ORA SI PUO’ SCOMMETTERE CHE SAUDITI, SIRIANI E IRANIANI VOGLIANO FARE COME GLI IRACHENI L’ allegro miracolo delle urne
lunedì 31 gennaio 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
IL voto è magico. Nonostante il terrorismo, nonostante il triangolo
sunnita, nonostante l’ incertezza del domani, nonostante che ancora gli
americani debbano decidere quando andarsene, gli iracheni hanno votato
attratti dal più potente fra tutti i simboli di frantumazione delle
diseguaglianze e delle ingiustizie. Tutto si dirà e si scriverà nei prossimi
giorni: ma la gente, in misura ben maggiore del previsto, sotto una minaccia
personale e diretta, si è recata alle urne. A volte, come a Bakuba,
roccaforte del terrore, il voto era estatico: con grandi sorrisi tanti
uomini e donne, poveri, ricchi, addirittura con i bambini per mano, in fila
ripetevano senza paura: « Finalmente mando al governo chi voglio» ; « Mi sembra
di essere nato oggi» . Si sentiva crescere l’ onore e l’ autostima in ogni
parola.
E sono le identiche frasi che si sentivano il giorno delle elezioni
palestinesi. Il fatto in sè che la tua persona meriti l’ immenso rispetto di
cui sono costituite le liste di votanti di ogni condizione, finalmente tutti
eguali; che al seggio si verifichi la tua identità per riconoscerle il
potere di esprimere il voto, che venga garantita, magari sotto forma di un
fiero dito macchiato d’ inchiostro la tua irrepetibile importanza di votante,
è un’ ebrezza che ogni uomo vuole vivere, quale che sia la cultura.
Certo, parliamo di processi imperfetti. E tuttavia, miracolosi: anche per i
votanti di Abu Mazen era scontato che vincesse il Fatah, come era scontato
che la componente sciita sia maggioritaria. La maggioranza è disegnata,
assurdo lamentarsene, è la logica della democrazia che nasce in un mondo
fatto anche di concrezioni storiche che non si cambiano in un giorno; ma
l’ importante è che domani possa cambiare, instaurando il processo miracoloso
quanto a velocità dei risultati che segue il voto, quello del consenso. Un
popolo che vota deve essere accontentato, presenta conti e ricevute. Diceva
Marian Wright Endelson che « la gente senza diritto di voto non ha linea di
credito aperta, e quindi non mette in discussione nessun governante» .
Quando Abu Mazen ha vinto le elezioni, non si sapeva se questo Fatah avrebbe
scelto una strada migliore di quella di Arafat; oggi, non si sa se la
componente sciita sarà capace di tenersi autonoma (come in realtà però
sembra) rispetto alla casa madre, al pertubante potere iraniano. Il voto
dopo il potere totalitario di Arafat, per i palestinesi ha creato un
miracolo: Abu Mazen per mantenere il consenso, ha gestito il problema della
sicurezza molto decorosamente, e fra pochi giorni l’ esercito israeliano
uscirà da quattro città dell’ West Bank e Sharon e Abu Mazen si
incontreranno.
Anche in Irak i governanti dovranno contentare gli elettori, e questo
metterà in moto un processo storico come quello che forse è nato fra Israele
e i Palestinesi, dopo le elezioni. La felicità della democrazia, il cessare
dalla finzione che forse la dittatura fuori d’ Europa e dagli USA sia anche
fonte un’ arcana felicità , è la vera arma strategica del disegno americano di
esportarla ovunque. Si può scommettere che sauditi, siriani, iraniani -
anche se oggi i loro media e Al Jazeera gli disegnano delle elezioni
fantoccio e sanguinose -, hanno voglia di fare come l’ Iraq ieri.