Obama prepara una mossa d'addio contro Israele
sabato 8 ottobre 2016 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 08 ottobre 2016Mentre ci perseguitano le terribili immagini dello sterminio di Aleppo e ci accompagnano nella desolazione di aver visto, nella nostra era, naufragare il "successo della libertà" del discorso inaugurale di John Fitzgerald Kennedy, ovvero della garanzia americana di un mondo in cui la democrazia fosse almeno in lizza per stabilire il suo primato, è ancora più paradossale, persino frivola, la china su cui in questi giorni ci tocca a discendere. Da parte di Obama, dopo la rinuncia (ormai irrecuperabile data la presenza Russa con gli S300), a bombardare gli aerei di Assad, Obama scende nel grottesco con la sua ormai quasi noiosa antipatia per Israele che sembra, proprio adesso, alla ricerca di nuovi orizzonti. Potrebbe essere la sua legacy in un Medio Oriente a pezzi: una povera cosa per la leadership che era partita col mantello rosso del premio Nobel. Ma come un filo d'Arianna, una quantità di indizi portano a sospettare che Obama proprio subito dopo il voto dell'8 novembre e prima della nomination del 20 gennaio, quando non si può più influenzare il voto e danneggiare Hillary, immagini una durissima mossa anti-israeliana.
Ovvero, di fronte a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU nel periodo dell'"anatra zoppa"la quale ignorando la necessità di una trattativa fra le parti imporrebbe confini e caratteristiche per la nascita di uno Stato palestinese, non porrebbe il solito veto statunitense. Lascerebbe vincere la risoluzione affiancata all'iniziativa francese per una conferenza di pace. Sul terreno, le conseguenze sarebbero solo quelle del discredito e eventualmente di sanzioni per Israele, ma è proprio il discredito, la messa all'angolo quello che, in tempi di BDS, sembra, più o meno consciamente, animare la politica americana verso Israele.
Incredibile, ma la Casa Bianca ha cancellato fisicamente, dopo aver già diffuso il comunicato sul discorso del Presidente, il riferimento al fatto che al funerale di Peres abbia parlato da "Gerusalemme, in Israele". Cioè, quel Peres tanto incensato non sarebbe più sepolto in Israele, ma chissà dove, in una terra di nessuno. Più avanti, usando il funerale come una clava, mentre il mondo brucia, il Dipartimento di Stato ha emesso un comunicato dai toni iperviolenti per la costruzione a Shiloh di alcuni appartamenti (per ricollocare i settler espulsi da Amona, un insediamento illegale sgomberato) dicendo in sostanza, che la memoria del leader scomparso veniva tradita e che "si cementa così un'occupazione perpetua inconsistente col futuro di Israele come Stato ebraico e democratico". Addirittura! Le case,ha ripetuto il governo, verranno costruite in un vecchio insediamento per profughi di un altro insediamento distrutto, senza portare un uomo in più. Dunque, la critica sproporzionata fa pensare a due cose: la prima è che si stia costruendo l'atmosfera per un attacco politico, la seconda che Obama voglia lasciare un segno in Medio Oriente con quello che ritiene una spinta al processo di pace. Ma è difficile pensare che abbia ragione: il vero contributo che avrebbe potuto dare, è concepire un'idea nuova di distribuzione territoriale (i suoi predecessori l'anno tutti fatto); spingere finalmente le parti al colloquio; chiedere ad Abu Mazen di rinunciare al sostegno al terrorismo; favorire l'integrazione di Israele in Medio Oriente. Non l'ha fatto.
Obama se insiste verrà ricordato come il presidente il cui pacifismo, come è già capitato nella storia, ha fomentato il conflitto in tutto il Medio Oriente e oltre; il presidente antiproliferazione che ha lasciato che si sfaldasse il patto con la Russia; il punto di riferimento della moderazione islamica che ha favorito l'estremismo sciita dell'Iran e degli Hezbollah e non ha fermato l'estremismo sunnita mentre ha avvilito i suoi alleati più moderati. Un retaggio di fallimenti, che verrebbe solo peggiorato dalla sanzione dell'unica democrazia del Medio Oriente fedele agli USA.
domenica 9 ottobre 2016 11:42:41
Se è saggio Obama dovrebbe pensarci non una, neanche due, ma SETTANTA VOLTE SETTE prima di creare tensioni con Israele, onde evitare ripercussioni su una consistente parte della popolazione del suo Paese, ossia della comunità ebraica americana che, tra le altre cose, risulta avere un certo peso economico.Ma, si sa, la saggezza non è degli idealisti né dei sognatori.L'unica cosa certa è che l'amico se ne andrà tra pochi mesi (di solito i presidenti americani prendono servizio dopo il giuramento che di norma avviene nel gennaio successivo all'elezione) C'è però il rischio che venga sostituto da uno peggio di lui. Dal canto suo il candidato repubblicano (che dopo 8 anni di permanenza democratica alla Casa Bianca sarebbe una valida alternativa) sta facendo una gaffe dietro l'altra, suscitando perplessità anche tra i membri del suo stesso partito.Staremo a vedere.