OMAR KARSOU, ECONOMISTA PALESTINESE CHE VIVE IN ESILIO NEGLI STATI UNITI « Senza istituzioni democratiche l’ Anp non fermerà il terrorismo» « In Palestina la gente deve avere qualcosa per vivere, non solo per mori re»
sabato 31 maggio 2003 La Stampa 0 commenti
NEW YORK
OMAR Karsou, palestinese di Nablus, è un economista laureato alla
School of
Economics di Londra e un uomo d'affari di quarantre anni, il leader,
insieme
a Issam Abu Issam, fondatore della Palestine International Bank, di
un
gruppo politico democratico che vive in esilio negli Stati Uniti.
Karsou,
Issam e altri componenti del gruppo sono andati incontro a rovesci e
persecuzioni, fino alla fuga. Il regime di Arafat è loro nemico, anzi
adesso
che il Raí ss sembra tramontare, il movimento, che ha tenuto la testa
molto
bassa per paura di rappresaglie, esce allo scoperto. Karsou non è
filoisraeliano, e quanto a Abu Mazen, è molto attento, in questo
momento, a
qualsiasi segno di cambiamento che apra una sua personale road map:
quella
verso un Paese genuinamente democratico. Lo incontriamo a New York
nel
salone di un albergo: alto, bruno, serio, orientale ma giacca e
cravatta,
non vuole spiegare molto di sé , non le motivazioni specifiche del suo
passaggio negli Usa, né di quello da Washington a New York. Accenna a
persecuzioni e a una situazione intollerabile, in un regime che
mancava di
qualsiasi spunto di democrazia. Con lui si schiera un gruppo che
Karsou
definisce « cospicuo, e in attesa di farsi avanti pubblicamente prima
possibile» di uomini d'affari e intellettuali « all'interno e
all'esterno
della Palestina, in tutto il mondo» . Sia la CNN che la Fox news gli
hanno
attribuito l'idea ripetuta da Bush il 24 di giugno dello scorso anno,
per
cui il terrorismo si batte con la democrazia del mondo arabo.
Che differenza c'è fra Abu Mazen e il suo gruppo, signor Karsou?
« Ancora è difficile dirlo, siamo ai primi passi di Abu Mazen, e io
spero in
lui. Personalmente, non lo conosco, ma è un uomo colto e
intelligente; la
sua famiglia, che invece conosco bene, è affluente e con molti legami
e
interessi fra i palestinesi e in genere nel mondo arabo, ciò che
garantisce
appoggi e stabilità . E' una famiglia potente. Certo, la provenienza
politica
di Abu Mazen è quella dell'entourage di Arafat, la formazione è
quella del
Fatah» .
Anche Sadat era un famiglio di Nasser, ma poi è stato lui a fare la
pace con
Israele.
« Anche se ho speranze migliori, quello che ne venuto fuori è una pace
molto
fredda, poco dinamica, il massimo che poteva esprimere un regime
autoritario» .
Il suo gruppo cercherà contatti con Abu Mazen?
« Spero in Abu Mazen, ma noi prenderemo contatti con quando ci
sentiremo
sostenuti abbastanza da potergli suggerire, facendosi ascoltare,
anche sulla
nostra idea di democrazia» .
Che cosa intende?
« Intendo riferirmi a due problemi: libero sviluppo economico e
istituzionale, e fine del terrorismo. Sono indissolubilmente
connessi. Un
anno fa incontrai Dick Cheney e gli spiegai che la democrazia era una
delle
condizioni essenziali per porre termine al conflitto israelo
palestinese.
Perché il terrorismo finisca, bisogna che la gente abbia qualcosa per
cui
vivere, e non qualcosa per cui morire soltanto. Cheney ascoltò
attentamente,
e poco tempo dopo Bush tenne il suo discorso del 24 giugno..» .
Vuole dire che ritiene che la linea post Iraq sia il frutto di un suo
suggerimento?
