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PERSONAGGI NAUFRAGHI DELL'ODIO La madre perduta nella storia d'Israel e Lui eroe ebreo, lei palestinese: insieme dopo 57 anni

venerdì 14 aprile 1995 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV IL suo primo ricordo risale all'età di quattro anni nel quartiere di Ramat Gan, a Tel Aviv, in un orfanotrofio religioso. David Ben David, detto Benda, non ebbe mai una carezza da bambino. Non un bacio, non un'espressione d'amore: solo botte, punizioni, così dure che i precettori gli ruppero una mano. Chi avrebbe detto che quel ragazzino nero nero, magro come uno stecco, insolitamente alto per la sua età , così orientale nell'espressione degli occhi, sarebbe diventato una leggenda, un ufficiale paracadutista destinato a diventare il direttore della scuola stessa di paracadutismo, e poi governatore della zona di Gerico, e soprattutto uomo di Shabbach, i Servizi segreti con responsabilità internazionali? Ma soprattutto, chi avrebbe detto che quest'orfano di padre e di madre avrebbe un giorno scoperto che la madre non solo era viva, ma era una donna palestinese con sette figli che vive tutt'oggi in Giordania? re Hussein ne è stato informato, racconta Ygal Sarna, lo scrittore e giornalista di che ha scoperto la storia e ha accompagnato Benda ad Amman tre settimane fa nella casa della madre perduta. Ed è avvertito che adesso questa palestinese con un figlio non solo israeliano, ma anche grande capo militare, dev'essere protetta da Hamas. Infatti, durante il viaggio, abbiamo sempre avuto la polizia vicino. È stato un viaggio in una primavera giordana piena di fiori, in quella Giordania che Ben David aveva visto altre volte, durante le operazioni segrete di cui era stato protagonista. Benda ha oggi 57 anni. Nasce nel 1938 nel quartiere Shabazi di Tel Aviv, vicino al mare. Tutto nella sua zona è Oriente. Il padre è giunto dallo Yemen, la madre Margalit è una bambina di 14 anni giunta su un asino, come la Madonna, dall'Iraq. Il destino volle che passasse proprio dalla Giordania per giungere in Israele. Zie e nonni abbondano, alla maniera della hamula orientale, ma questo non impedisce che tutto a un tratto Benda si ritrovi all'orfanotrofio. Gli dicono che suo padre è stato ucciso mentre si trovava, come soldato nell'esercito britannico, in Europa, e che sua madre è morta, durante il bombardamento di Tel Aviv, nel crollo della stazione ferroviaria. Non c'è neppure una tomba su cui piangere. Solo un vecchio, ricorda David, veniva ogni tanto a trovarlo: gli parlava con saggezza e calore, come i vecchi sanno parlare ai bambini. Ma Benda ha saputo solo tardi, e questo non lo può perdonare, che si trattava di suo nonno. A otto anni, Benda scavalca il muro e sceglie la strada del piccolo delinquente. Forma una gang di bambini, con altri due piccoli abbandonati: Teddi e un certo Schlesinger. Teddi proviene dalla shoah, è sopravvissuto a un campo di concentramento solo per razzolare insieme a Benda nei secchi della spazzatura, rubare i vestiti appesi ad asciugare, metter su un commercio di mozziconi di sigarette. Aggirarsi il sabato pomeriggio per le strade dove vivono le famiglie normali per sentire un odore di casa, per orecchiare un musica radiofonica che esce dalla finestra. I loro nemici erano i poliziotti inglesi, che infatti un giorno li prendono e li spediscono in riformatorio. , racconta Benda. Un maestro di nome Pinkenberg si prese cura di me. Mi mandò al kibbutz Ein Shemer per studiare, e là trovai una famiglia: Pino e Perla divennero i miei genitori adottivi. Per me era il paradiso: cibo, calore, pulizia. Ma il vero genitore di Benda, il suo sogno di riscossa e di rinascita, fu incarnato dai mitici soldati del tempo: Meir Ar Sion, Motta Gur, Arik Sharon, ufficiali paracadutisti che avevano nel kibbutz una base, vi tornavano impolverati e stravolti di stanchezza dopo aver compiuto eroiche incursioni. A sedici anni, nero, affilato, muscoloso, il ragazzo David si presenta alla baracca dei paracadutisti: vuole arruolarsi subito. L'esercito diventa la sua casa. I suoi fratelli militari riempiono il vuoto del cortile dell'orfanotrofio. Per Benda tutto è facile: non c'è fame, non c'è sonno, non c'è sete. Ha già conosciuto tutto, cerca nelle donne, con due successivi matrimoni di kibbutz, un equilibrio affettivo che non può trovare. Gli dà forza solo la lotta rocambolesca, gli dà forza solo lo stare per morire e salvarsi per miracolo, oppure salvare i suoi compagni. Come la volta che è rimasto impigliato con il paracadute nell'aereo da cui si lanciava, o la volta in cui ha portato