei generali che restarono segnati dal complesso di
superiorità della grande vittoria.
Nel periodo delle battaglie contro le cellule terroristiche della
West Bank si accorge che la sua carriera politica, inziata con
l'elezione nel '72 alla Knesset, è legata alla simpatia dei coloni
di quella zona per i suoi convincimenti politici, per le sue
maniere rudi e patriarcali, per il suo modo di esprimersi sempre
troppo determinato, per le sue posizioni senz'altro annessioniste.
Quando Netanyahu ha voluto convincere i duri di Hebron a votare per
lui ha usato Sharon, che andò a promettere ai coloni che l'accordo
di Oslo sarebbe stato abbandonato. Netanyahu ha poi cercato di
liberarsi di lui, di non concedergli spazio nel governo, ma non ha
potuto. A sua volta spaventato dalla forza di questa figura di
Cincinnato che di quando in quando stacca il suo fucile dal chiodo
e lascia la fattoria per lanciarsi in lotte secondo lui decisive
per la salvezza di Israele, Bibi gli ha mandato emissari nella
fattoria di Havat Ha Shimkim a offrirgli un ministero delle
Infrastrutture inventato apposta per lui. Il prezzo lo ha fissato
Sharon: anche le Ferrovie, anche l'acqua, anche l'elettricità ...
Se il vecchio generale non fosse entrato nel governo, chissà quali
movimenti di popolo avrebbe evocato. Soprattutto, Sharon sa che a
70 anni gli si presenta l'ultima chance per essere ricordato non
come il ministro della Difesa di una delle più terribili stragi
dello scorso decennio, ma come uno dei ministri degli Esteri della
pace con i palestinesi.
Fiamma Nirenstein