« Non mi interessa rivendicare meriti. Anche Sharanskji, l'ex
dissidente
sovietico in visita a Washington sostenne con grande effetto che la
democrazia si può ' costruire dove sembra impossibile, e che solo
disinnescare la ferocia dei governi dittatoriale distrugge
terrorismo. Molti
giornali e la Fox e la CNN mi hanno chiesto se era vero che io avevo
avuto
l'idea. Io ho risposto: c'è solo una verità fattuale, che io conosco
dalla
mia esperienza, essa sta nei fatti, e i fatti dicono che la pace ci
sarà
solo con la democrazia» .
Quali sono le altre condizioni essenziali?
« Prima di tutto, si è sempre in due a fare la pace. Sharon deve fare
uno
sforzo convincente, deve restituire la speranza di pace a un popolo
sofferente e disperato» .
Ma il terrorismo non è mai stato sconfessato né dai leader e neppure
dal
popolo palestinese.
« Il terrorismo è il peggiore dei crimini, ma non è vero che il
terrorismo
fra i miei compatrioti è popolare come si crede. Ciò che dicono a me,
al
telefono, quando parlo con Ramallah, certo non dicono a lei né a
altri
giornalisti. Mi creda, c'è un nuovo spazio per un grande cambiamento» .
Quanto tempo è che non ci torna?
« A Ramallah, dove abitavo prima di partire, non ci vado da anni, Era
una
cittadina dove tutti i ristoranti e i luoghi di ritrovo erano aperti
e pieni
fino a tardi, dove la gente ha voglia di vivere, e dove come in tante
altre
cittadine palestinesi, le persone della mia generazione si erano già
abituate all'idea della pace e dello sviluppo. Gente seria, quella
della mia
generazione, oggi momentaneamente sopravanzata da un gruppo giovanile
estremista e strumentalizzato.. Adesso non ci posso più andare, ma i
miei
amici sono ancora là , patrioti che vogliono uno stato palestinese
giusto e
democratico. Talvolta per affari e nostalgia vado ad Amman»
E là è al sicuro?
« L'ultima volta un semi parente mi chiese di andarmene più in fretta
possibile, prima della notte, e io lo feci. Mi dissero poi che era
stato un
buon consiglio»
Però ci sono personaggi come Sari Nusseibah, di fede democratica, che
restano a Gerusalemme.
« Sì , spiumati senza pietà dall'interno e dall'esterno» .
Che vuole dire?
« Nusseibah ha sofferto moltissimo per la sua coraggiosa posizione, e
non è
stato aiutato da nessuno, con grande miopia. Ecco un esempio di
quello che
intendo quando dico che non torneremo fino a che non sentiremo che la
nostra
posizione ha un sostegno adeguato. A noi interessa che la democrazia
vinca,
siamo gli odierni refusenik, abbiamo visto tanta gente uccisa e
imprigionata
senza processo mentre anche gli israliani, o anche gli americani, li
ignoravano e persino li danneggiavano, anche se involontariamente» .
Che ricordo ha della prima Intifada?
« Avevo sedici anni, ero a scuola, non facevamo niente di sospetto, i
soldati
israeliani entrarono e ci picchiarono sodo. Più oltre, sono stato
così
rovinato economicamente, e minacciato fisicamente e aggredito anche
dai miei
compatrioti, che me ne sono dovuto andare; ho deciso che questo
regime
dittatoriale non faceva per me. Le nostre storie personali sono
terribili,
presi fra l'incudine e il martello. Il migliore amico di mio figlio
aveva un
padre palestinese con il passaporto israeliano e la mamma ebrea. Una
banda
di delinquenti l'ha ammazzato accusandolo di essere un
collaborazionista
degli israeliani; e il figlio poi, che si chiama Wasim, ha preso
delle
terribili botte dagli israeliani. Che ne sarà di quel ragazzo?»
La Road Map è una una via d'uscita?
« Speriamo che sia cosi. Aspettiamo qualche azione dalle due parti,
che
riapra alla speranza» .