in salvo tutta la sua compagnia nel 1967. In quello stesso anno il fuoco nemico uccide l'amico che gli sta a pochi centimetri di distanza e gli spappola un ginocchio. Benda si getterà con il paracadute anche dopo che gli avranno amputato la gamba. Durante gli anni successivi, dirige la scuola dei parà e poi è governatore di Gerico (un governatore , dicono di lui; perfezionista, pignolo, ma pulito, legalitario e onesto) e si costruisce il legame con lo Shabbach. Benda pensa spesso a quella madre perduta: ogni tanto, a trovare i miei zii a Shabazi, c'era sempre qualcuno che mi soffiava nell'orecchio "tua madre non è morta". Dopo tutto, Benda è un uomo di Shabbach; passa dunque la voce ai suoi amici. Che si diano un'occhiata in giro. Un giorno, dunque, suo zio gli telefona. Ieri, per la strada, ha incontrato due strani tipi: hanno preso da una parte e mi hanno detto che tua madre è viva, è in Giordania, ha figli e nipoti, ha scordato l'ebraico, parla solo arabo e ha dei parenti arabi qui a Shchem... Mi hanno anche portato delle foto. Benda vede nero, il cielo e la terra si capovolgono, il suo aplomb perfetto per un attimo si spezza. Ma subito dopo è di nuovo in azione: telefona ai suoi amici, vuol far sapere a quella donna palestinese grassa e vecchia, vestita di nero e d'oro, circondata di figli, che in tutta sicurezza può venire a trovare i parenti in Israele. Dopo vari approcci e rassicurazioni, la donna si decide e con il marito passa il ponte di Allenby nell'estate del 1974. Là , in una torrida stanza di interrogatori, vestito in divisa, non in arabo, né in ebraico, ma attraverso un interprete che, mentre traduce, piange tutte le sue lacrime, senza rivelarsi, Benda non batte ciglio mentre chiede alla donna perché da ebrea si è fatta araba, perché se n'è andata abbandonando un bambino piccolo: avuto. E volevo, restando in incognito, guadagnare da lei una distanza, una distanza da tutta la sofferenza dell'abbandono. E non da orfano, ma da adulto, che aveva saputo combattere, che ce l'aveva fatta anche senza di lei. Solo così , pensai, potevo perdonarla. . Sì , vorrei con tutto il cuore. . Benda prese la madre e il marito della madre e se li portò a Tel Aviv; anzi, per tre giorni girò per Israele uno strano gruppo formato da una vecchia palestinese, suo marito e un alto grado dell'esercito israeliano. Visitavano solo i posti che prima del '48 erano stati decisamente arabi: Jaffa, Acco, Ramla e Lod. Dopo che se ne furono andati, di nuovo cadde un silenzio nero, impaurito. Il silenzio della guerra. Israele era a quel tempo, infatti, in guerra con tutto il mondo arabo e in guerra anche con la Giordania. Soltanto tre settimane fa, nell'incontro di Amman, seguito alla pace fra Israele e Giordania, Margalit ha raccontato che in questi vent'anni il marito l'aveva obbligata a rinunciare al rapporto con il figlio ritrovato per paura di rappresaglie in patria contro di lei e contro i figli. Poi, dopo la pace, Benda, che nel frattempo ha girato tutto il mondo fino a diventare un uomo d'affari in Florida, ricevette una telefonata in cui la madre e i fratelli gli annunciavano una visita. , ha detto. Nell'albergo di Amman, in una morbida sera di marzo, suona il telefono. Tutti i fratelli, sette, lo aspettano nella hall. Uno di loro è identico a lui, quasi un gemello, soltanto con i baffi. La casa a cui si avviano è un secondo piano illuminato a festa. La madre, Margalit, indossa l'abito palestinese, tutto oro e ricami, delle grandi occasioni. Stavolta gli si rivolge in ebraico: . Ma i convenevoli durano poco. A notte inizia un interrogatorio, di nuovo la situazione ricorda quella di un tribunale. Perché te ne sei andata, come hai potuto abbandonarmi? non ne ebbi che botte. Anche da tuo nonno non ho avuto che botte. Fuggii, intanto tuo padre morì in guerra. M'innamorai di Mustafà , a quel tempo arabi ed ebrei vivevano fianco a fianco, la mia lingua materna era l'arabo, per me non faceva alcuna differenza. Ma anche Mustafà mi picchiava. Mi fece fare tre figli, a te dovetti abbandonarti. E non c'erano altro che botte. Fuggii poi con suo fratello, su un asino ero venuta dalla Giordania, su un asino ci sono tornata. Non so niente, io, dei confini, delle differenze fra arabi ed ebrei, per me è tutt'uno. , dice Benda. . . Benda, ci ha raccontato Sarna, non ha dormito per tutto il resto della notte, non ha mostrato sul viso nessuna emozione, ma gli è venuta una febbre alta. Forse pensava: se mi avesse portato con sé ! Oggi sarei un palestinese, forse un terrorista. Chissà . Fiamma Nirenstein

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