OGGI ANCHE IL CAPO DELLA COMUNITA’ , DAVID CASSUTO, HA DECISO DI INCON TRARE IL VICEPREMIER Cade l’ ultimo muro con gli ebrei italiani in Israele
martedì 25 novembre 2003 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
COLPO di scena: anche il presidente della comunità italiana David
Cassuto
incontrerà , dopo un lungo rifiuto, Gianfranco Fini. Lo hanno convinto
i toni
del suo discorso a Yad Va Shem e la sua condanna, nella risposta a
una
domanda di un giornalista, della repubblica di Salò . Il suo era un
rifiuto
di minoranza, ma significativo: e adesso, si conclude un match almeno
triennale tessuto nelle biografie sofferenti degli ebrei italiani,
nella
storia di questa piccola dignitosa comunità di novemila persone
inclusi i
nipoti che non parlano italiano, ma integrata a fondo con la storia e
i
costumi di Israele: una comunità che ha le sue vittime di guerra e
del
terrorismo, i suoi contadini di kibbutz, i suoi professori, i suoi
giudici,
i suoi medici e architetti. Una comunità colta, con i suoi uomini di
destra
e quelli di Pace Adesso, con le Donne in nero e i coloni, e che, per
quanto
profonde siano le differenze, ha in comune lo stile, la casa: anche
le due
stanze del kibbutz o dell’ insediamento mostrano una tenda ricamata
dalla
nonna, un mobile dell’ Ottocento. Di solito la comunità degli ebrei
italiani
d’ Israele è motivo di articoli sull’ archeologia (anche perché hanno
trasportato nel centro di Gerusalemme la sinagoga tutta intagli e oro
di
Conegliano Veneto), la cucina, la cultura classica. Stavolta, questi
novemila immigrati e figli di immigrati sono stati oggetto sui
giornali
locali di acuta attenzione politica: sono pronti, in sostanza, i
figli
israeliani di Roma, Milano, Firenze, a stringere la mano del leader
di
Alleanza nazionale che ha fatto generosa ammenda, ma che resta agli
occhi di
molti un erede del regime che promulgò le leggi razziali? La vicenda
cominciò con un diniego, quando la comunità oppose un rifiuto anche
dopo la
svolta di Fiuggi: addirittura, gli italiani locali chiesero a Nomi
Bluementhal, responsabile esteri del Likud, di bloccare le trattative
già in
corso. Dopo svariate condanne del passato da parte di Fini, e una
lunga
intervista al quotidiano Ha’ aretz, pure un’ assemblea di italiani
d’ Israele
che si riunì al Tempio italiano (a minuscola maggioranza) votò con
drammatiche accuse reciproche che non era il caso di incontrare Fini.
Ma era
più di un anno fa: da allora di questo parere sono rimaste poche
persone,
perché Fini ha compiuto ancora molti passi e perché anche l’ Italia in
un
contesto europeo molto ostile è un prezioso alleato. Il personaggio
che ha
mantenuto fino a ieri una sua sofferta perplessità è il presidente
della
Comunità , l’ architetto David Cassuto. Ma, dice adesso, « il discorso
di Fini
a Yad Va Shem mi ha colpito per la forza della condanna della Shoah»
e
« comunque benissimo ha fatto Sharon a invitare una persona che
rappresenta
un governo impegnato nella lotta all’ antisemitismo e al terrore» .
Cassuto
fuggì da Firenze in Israele a sette anni insieme ai suoi due
fratellini
Daniele e Susanna, dopo che la madre e il padre, rabbino di Firenze,
erano
stati deportati ad Auschwitz. David, che in questi giorni porta la
barba
lunga in segno di lutto per il fratello stroncato da una malattia, ha
sofferto sulla sua carne come molti altri italiani d’ Israele le
ferite della
Shoah.
Sul fronte del no fino alla fine, un gruppo completamente diverso,
legato
alla sinistra e alle sue organizzazioni, che giudica l’ incontro fra
Sharon e
Fini né più né meno che un’ alleanza fra personaggi di estrema destra,
dominati dal cinismo politico. Yossi Sarid o Yossi Beilin,
rappresentanti
della sinistra di riferimento anche per gli italiani, hanno fatto
dichiarazioni durissime: Primo Levi, dicono, non gli avrebbe stretto
la
mano. « E come hanno potuto» , dice Cassuto, « loro, stringere la mano a
Abu
Mazen che ha scritto una tesi di negazione della Shoah?» . Infine
viene il
gruppo che ha guidato l’ accettazione politica della visita: si tratta
di
cinquantenni, come l’ avvocato Beniamino Lazar, o il professore
dell’ Università di Gerusalemme Sergio Della Pergola, incaricato di
accogliere Fini oggi: « Quasi tutti siamo figli o nipoti di deportati
e di
fuggitivi, io stesso fui trasportato a piedi in Svizzera a due anni.
E la
cultura, il pane quotidiano della nostra giovinezza è l’ antifascismo.
Eppure, è indispensabile dialogare: se la controparte rilevante è
pronta
farlo, è benvenuta, anche perché siamo avidi di rivolgerle le nostre
domande» . Che saranno molte, dice Della Pergola, e difficili, ma
autentiche.