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Obama non ha simpatia per Israele, ma l’America sì

domenica 1 marzo 2015 Generico 0 commenti
Shalom, marzo 2015

Quando Benjamin Netanyahu è entrato nell’aula di Capitol Hill dove si erano riuniti i Senatori e i membri del Congresso (la Camera americana) per ascoltare il suo contestatissimo discorso, ho avuto un profondo moto di commozione e, soprattutto, di invidia. Quanti applausi, quanto calore. C’erano, là presenti, amici e critici, anche aspri, del governo attuale di Gerusalemme; la polemica che aveva tormentato la lunga chiacchieratissima vigilia del discorso del Primo Ministro israeliano risuonava in ogni angolo del mondo e aveva persino indotto alcuni democratici, fra cui persino il vicepresidente Biden ad annunciare la propria assenza durante l’indirizzo. Eppure l’aula era stracolma e soprattutto piena di amore per Israele e per gli ebrei. Non c’era nessuna aria di supponenza, non era il Grande Paese che accoglie con sufficienza il piccolo: era la fratellanza di chi ha vissuto in dure condizioni e ce l’ha fatta a restare fedele a sé stesso, di chi conosce le difficoltà della vita, del confine, dell’invidia per lo stato della scienza e della tecnologia che crea odio e calunnia. Era un incontro da uomo a uomo, senza sottintesi e senza politically correct, niente messaggi né indicazioni di che cosa Israele debba fare per piacere, si trattava soltanto di voler bene a chi giorno dopo giorno, mantenendo le difficili regole della democrazia, lotta per la propria sopravvivenza senza risparmiarsi.

Questo affetto si è espresso senza risparmio, dimostrando che se anche Obama non ha tanta simpatia per Israele, bene, invece il popolo americano ne ha. Mai e poi mai la gelida, politically correct atmosfera dell’Unione Europea sarebbe capace di dimostrare a Israele come l’America il suo fondamentale sostegno, la sua simpatia per un popolo che dopo duemila anni è tornato alla sua terra e ce la mette tutta per osservare le regole della civilizzazione anche in mezzo a attacchi infiniti; l’Europa non conosce la Bibbia, non ha fatto bene i conti come si vede oggi, con la sua storia antisemita, la democrazia è una parte della sua storia molto recente. L’Europa ubbidisce a mille leggi non scritte che ne regolano comportamenti cauti, ipocriti, incerti, che ne tessono i difficili rapporti interni. Mai in Europa Bibi potrà ricevere, specie in una situazione di polemica come quella che lo accompagna sempre e adesso in particolare data la campagna elettorale, 23 “standing ovation”: invece a Washington i delegati del popolo si sono alzati 23 volte ad applaudirlo. Come è andato il viaggio tanto discusso? Innanzitutto, esso non va misurato sulla simpatia o l’antipatia che può aver suscitato in Obama, che si è sentito scavalcato dall’invito del presidente delle camere unite Peter Beinart.

Ci sono altri parametri molto più importanti, Obama, con i migliori auguri, sarà ancora due anni da Presidente, e poi si vedrà; e soprattutto l’aura divina che sempre lo circonda da quando appena eletto si vide consegnare il Premio Nobel per la Pace mentre il mondo applaudiva giustamente alla immensa e bellissima novità di un presidente nero, ha ormai un che di retorico e divinizzante che non convince affatto. Il suo atteggiamento di “lesa maestà” perché Beinart non l’aveva avvertito dell’invito, anche se travestito con valutazioni che riguardavano l’opportunità che Bibi parlasse alla massima assemblea americana in tempi di campagna elettorale, ha coperto malamente la paura che il Congresso, in genere molto preso dalla politica interna, potesse d’un tratto risvegliarsi al pericolo iraniano: il Presidente americano teme che esso possa ostacolarlo sulla strada di un accordo col Paese degli Ayatollah che Bibi ha definito “un brutto accordo” anzi “un bruttissimo accordo”. Invece Obama lo vede proprio come il retaggio della sua presidenza, come un ponte verso il mondo islamico, un’alleanza importante, immaginando inoltre che l’Iran diventerà più moderato una volta che un accordo sia firmato. Non si sa cosa succederà nelle prossime settimane, ma di certo sono già accadute due cose: i riflettori si sono accesi di nuovo con drammaticità sul tema “accordo con l’Iran”, le cui trattative sembrano alla conclusione in Svizzera, dove Kerry spinge per procurare a Obama un’eredità di pace che dovrebbe riscattare una presidenza di scarso successo nel campo internazionale. Bibi è riuscito intanto nel primo compito: ha risvegliato l’attenzione su cosa sta facendo il suo governo con Iran. I membri eletti del Congresso e del Senato adesso non mancheranno di chiedere conto dei punti sollevati da Bibi durante il suo discorso. Per esempio già la democratica senatrice Dianne Feinstein, che aveva attaccato Netanyahu per avere accettato l’invito di Beinart, dopo il discorso ha detto che anche lei preferirebbe che si stabilisse un periodo di vari decenni in cui l’Iran non possa arricchire l’uranio, proprio come ha detto Bibi. Non si fida più.

