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OPINIONE La folgorazione di Dini sulla via di Teheran

mercoledì 11 marzo 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NEL corso del weekend, tutto il mondo ha potuto leggere l'intervista che Lamberto Dini ha dato ad Alan Friedman sullo Herald Tribune. Vi si parlava ancora di Iran, e Dini, in modo appena un po' più sfumato rispetto ai toni di qualche giorno fa, ribadisce la sua fiducia nella possibilità di aprire un fitto dialogo col presidente Khatami. Ora, non c'è certo niente di male che l'Italia creda ciò che tutti gli studiosi e i politici stanno ancora approfondendo, ovvero l'effettiva buona volontà , e anche il potere di Khatami di cambiare le cose. Sarebbe davvero una buona idea se, invece di esportare terrorismo, di finanziare gli hezbollah per circa 100 milioni di dollari l'anno, se invece di preparare missili che possono portare una testata di mille chili fino a 1200 km di distanza, invece di impegnarsi fino al collo in un programma nucleare, l'Iran stesse preparandosi a diventare una potenza meno ideologica e disposta a usare la sua forza per comporre i rapporti fra Occidente e mondo musulmano. Così auspica Dini. Ma non sappiamo se questo davvero possa avvenire, ed è molto rischioso non dare cittadinanza ai dubbi che tutti gli studiosi e i politici più ragionevoli hanno mostrato. Dini, come pezze d'appoggio della sua fiducia, porta argomenti molto italiani: Khatami è uno studioso, un uomo di grande cultura, insomma un calibro da novanta; e la sua intervista con la Cnn è stata estremamente interessante. Da qui discendono conclusioni che si sentono contestare con persuasiva sapienza perfino da un grande pacifista come Shimon Peres, un Nobel che dà la vita per il suo pacifismo, e che nell'Iran scorge nientemeno che il maggior pericolo mondiale per la pace. Il disegno di Dini è ancora più ambizioso di quello che sembra: se l'Italia riesce a far parlare fra di loro Usa e Iran, almeno per interposta persona (ovvero, lui stesso), questo non solo aprirà strade nuove al rapporto fra Occidente e Oriente, ma sarà anche un forte messaggio dall'Italia e dall'Europa alla Russia, che proprio perché ha venduto (è stato annunciato venerdì ) due reattori nucleari all'Iran, rischia sanzioni da parte del Congresso americano. Dal momento dell'intervista alla Cnn, quello che è accaduto in realtà è che la Russia ha venduto i due nuovi reattori nucleari, e che al massimo in due anni l'Iran avrà la bomba. E in questo ultimo anno, sempre con l'aiuto della Russia, per sei volte i satelliti di Washington hanno potuto registrare che in Iran si trovavano i motori dei missili in grado di colpire Arabia Saudita, Israele, Turchia. Dunque, legittimare la grande stazza di studioso di Khatami mentre il suo Paese firma con la Russia contratti mortali, dà segnali pericolosi a tutto il mondo, e non ci sembra una scelta di pace. Infine, ma certamente non meno importante, Dini raccoglie la distinzione che l'Iran fa tra terrorismo e movimento di liberazione a proposito degli hezbollah. Ora, essi non hanno nessun diritto di essere così chiamati: sono infatti finanziati dall'Iran attraverso Damasco, di fatto proteggono la presenza pervasiva della Siria in Libano e certo non hanno mai mosso un dito per liberarne il loro Paese. E la presenza della Siria è infinitamente più vasta, più limitativa di quella di Israele sulla sovranità nazionale del Libano. Inoltre, Israele ultimamente svolge intensive trattative diplomatiche per poter finalmente uscire dalla striscia di terra montagnosa nel Sud del Paese; chiede però che gli hezbollah, i quali hanno più volte dichiarato che la loro guerra contro il processo di pace continuerà senza fine, vengano sottoposti a misure che garantiscano la sicurezza nel Nord di Israele. L'Europa, dunque, avrebbe un magnifico ruolo da giocare: far uscire Israele dal Libano imponendo la confisca delle armi e la fine delle attività degli hezbollah. Però l'Italia dovrebbe avere un atteggiamento quanto meno più dubitoso e consapevole della storia. Fiamma Nirenstein

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