Ora la Turchia è un pericolo per l'Europa
Il Giornale, 18 aprile 2017
La vittoria di Tayyip Erdogan, triste perché tecnicamente può attribuire al presidente turco grandi poteri fino al 2029 e costituire un micidiale grattacapo per tutto il mondo, è tuttavia una vittoria risicata e contestata che getterà la Turchia in una fase di instabilità e può creargli alcune delle sue consuete crisi di nervi, molto dannose per tutti… Non è la vittoria che il rais voleva, e nella cui campagna ha dato di nazista alla Merkel e agli olandesi sciorinando il sempre fertile zibaldone del nazionalismo turco. Erdogan non è il tipo che ammette che metà del Paese, quando lui gli chiede di amarlo e di considerarlo il suo legittimo Sultano, possa dissentire, che la sua Istanbul, e anche Ankara, Izmir, Adana, Antalya, cioè i centri economici del Paese siano per il "no” al potere santificato che Edogan ritiene suo per volere divino. Erdogan avrebbe voluto una vittoria totale, dal tentativo di golpe del luglio scorso ce l'aveva messa tutta a bonificare la Turchia: 140mila perseguitati e messi in galera, chiuse 169 pubblicazioni varie, dozzine di parlamentari arrestati. Erdogan è convinto che il suo potere sia una missione indispensabile per riportare il Paese alla potenza dell'impero Ottomano, farne il centro dell'Islam diventando una specie di Iran sunnita, in cui la libertà personale ha pochissima importanza e si realizza la santa profezia. Erdogan è stato per molti anni la speranza sia dell'Europa che degli USA, l'unico Paese Islamico ponte col mondo musulmano.
Erdogan ha potuto così fare di tutto senza pagare pegno, ha lasciato che l'Isis ricevesse attraverso il suo tacito accordo uomini e rifornimento attraverso i suoi confini fino a che ha cambiato bandiera del tutto nella trattativa con le varie parti, i suoi passaggi da una parte all'altra della barricata nel conflitto in Siria, le persecuzioni ai suoi compatrioti, l'accoglienza ai leader di Hamas, la incredibile furia antisemita con cui ha perseguitato Israele finché gli è convenuto, le difficoltà poste alla NATO, e alla fine la crisi di nervi anti-europea in cui ha chiamato la Merkel e gli olandesi "nazisti" perché hanno impedito i rally in suo favore sul loro territorio nazionale mentre la sua folla gridava Allah hu Akbar... Ormai gli americani e gli europei hanno realizzato che la Turchia rischia di perdere il glorioso marchio di Kemal Ataturk e di acquistare invece quello di Abdul Hamid l'ultimo vero sultano ottomano suo modello cui è dedicato un pompatissimo serial tv. Per Erdogan la storia dell'Impero è la sua storia, il suo desiderio, lo stesso dei Fratelli Musulmani di cui è il capo politico effettivo: stabilire in Turchia e nel mondo l'indispensabile califfato che cancella le regole peccaminose dell'Occidente. Per Erdogan è stato naturale alzare la voce con la Germania e l'Olanda: la minaccia è una regola da quando sta a lui trattenere il flusso islamico verso l'Europa in cambio di una ricompensa.
E' tipico di Erdogan, se lo si contraddice, ricorrere a gesti sconsiderati: e minacciare l'Europa in tempo di frequenti attentati, sapendo che l'esercito islamico è immenso e che si mobilita a seconda della chiamata religiosa più potente. Sconsiderato è stato mettere a rischio i suoi rapporti con gli USA e con altri 34 stati mettendo i suoi agenti segreti alla caccia degli uomini del suo nemico Fethullah Gulen; sconsiderato avere un palazzo di 110 stanze, sconsiderato essersi giocato il visto in Europa su una questione relativa alla definizione del terrorismo nel codice penale, sconsiderato gridare a Shimon Peres: "Voi sapete come uccidere!". Ma lui è fatto così. Fino al 2029. A quel punto, sarà assolutamente che nessuno stato islamico è destinato alla democrazia, purtroppo, e dispiace per noi, per Ataturk, per i turchi, anche i più islamisti…