Netanyahu ha cercato, dopo aver riempito Obama di ringraziamenti e complimenti, di smantellare quello che si sa dell’accordo prossimo venturo: esso dovrebbe lasciare all’Iran almeno 6000 centrifughe, un numero enorme, ma l’arricchimento dell’uranio dovrebbe essere sospeso per una decina d’anni “un battito di ciglia nella storia”, ha detto Bibi, sostenendo che se il regime degli Ayatollah resta quello che è, non ci sono possibilità che mantenga nessuna promessa fatta, perché il suo credo e la sua ideologia glielo proibiscono. Con 6000 centrifughe e tutti gli impianti a disposizione, l’Iran resterebbe capace di produrre la bomba atomica in tempi misurabili in mesi, e Netanyahu ha speso parecchi minuti a spiegare come il regime, anche da quando il “moderato” Rouhani è al potere, sia da considerarsi del tutto inaffidabile. Mentirà a qualsiasi ispettore. Bibi ha ricordato come l’Iran abbia ormai il controllo di quattro capitali Mediorientali, Teheran, Baghdad, Beirut, Damasco, Saana, come la sua fame di espansione sia condita da gesti che ne fanno, nonostante la presenza dell’Isis, il primo sponsor mondiale degli attacchi sui civili. Ha ricordato come Israele sia il primo obiettivo dell’Iran, che ne propone continuamente la distruzione. Inoltre, tutti i paesi sunniti moderati come l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita, temono un rafforzamento dell’Iran. I record umanitari dell’Iran sono tali che nessuno può ignorare l’impiccagione degli omosessuali sulle pubbliche piazze, l’oppressione e la detenzione delle donne e dei dissidenti. Netanyahu ha suggerito che la strada per un accordo con l’Iran è pretendere che per avere condizioni di vita normali, ovvero per essere liberato dalle sanzioni, debba essere un paese normale: rinunci all’aggressione ai Paesi mediorientali, al terrorismo e alla minaccia continua a Israele.

E’ possibile? Non sembra. Tuttavia, anche senza arrivare a risultati pieni rispetto al “piano Netanyahu” si può pensare a una trattativa meno morbida, in cui su ciascuno di questi punti fondamentali sollevati dal premier israeliano ci sia un rendiconto. L’importante è riuscire a figurarsi, secondo le indicazioni di Israele, un Iran diverso, che non abbia le intenzioni genocide che esso esprime, che non sia così apertamente fanatico e intollerante come lo sono gli Ayatollah, insomma, che sia pronto a mettersi in una relazione vera, e non in insignificanti diplomazie cariche di salamelecchi senza senso, con i Paesi che chiedono lo smantellamento, per altro rifiutato, del potere atomico. Aggiungiamo in una parola che Obama di nuovo sbaglia quando pensa che un buon accordo con l’Iran servirà a battere l’Isis o, in genere, l’estremismo islamico. Ancora sul terreno ci sono le rovine della guerra sciiti-sunniti che caratterizzò il conflitto Iran-Iraq, e anche allora nessuno dei due contendenti aveva, ieri come oggi, un tratto rassicurante. Ambedue erano e sono pericolosi antagonisti dell’Occidente e impresentabili violatori di diritti umani. L’Iran mandava i suoi bambini a camminare sui campi minati per aprire la strada all’esercito con una chiave di plastica del paradiso al collo. Oggi le cose non sono cambiate. La popolazione iraniana e la situazione mondiale soffrono insieme il danno continuo che il regime costituisce per tutti gli uomini di buona volontà. Il popolo iraniano, che è un vero popolo con una grande storia, merita un vero accordo, non un cattivo accordo con l’Occidente.

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