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PERCHE’ I DISPERATI TENTATIVI DI TROVARE SUBITO UN ACCORDO Dietro l ’ angolo, un’ altra guerra Pessimismo malgrado le parole ufficiali dei leader

domenica 7 gennaio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NONOSTANTE i disperati tentativi di tornare a trattare, la guerra non è affatto fuori questione, anzi. Al di là delle costanti obbligatorie dichiarazioni « politically correct» dei leader, lo scenario mediorentale non mostra molte vie di scampo: il campo palestinese, salvo che per pochi uomini molto vicini a Arafat, ripete previsioni di guerra, da Al Fatah ai Tanzim alle organizzazioni islamiste, e così fanno tutti i commentatori dei giornali di Gaza. Gli uomini d’ azione come Mahmoud Dahlan o Marwan Barghuti considerano l'eventuale trattativa come un'imposizione americana e una sostanziale tribuna da cui spiegare di nuovo al mondo i diritti dei palestinesi e la prepotenza israeliana. In generale, il popolo la pensa a sua volta così : trattare con Israele è una perdita di tempo. Da parte israeliana, l'opinione pubblica è spaccata a metà , come sempre. Ma anche la sinistra e soprattutto Barak, che vuole rassicurare l'opinione pubblica in vista delle elezioni del 6 febbraio e che comunque non vuole apparire come lo scemo del villaggio quando semmai Arafat gli dirà di nuovo un secco « no» , dà credito all'opinione degli esperti che vedono all'orizzonte una situazione strategicamente compromessa. E questo non solo per quanto riguarda il rapporto con i palestinesi, ma anche quello con gran parte del mondo arabo. Secondo il capo di Stato Maggiore Shaul Mofaz, che lo ha molto enfatizzato qualche giorno fa a un meeting di esperti nel Centro interdisciplinare di studi strategici di Hertzlja, « l'esercito deve essere pronto a un'escalation del conflitto. Il confine del Nord è diventato molto più fragile a causa del ritiro dal Libano. Il nuovo rapporto fra la Siria e l'Iran e le varie aperture a un Saddam Hussein sempre più desideroso di giocare questa partita rendono la zona particolarmente instabile. Il lancio di missili a lungo e a breve raggio non è affatto da escludersi» . Naturalmente la preoccupazione è che un incidente di dimensioni particolarmente grosse possa dar fuoco alla polvere: una tipica sequenza potrebbe essere quella per cui un attentato terroristico palestinese fa una strage in una città israeliana, l'esercito risponde entrando alla ricerca dei terroristi in zona A e a sua volta sparge, per errore o per decisione, molto sangue. I palestinesi allora attaccano in forza fino dentro le città israeliane, il conflitto divampa e Saddam Hussein lancia il primo missile, magari carico di materiali chimici. Il seguito è un'orribile storia di fantaviolenza. In caso di conflitto, Israele sarebbe in grado di difendersi come un tempo? I suoi standard militari sono sempre di prima categoria? La risposta di Mofaz è che lo sono: che la qualità e la motivazione dei combattenti, unita alle alte tecnologie, dovrebbe garantire Israele. Ma, aggiunge, il capo di Stato Maggiore, e tocca qui un punto di massimo rilievo, proprio le intrinseche qualità di Tzahal, l'esercito israeliano, lo trattengono: il personale di alta qualificazione tecnologica viene tenuto fermo e nascosto per non suscitare tempeste pericolose o campagne acquisti nel mondo della high tech privato, molto forte in Israele. Un'altra difficoltà , forse la maggiore, è quella ideologica: Israele, Paese democratico e occidentale permeato dal consumismo e dal moralismo pacifista, conta tutti i soldati di leva nella generazione che aveva undici anni quando è cominciato il processo di pace: gente viziata, che magari si immaginava che ogni conflitto fosse finito per sempre. Tuttavia il training è molto buono, e il rapido succedersi degli eventi una scuola di vita accelerata. Una ulteriore difficoltà portata dal processo di pace è stata, come dice il capo dell'intelligence dell'esercito Amos Gilad , un certo decadimento, un tirarsi indietro dei servizi segreti, un credere che le informazioni non fossero più parte integrante del formarsi delle decisioni. Insomma, Israele ha tenuto la guardia molto bassa in questi anni, nell'illusione che il mondo circostante la avesse ormai sostanzialmente accettato. Gilad però è anche molto ottimista nell'individuare in Arafat una sostanziale volontà di trovare alla fine un accordo diplomatico; ma intanto lo scontro militare in atto porta al suo arco nuove frecce che non è disposto a buttare via. Chissà se una di queste, infuocata, non scateni un incendio incontrollabile.

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