Oslo in guerra?
sabato 23 luglio 2011 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 23 luglio 2011
Ciò che importa è che la guerra dell’islamismo contro la nostra civiltà, se verrà confermata l’ipotesi che nel corso della giornata è diventata sempre più robusta, è feroce e aggressiva. Mentre da parte nostra diventa sempre più grande la difficoltà ad accettare che una vasta fetta della popolazione mondiale possa non volerci bene, e non per ragioni sociali o economiche, ma per ragioni di ideologia, non per reazione a un nostro eventuale comportamento riprovevole, ma per rifiuto del nostro stesso modo di esistere...
Il terrorismo oggi ha vastissime ramificazioni, è divenuto ormai pressoché impossibile delimitarlo ad alcune associazioni paramalavitose come era nel passato, ad alcuni personaggi di fama internazionale, avvolti nel mistero e nel delitto come poteva essere per esempio Carlos. Oggi il terrorismo è il comma di una teoria islamistica di conquista che va da capi di Stato anche molto importanti, come Ahmadinejad, che ritengono non solo giusto ma doveroso impiegare Hezbollah e Hamas per la guerra contro l’Occidente e costruire la bomba atomica fino, appunto, a Hamas che domina territorialmente un’area sotto l’insegna dello sterminio del vicino (e questo non lo ostacola nel gestire larghi rapporti internazionali), fino al nuovo complesso franchising di Al Qaida che, dopo l’eliminazione di Bin Laden, è diventato sempre più ambizioso di mostrarsi al posto del pallido ieratico feroce capo assoluto che ora non dà più fastidio ai suoi epigoni, liberi di esprimere la sete di sangue a modo loro.
Nella penisola Arabica Al Qaida si chiama Aqap, ed già riuscita a lanciare due attacchi agli Stati Uniti: quello del Natale 2009 sul jet diretto a Detroit e, nell’ottobre del 2010, il vasto complotto delle bombe sugli aerei cargo. In Somalia, il gruppo Shabaab ha lanciato un attentato contro gli americani in Uganda nel luglio 2010, nel Maghreb sempre Al Qaida compie frequenti rapimenti e altri terroristi agiscono nell’Africa occidentale. Dall’Egitto post rivoluzionario promanano, specie nel Sinai, complotti terroristi sia della Fratellanza musulmana sia di Al Qaida, e in genere le liberalizzazioni della Primavera araba, salve restando le sue pulsioni libertarie, contengono una quantità di esplosivi pericoli di diffusione del terrorismo.
E noi che facciamo? Oslo, città che sogna, città che ospita il premio Nobel per la pace, luogo principe del processo di pace, si è fatta prendere alle spalle, nonostante ultimamente la sua polizia fosse in allarme per ventilati piani terroristici; sapeva bene che la vicenda del mullah Krekar aveva già suscitato parecchio scontento nella popolazione musulmana, che è quasi il cinque per cento della Norvegia, sapeva che le sue missioni scontentano alquanto molte centrali terroristiche, che la vecchia storia delle vignette ancora duole. Ma Oslo è una città onorevole, che non può, come nessuno di noi occidentali, vivere in un clima di sospetto. Noi dobbiamo credere nella possibilità di pacificazione, nel miglioramento di ogni e qualsiasi relazione, anche quelle con i più espliciti assassini.
Al Zawahiri aveva annunciato che Oslo è nel mirino, la sua ambasciata a Damasco era già stata assediata una volta, Al Qaida aveva promesso un bagno di sangue. Ma la strada che seguiamo per combattere il terrorismo al tempo di Obama è diventata ideologicamente incerta, deve essere neutra quanto si può, ormai l’ispirazione basilare è quella di una tattica militare tesa a sradicare le cellule sul campo, sperando che il terreno non si inaridisca troppo rispetto a un futuro rapporto con gli islamisti pronti invece a ricevere una mano tesa: nemmeno un mese fa il capo dell’antiterrorismo John Brennan ha spiegato di nuovo dalla Casa Bianca che la guerra al terrorismo non porta tracce di guerra al terrore come sistema bellico complessivo contro gruppi ideologici, niente freedom agenda, niente asse del male, niente contrapposizione verticale... La strategia contro il terrorismo è disegnata non per perseguire il terrore come ideologia in ogni angolo del mondo, compresa casa nostra, dove purtroppo è sempre più presente, ma ora come ora punta ad Al Qaida sul campo, ovvero in Afghanistan, con droni che ripuliscono le zone infestate senza troppi danni collaterali, col bellissimo attacco di Abbottabad...
Obama non rinuncia a sperare che si possa seguitare a giocare di sponda sulla micidiale presenza del terrorismo degli Hezbollah in America del Sud, sulle cellule che ormai fioriscono negli Usa e in Europa, sulla speranza che Hamas e persino Assad di Siria possano essere recuperati. Probabilmente il mullah Krekar e quelli come lui a Oslo sono ritenuti ospiti difficili ma recuperabili, forse anche nell’illusione di un residuo in quella neutralità che dovrebbe renderti immune. Ma oggi non c’è neutralità per nessuno.