OGGI AL CAIRO SI INCROCIANO LA MISSIONE DELLA DIPLOMAZIA ISRAELIANA E ABU MAZEN CHE STA PER INCONTRARE KHALED MESHAAL Israele-Hamas, prove di dialogo L’ Egitto fa da ponte tra il leader islamista a Damasco e Ger usalemme
mercoledì 1 febbraio 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Lo spettacolo è davvero inconsueto: tutto il mondo, Condoleezza Rice, Xavier
Solana, Kofi Annan, Vladimir Putin, manovra intorno a un’ organizzazione che
si pregia dei suoi « martiri» terroristi suicidi, e nega l’ esistenza dello
Stato d’ Israele. E lo supplica di riconoscere, appunto, l’ esistenza di un
Paese solido, vecchio di 58 anni, con un’ economia stabile, una seria
democrazia, un esercito formidabile. I due attori principali di questa
stupefacente vicenda, i palestinesi e Israele, si guardano da lontano
sapendo che in un modo o nell’ altro li attendono incontri ravvicinati. Sia
da parte di Israele che da parte di Hamas i messaggi sono adamantini: Hamas
non riconosce Israele. E Israele, costretta in questa improbabile simmetria,
non ha nessun interesse a parlare con Hamas.
Eppure tutto si muove per impedire, non si capisce ancora con quale
possibilità di successo,un regresso di 25 anni a causa della vittoria
elettorale di Hamas. Intanto si riaffaccia sulla scena Abu Mazen che deve
capire fino a che punto può spendere il Fatah per il prossimo governo, cui
per ora il suo partito dice di no. Per ora il presidente palestinese ha
annunciato l’ intenzione di conferire l’ incarico ad Hamas lunedì , e si è
messo in viaggio. Lunedì ha visto in Giordania re Abdullah che ha a sua
volta, in questa strana nuova logica geometrica, rivolto un appello al mondo
perché rispetti la scelta del popolo palestinese, ovvero Hamas; e ad Hamas
perché rispetti il mondo, rinunciando alla distruzione di Israele.
Abu Mazen, naturalmente seguita a invitare tutto il mondo a sostenere i
palestinesi a prescindere da Hamas. Ma forse non è l’ ultima parola. In tutta
l’ Autonomia gli uomini del Fatah non sono tranquilli: a Gaza le Brigate di
Al Aqsa si organizzano per lo scontro armato; a Ramallah Fatah brucia gli
incartamenti segreti che la polizia teneva sugli uomini di Hamas, e fa
consegnare le armi delle milizie pubbliche alle sue sedi perché non cadano
nelle mani del nuovo padrone di casa. Il ministro degli Interni Nasser
Yussuf ha detto che risponde solo ad Abu Mazen.
Il presidente, adesso ospite di Mubarak al Cairo, deve incontrare alla fine
della settimana Khaled Meshaal, il capo di Hamas con sede a Damasco, il più
vicino al cuore dei siriani e degli iraniani, nelle cui mani sono molte
delle carte che decideranno il futuro. Dovrebbe esser un incontro decisivo.
Per preparalo, l’ onnipotente ministro egiziano dell’ informazione Omar
Suleiman è in missione a Damasco. E’ chiaro che l’ Egitto si è preso questa
gatta da pelare per ricavarne la patente internazionale di domatore. E nello
stesso tempo, Meshaal incontra gli egiziani per smetterla di avere solo a
che fare con « l’ asse del male» e cercare sponsor moderati, con cui gli
americani e gli israeliani parleranno volentieri.
Anche la nuova ministra degli Esteri israeliana, la giovane Tzipi Livni, è
oggi in partenza per il Cairo. Gli egiziani naturalmente sostengono che
rifiutano l’ impossibile ruolo di mediatore fra Israele e Hamas. Ma sembra
che un appuntamento sia stato già combinato fra Tzipi e il saggio Suleiman,
e certo l’ anziano capo dei servizi segreti le confiderà qualche ricordo del
suo più recente viaggio.
Dall’ esterno si vede da parte di Hamas la ripetizione in versioni diverse
del solito copione: estremismo con un tocco di nuova moderazione. Dopo che
il Quartetto ha insistito sulla necessità che Hamas riconosca Israele per
seguitare a ricevere finanziamenti (un miliardo di dollari l’ anno, di cui la
metà europei) Osama Hamdan, uno dei leader dell’ organizzazione, ha risposto:
« Stiamo cercando fonti alternative di finanziamento per evitare di essere
ricattati» . Ieri Javier Solana, seguito da dichiarazioni simili
dell’ ambasciatore dell'Unione Europea in Israele Ramiro Cibrian Uzal, ha
ripetuto che il futuro governo palestinese ha l’ obbligo della non violenza,
del riconoscimento di Israele e dell’ accettazione dei precedenti accordi e
impegni dell’ Anp» .
Hamas parla due lingue diverse:Ismail Hanyeh, il capolista del partito,
parla di buon governo: « I soldi serviranno a pagare i salari e a migliorare
la vita dei palestinesi» ; Anwar Zaboun dice che « i negoziati con Israele non
sono haram, ovvero sono proibiti dalla religione» ; Hassan Safi a Betlemme
dice che è pronto a striungere la mano agli ufficiali israeliani. Ma ci si
può fidare? Salaam Fayyad, l’ uomo-mani pulite ex ministro delle Finanze
palestinese, ha dichiarato che non entrerà nel governo con Hamas, e così
dice anche Hanan Ashrawi, famosa portavoce dell’ Autonomia di Arafat e
fondatrice del partito laico « Terza via» . E giunge anche notizia che un
certo numero di notabili e leader di Fatah stanno trasferendo le loro
famiglie e i loro beni all’ estero.