PER GLI ESTREMISTI ARABI E’ LA LONGA MANUS DELL’ AMERICA E DI ISRAELE Perché la Giordania, regno « traditore»
venerdì 8 agosto 2003 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
« Perplessità » : una ben misera parola quando si parla di una tragedia
come
quella di ieri a Baghdad. Eppure è il termine dominante nei commenti
sia
arabi che occidentali quando si discute dell’ attentato che ha colpito
l’ ambasciata giordana. « Confusione» sarebbe un termine ancora più
appropriato: chi è stato, qual è il movente, dove porterà questo
gesto, dove
porteranno questi undici morti, tutto è ancora oscuro. L’ operazione
condotta
con un telecomando o con un razzo che ha fatto esplodere un’ autobomba
in una
città presidiata dalle truppe americane, presume organizzazione,
denaro, una
forte determinazione, informazioni dettagliate, insomma, sembra
trattarsi di
terrorismo niente affatto casuale né spontaneo, ma ben organizzato,
ben
determinato. Un terrorismo adatto a grandi organizzazioni, magari
coadiuvate
da gruppi locali, e viene spontaneo, specie dopo le minacce di
attentati dei
giorni scorsi, pensare ad Al Quaeda, che, dopo la distruzione del
santuario
afghano, avrebbe distribuito le sue forze fra Pakistan, Iran e Iraq.
La folla che ha invaso rabbiosa l’ ambasciata giordana, ha decisamente
un
volto antiamericano e filo Saddam, come si vede dalla distruzione
delle
effigi dei re della dinastia hashemita, da sempre considerata un
potenziale
nemico o un nemico di fatto del regime di Saddam Hussein. E tuttavia
in
queste ore si ventila anche l’ ipotesi di una reazione antigiordana
legata
all’ accoglimento delle figlie di Saddam, o persino di un gesto di
puro odio
e prevaricazione da parte di uno dei più importanti personaggi della
nuova
leadership democratica irachena, Ahmad Chalabi dell’ Inc che ha un suo
conto
aperto con la Giordania da quando i giudici di quel Paese lo
condannarono
per bancarotta fraudolenta nel 1989 dopo il fallimento della sua
Petra Bank.
Ma francamente queste ultime due ipotesi appaiono fantapolitiche. La
verità
è che in Medio Oriente, alla fine, puntuali, i conti tornano in una
loro
logica insanguinata.
La Giordania ai tempi di re Hussein si rifiutò di far parte della
coalizione
per la prima Guerra del Golfo: agì un misto di paura e rispetto di un
vicino
terribile come Saddam Hussein e anche i fortissimi rapporti economici
legati
non solo al petrolio, ma a una quantità di affari, e soprattutto agì
la
preoccupazione di essere definitivamente classificati come filo
americani,
filo israeliani e nemici dei palestinesi. Molta acqua da allora è
passata
sotto i ponti: re Hussein, con la pace con Israele e con molteplici
passi
politici si è riqualificato agli occhi occidentali come uno dei Paesi
arabi
più moderati, più democratici, più pacifisti. Questo naturalmente è
stato di
nuovo utilizzato da vicini per rinfocolare l’ antica antipatia per la
dinastia messa al potere dai britannici ai tempi del congresso di
Sanremo.
Questo modo di vedere è cresciuto a dismisura col dispiegamento
(prima
negato e poi ammesso) di truppe e mezzi bellici americani sul
territorio
giordano deciso dal giovane re Abdullah alla vigilia della guerra di
Bush.
Si è rinnovata così la fama della Giordania « Paese traditore» che per
primo
il leader panarabista per eccellenza, Ghamal Nasser, usò attivamente
nella
sua politica egemonica nel Medio Oriente. Il « Settembre Nero» , nel
1970, in
cui re Hussein stremato dallo strapotere dell’ Olp in Giordania
contrattaccò
e uccise 10 mila palestinesi in un sol colpo, aumentò una fama
negativa che
non si è mai spenta. Adesso, la decisa candidatura economica al
grande
business della ricostruzione dell’ Iraq che la Giordania ha posto con
forza,
la fa apparire agli occhi dei gruppi sciiti e baathisti come un
profittatore
di guerra, e come un alleato dei « crociati e dei sionisti» . A meno di
grandi
sorprese, dunque, i terroristi che hanno fatto saltare l’ ambasciata,
e
distribuito morte e disperazione, sono parte della schiera filo
Saddam.
Qualunque alleanza è possibile all’ interno di un mondo che vede
l’ atteggiamento della Giordania come apostasia politica nei confronti
del
panarabismo e dell’ Islam.